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No, la sentenza “Roe v. Wade” non è fondata «su un caso falso»

| 27 giugno 2022
La dichiarazione
«La famosa sentenza Roe vs. Wade è fondata su un caso falso»
Fonte: Facebook | 24 giugno 2022
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
Verdetto sintetico
L’affermazione del senatore della Lega è fuorviante.
In breve
  • È vero che negli anni Settanta Jane Roe, pseudonimo di Norma McCorvey, mentì dicendo ai giornalisti di essere stata stuprata. TWEET
  • La presunta origine della gravidanza di McCorvey non ha comunque influenzato la decisione della Corte suprema, e infatti non viene mai menzionata nella sentenza del 1973. TWEET
Il 24 giugno il senatore leghista Simone Pillon ha commentato su Facebook la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti di revocare il diritto all’aborto a livello federale, rimettendo le decisioni sul tema nelle mani dei singoli Stati. Finora, negli Stati Uniti il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza non era regolamentato da una vera e propria legge, ma da un’altra sentenza della Corte suprema rilasciata nel 1973 in relazione al caso “Roe v. Wade”, secondo cui le donne dovevano avere il diritto di abortire liberamente, in ogni circostanza, almeno entro i primi tre mesi dal concepimento.

Nel suo commento, Pillon ha celebrato la revisione della sentenza “Roe v. Wade”, affermando che quest’ultima era «fondata su un caso falso» e quindi illegittima. Ma è davvero così? Questa interpretazione della sentenza circola su internet da diversi anni, ma si tratta di una lettura fuorviante dei fatti. 

La sentenza Roe v. Wade

Nel 1973 la Corte suprema americana – il grado più alto della giustizia negli Stati Uniti, che giudica le controversie riguardanti la Costituzione o le leggi in vigore nel Paese, attualmente formata da nove giudici  – approvò una sentenza, destinata a rimanere tra le più discusse, sul caso “Roe v. Wade”, relativo al diritto all’aborto. Il caso iniziò nel 1970, quando Jane Roe – pseudonimo di Norma McCorvey, una donna originaria della Louisiana ma cresciuta in Texas – fece causa contro Henry Wade, il procuratore distrettuale per la contea di Dallas, chiedendo di poter aver accesso a un aborto sicuro e regolare. Al tempo l’aborto era infatti illegale in Texas, e in molti altri stati americani, eccetto nei casi in cui fosse in pericolo la vita della madre. 

Tre anni dopo – nel frattempo McCorvey aveva dovuto portare avanti la gravidanza, dando la bambina in adozione – la Corte Suprema decise, con un voto di 7 contro 2, che in tutti gli stati americani le donne dovevano avere la possibilità di abortire almeno entro i primi tre mesi (e anche in quelli successivi, seppure con maggiore libertà per gli stati di regolamentare la procedura). Questa sentenza non è mai stata tradotta in una vera e propria legge, ma per quasi cinquant’anni ha rappresentato la base legale per il diritto all’aborto negli Stati Uniti, ed è stata più volte riconfermata in altre sentenze. 

Il 24 giugno scorso, cinque giudici della Corte suprema, sufficienti per avere la maggioranza assoluta, hanno votato contro quanto deciso con la sentenza “Roe v. Wade”, revocando l’obbligo di assicurare il diritto all’aborto su tutto il territorio nazionale. Ora, ogni Stato potrà decidere autonomamente come regolamentare l’aborto, con conseguenze evidenti: più di 20 stati hanno già approvato leggi per proibire o limitare la procedura, che entreranno in vigore nelle prossime settimane. 

L’errore di Pillon su Roe v. Wade

Negli ultimi anni ha iniziato a diffondersi online la convinzione, riproposta anche da Pillon, secondo cui McCorvey avrebbe mentito affermando che la sua gravidanza fosse la conseguenza di uno stupro, e che questo avrebbe influenzato la decisione della Corte suprema in merito alla legalizzazione dell’aborto. In realtà, questo è vero solo a metà.

Come hanno spiegato più nel dettaglio i nostri colleghi fact-checker di Politifact e Associated Press, è vero che inizialmente McCorvey disse ai giornalisti di essere stata stuprata, pensando che questo potesse aiutarla a vincere il caso e terminare quindi la gravidanza. L’accusa però non è mai stata menzionata formalmente durante il processo. Questo fattore non ha avuto alcun peso nella decisione della Corte, la cui sentenza infatti non menziona mai il modo in cui è avvenuto il concepimento e non limita il diritto all’aborto alle vittime di stupro. 

McCorvey ha rivelato poi di aver mentito nel 1987. 

Il verdetto

Il senatore della Lega Simone Pillon ha criticato la sentenza “Roe v. Wade”, con cui nel 1973 la Corte suprema degli Stati Uniti ha legalizzato l’aborto nel Paese, affermando che questa è «fondata su un caso falso». Questo è vero solo a metà.

Negli anni Settanta, Jane Roe, pseudonimo per Norma McCorvey, mentì dicendo alla stampa che la gravidanza che desiderava interrompere era il risultato di uno stupro, ma questo fattore non influenzò la decisione della Corte suprema, e infatti non viene mai menzionato nella storica sentenza. 

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