Dopo cinque anni di calo consecutivo, il tasso di irregolarità – cioè la percentuale delle unità di lavoro non regolari sul totale delle posizioni lavorative – è salito dal 12,5 al 12,7 per cento, segno che la ripresa dell’economia non si è tradotta in una riduzione del lavoro sommerso.
La crescita ha riguardato sia i lavoratori dipendenti sia quelli indipendenti, con aumenti simili: +4,9 per cento per i primi, +4,8 per cento per i secondi. In termini assoluti, le posizioni irregolari tra i dipendenti sono state quasi 2,3 milioni, mentre quelle tra gli autonomi circa 800 mila. Il tasso di irregolarità è leggermente più alto tra i lavoratori dipendenti (12,9 per cento) rispetto ai lavoratori indipendenti (12,2 per cento), ma il divario tra le due categorie si sta riducendo da alcuni anni.
L’aumento del lavoro irregolare nel 2023 è stato più alto rispetto a quello del lavoro regolare. Questo dato conferma che, nonostante la crescita complessiva dell’occupazione, una parte consistente del mercato del lavoro continua a restare fuori dai canali formali. Il lavoro non regolare include sia le attività sommerse, cioè non dichiarate pur essendo legali, sia quelle illegali, e rappresenta un fenomeno strutturale dell’economia italiana, con forti conseguenze sul gettito fiscale, sulla sicurezza dei lavoratori e sulla concorrenza tra imprese.
Il tasso di irregolarità non è cresciuto allo stesso modo in tutti i settori. L’aumento più forte è stato registrato negli “altri servizi alle persone”, categoria che comprende assistenza domestica, cura, e lavori saltuari: qui il tasso ha raggiunto il 40,5 per cento, con un incremento di 1,2 punti percentuali in un solo anno. È un settore in cui la domanda di lavoro non regolare da parte delle famiglie resta alta, anche a causa del costo dei servizi e della difficoltà di reperire personale regolarmente assunto.
Seguono, con aumenti più contenuti, il comparto del commercio, dei trasporti, dell’alloggio e della ristorazione (+0,5 punti), la produzione di beni di investimento e le costruzioni (entrambi +0,4 punti). L’agricoltura, che da sempre presenta un’elevata incidenza di lavoro nero, ha visto il tasso crescere dal 17,4 al 17,6 per cento: qui il peggioramento riguarda soprattutto i lavoratori dipendenti, mentre tra gli indipendenti si è registrata una lieve flessione.
Unica eccezione è rappresentata dai servizi professionali, che comprendono studi tecnici e consulenze, dove il tasso di irregolarità è sceso di 0,1 punti percentuali, raggiungendo uno dei livelli più bassi della serie storica. In questo settore, così come nei servizi alle imprese e nell’istruzione e sanità, la regolarità dei contratti si mantiene alta: nel 2023, l’irregolarità dei dipendenti si è fermata rispettivamente al 7,1, al 5,6 e al 5,5 per cento.
Nel complesso, il lavoro irregolare è più diffuso nel settore terziario, dove l’incidenza media raggiunge il 13,9 per cento, e in particolare nei comparti che richiedono manodopera non qualificata o temporanea. Gli “altri servizi alle persone” e il settore del commercio, trasporti, alloggio e ristorazione concentrano insieme circa il 62 per cento di tutte le posizioni non regolari in Italia.
Nell’industria in senso stretto la diffusione è invece contenuta, con un tasso medio del 5,7 per cento. Fanno eccezione i comparti della produzione di beni alimentari e di consumo, dove l’irregolarità tocca il 7,7 per cento, segno che anche nei settori manifatturieri più tradizionali la spinta a ridurre i costi del lavoro non è scomparsa.