Che cosa prevede l’accordo sulla riforma del Csm e della magistratura

Alla Camera è ripartito l’esame del testo, dopo che i partiti di maggioranza, eccetto Italia viva, sono giunti a un compromesso con la ministra della Giustizia Marta Cartabia
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
L’11 aprile la Commissione Giustizia della Camera ha ripreso l’esame del disegno di legge sulla riforma dell’ordinamento giudiziario. La riforma è uno degli obiettivi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e deve essere portato a termine per ottenere i finanziamenti europei. 

Il testo del disegno di legge era stato presentato a settembre 2020 da Alfonso Bonafede (Movimento 5 stelle), ministro della Giustizia del secondo governo guidato da Giuseppe Conte. Ad aprile 2021, il testo presentato da Bonafede è stato adottato dal governo Draghi e dalla nuova ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Un anno dopo, l’11 febbraio 2022, il governo ha presentato una serie di modifiche al testo. In questa occasione, il presidente del Consiglio ha espresso la necessità di approvare il disegno di legge «in tempo utile per l’elezione del prossimo Consiglio superiore della magistratura», prevista a luglio. 

Nelle ultime settimane i partiti della maggioranza che sostiene il governo Draghi si sono però divisi sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura, l’organo che governa la magistratura in Italia, presentando centinaia di emendamenti al disegno di legge. Negli ultimi giorni, dopo una serie di mediazioni con la ministra della Giustizia Marta Cartabia, gran parte dei partiti di maggioranza ha raggiunto un accordo, mentre Italia viva ha invece annunciato la sua astensione. 

I tempi per l’approvazione del testo della riforma sono stretti: il 19 aprile è previsto l’inizio dell’esame del disegno di legge in assemblea. Per essere approvata in via definitiva, la riforma dovrà ottenere il via libera sia della Camera che del Senato sullo stesso testo.

Il fascicolo di valutazione per i magistrati

Uno degli aspetti su cui i partiti della maggioranza hanno trovato un’intesa è l’introduzione nel disegno di legge di un fascicolo di valutazione delle carriere dei magistrati. La proposta era stata avanzata con un emendamento del deputato Enrico Costa, responsabile giustizia di Azione, il partito dell’ex ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda. 

Il nuovo sistema di valutazione prevede la formazione di uno schedario nel quale verrebbero raccolti i dati statistici sull’attività di ciascun magistrato e andrebbe a sostituire il sistema attuale, che prevede una valutazione ogni quattro anni da parte dei consigli giudiziari, gli organi collegiali presenti nei 26 distretti di corte d’appello di tutta Italia. 

L’elezione dei membri “togati” del Csm

Oltre al fascicolo di valutazione, i partiti hanno trovato un accordo anche sulla riforma del sistema di elezione dei membri del Csm. Ad oggi, secondo la legge n. 195 del 24 marzo 1958, i consiglieri “togati”, ossia quelli scelti tra i magistrati di tutta Italia, sono eletti (art. 23) attraverso un sistema basato su tre collegi a livello nazionale, uno per ogni categoria di magistrato (funzioni di legittimità, funzioni requirenti e funzioni giudicanti). In ciascun collegio è previsto il sistema maggioritario e vengono eletti i magistrati che, in ciascuna lista, riportano il maggior numero di voti.

In origine, per limitare l’influenza delle varie correnti della magistratura nelle elezioni per il Csm, l’ex ministro Bonafede e il M5s avevano proposto di sostituire l’elezione dei membri del Csm con un sorteggio. Questa idea è però tramontata e si è quindi optato per aumentare il numero dei collegi, diminuendone la grandezza. Il governo Draghi e la ministra Cartabia, attraverso due emendamenti al testo del disegno di legge presentato da Bonafede, hanno proposto (art. 29.21 e 33.2) di eleggere i “consiglieri togati” attraverso un sistema misto di otto collegi, due nazionali e sei territoriali. 

Nella riunione con la ministra Cartabia del 9 aprile, i capigruppo della maggioranza in Commissione Giustizia hanno concordato che gli otto collegi in cui si eleggeranno i venti consiglieri togati saranno determinati sulla base di un sorteggio tra i 26 distretti di Corte d’Appello presenti in Italia.

La separazione delle carriere

Per quanto riguarda le carriere dei magistrati, i partiti hanno raggiunto un’intesa sulla limitazione dei cambi di funzione tra giudici e pm. Ad oggi, infatti il decreto legislativo n. 160 del 5 aprile 2006 stabilisce (art. 13) che un magistrato possa richiedere il passaggio da giudice a pubblico ministero (o viceversa) al massimo quattro volte nel corso della sua carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata e dopo aver superato un concorso. 

Il testo della riforma presentato dall’ex ministro Bonafede prevedeva una riduzione dei cambi di funzione da quattro a due. Questa opzione non soddisfaceva però Forza Italia, che chiedeva di ridurre ulteriormente il limite massimo. La richiesta di Fi è stata accolta nelle mediazioni tra i capigruppo dei partiti e la ministra Cartabia. Dunque, secondo l’accordo, un magistrato potrà chiedere il passaggio dalle funzioni di giudice a quelle di pm (o viceversa) solo una volta nel corso della propria carriera e la richiesta dovrà essere fatta entro dieci anni dal momento dell’assegnazione del primo ruolo. Questa soluzione non ha comunque soddisfatto la Lega che, con i referendum sulla giustizia che si terranno a giugno, sostiene la necessità di eliminare del tutto i cambi di funzione tra giudici e pm. Il partito di Matteo Salvini, che ha in generale ritirato i suoi emendamenti alla riforma, ha quindi mantenuto quelli sulla separazione delle carriere dei magistrati.

Magistrati “fuori ruolo” 

Un altro punto dell’accordo riguarda le limitazioni per i magistrati “fuori ruolo”, ossia coloro che sospendono temporaneamente il proprio incarico da magistrato e assumono incarichi in politica. L’accordo fissa a sette anni il limite di tempo in cui un magistrato potrà rimanere “fuori ruolo”.

In più, il testo del disegno di legge presentato dall’ex ministro Bonafede prevede (art. 17) che i magistrati candidati alle elezioni politiche, ma non eletti, siano ricollocati in ufficio competente in una zona o regione diversa da quella dove hanno presentato la propria candidatura. La stessa regola è prevista per coloro che concludono il loro mandato in politica e tornano a ricoprire dei ruoli in magistratura.

I dubbi di Italia viva e le proteste dei magistrati

Tra i partiti che nutrono diversi dubbi riguardo il disegno di legge di riforma della giustizia c’è Italia viva. L’11 aprile, infatti, il partito di Matteo Renzi non ha ritirato gli emendamenti presentati in Commissione Giustizia alla Camera, come invece hanno fatto gli altri partiti della maggioranza. 

«Sulla riforma del Csm, siamo gli unici che non voteranno a favore. Lega e Pd, grillini e Forza Italia hanno trovato un compromesso con la riforma Cartabia. Voglio essere molto chiaro: l’azione di Bonafede era dannosa, quella della Cartabia semplicemente inutile», ha scritto Renzi nella sua Enews del 12 aprile. Lo stesso giorno, in un’intervista al quotidiano la Repubblica, il leader di Iv ha annunciato che il suo partito si asterrà in occasione del voto a Montecitorio. 

Sul fronte opposto, diverse correnti della magistratura hanno ribadito la loro contrarietà al disegno di legge, dichiarando di essere pronte allo sciopero. «La riforma costituisce un’ulteriore dimostrazione di una pericolosa voglia di rivalsa nei confronti della magistratura. Il segnale di un vero e proprio regolamento di conti», ha detto, tra gli altri, il magistrato e membro del Csm Nino Di Matteo l’11 aprile, in un’intervista all’Adnkronos. Già il 25 marzo, in una votazione per esprimere il proprio parere sulla riforma, lo stesso Csm aveva bocciato il testo del disegno di legge, con il voto contrario (e decisivo) anche del vicepresidente David Ermini (Pd).

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