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Contro il Jobs Act Conte cita uno studio di Banca d’Italia che parla d’altro

| 20 marzo 2023
La dichiarazione
«Tutto ciò che ha rappresentato e ha realizzato il Jobs Act è un fallimento. Non lo dico io: Banca d’Italia, novembre 2022»
Fonte: YouTube | 16 marzo 2023
ANSA
ANSA
Verdetto sintetico
Lo studio della Banca d’Italia citato da Conte parla di una riforma del 2001, non del Jobs Act.
In breve
  • L’espressione “Jobs Act” fa generalmente riferimento alla riforma del mercato del lavoro approvata dal governo Renzi, rimasto in carica da febbraio 2014 a dicembre 2016. TWEET
  • A novembre 2022 la Banca d’Italia ha pubblicato un working paper che ha valutato l’impatto di un’altra riforma del lavoro, quella del 2001 del secondo governo Berlusconi. Secondo i ricercatori, quella riforma ha cercato di aumentare l’occupazione facendo maggiore ricorso ai contratti a tempo determinato, non ottenendo i risultati sperati. TWEET
Il 16 marzo il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte è stato ospite del Congresso nazionale della Cgil in un evento con gli altri leader dei partiti di opposizione. Nel suo intervento Conte ha detto che il suo partito vuole «contrastare la precarietà» e che il Jobs Act, ossia la riforma del mercato del lavoro approvata dal governo Renzi, è stato un «fallimento». A sostegno della sua tesi Conte ha dichiarato che a questa conclusione è giunta «a novembre 2022» anche la Banca d’Italia, secondo cui il fallimento del Jobs Act «ha prodotto solo più guadagni per i datori di lavoro».

Ma è davvero così? Abbiamo verificato che cosa ha detto alcuni mesi fa la Banca d’Italia e, al di là del giudizio politico di Conte sul Jobs Act, il presidente del Movimento 5 stelle ha fatto confusione, citando uno studio che parla di un’altra riforma, più vecchia.

Di che cosa stiamo parlando

Con l’espressione “Jobs Act” si fa generalmente riferimento a una serie di provvedimenti approvati nell’ambito del mercato del lavoro dal governo Renzi, in carica da febbraio 2014 a dicembre 2016. Alcuni provvedimenti di questa riforma erano strutturali, come l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, mentre altri erano temporanei, come le decontribuzioni per i nuovi assunti. Tra le altre cose il Jobs Act ha eliminato la possibilità di reintegrare un lavoratore licenziato per motivi economici, sostituendola con il pagamento di un indennizzo.

L’obiettivo della riforma del governo Renzi era raggiungere una maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro per far crescere l’occupazione. In ordine cronologico il primo provvedimento del Jobs Act (il decreto “Poletti”, dal nome del ministro del Lavoro Giuliano Poletti) è stato approvato a marzo 2014, mentre il provvedimento principale della riforma del mercato del lavoro è arrivato a dicembre 2014 all’interno di un disegno di legge delega. 

Secondo i favorevoli del Jobs Act, questa riforma ha contribuito a far aumentare il numero degli occupati in Italia. Secondo i contrari, invece, gli interventi del governo Renzi hanno aumentato il fenomeno della precarietà, ossia la diffusione dei contratti a tempo determinato.

Lo studio di Banca d’Italia di novembre 2022

Senza entrare nel dibattito su chi ha ragione e chi ha torto tra favorevoli e contrari, concentriamoci su quanto detto da Conte. Secondo il presidente del Movimento 5 stelle, a novembre 2022 la Banca d’Italia avrebbe certificato il «fallimento» del Jobs Act, dimostrando l’aumento della precarietà come effetto della riforma del mercato del lavoro del governo Renzi.

Con tutta probabilità, con il suo intervento al Congresso nazionale della Cgil, Conte ha fatto riferimento a un working paper pubblicato da Banca d’Italia il 22 novembre 2022. Si tratta di uno studio non ancora pubblicato da una rivista scientifica e non sottoposto al controllo da parte di altri ricercatori. Il titolo della ricerca è “Gli effetti delle riforme parziali del mercato del lavoro: evidenze per l’Italia” ed è stato realizzato da una ricercatrice della Banca d’Italia e da due ricercatori della University of Southern California negli Stati Uniti e della University of British Columbia in Canada. L’articolo specifica che «le opinioni espresse nell’articolo sono quelle degli autori e non coinvolgono la responsabilità della Banca d’Italia».

Questa ricerca è l’unica pubblicata a novembre 2022 sul sito della Banca d’Italia con una affinità con il tema del Jobs Act. I ricercatori si sono infatti occupati di stimare «gli effetti di una riforma del mercato del lavoro, volta ad ampliare la possibilità di adottare i contratti a tempo determinato, sulla creazione e sulla distruzione di posti di lavoro, sui profitti e sui salari». Il problema della dichiarazione di Conte è che la riforma del mercato del lavoro in questione non è il Jobs Act del governo Renzi, ma quella approvata a settembre 2001 dal secondo governo guidato Silvio Berlusconi. 

Come spiega la ricerca della Banca d’Italia, anche la riforma del 2001 aveva l’obiettivo di aumentare l’occupazione attraverso un maggiore ricorso ai contratti a tempo determinato. Secondo lo studio, però, i risultati sono stati meno positivi di quanto promesso. «Dall’analisi emerge un effetto pressoché nullo della nuova normativa sull’occupazione complessiva: l’impatto positivo sulla quota dei contratti a tempo determinato e sulla creazione di nuovi posti di lavoro a termine è stato compensato da un maggiore tasso di interruzione di rapporti a tempo determinato», hanno spiegato i ricercatori, aggiungendo un’ulteriore scoperta. Secondo la ricerca, le imprese hanno aumentato i loro profitti, a discapito dei salari di alcune fasce di lavoratori, in particolare quelli più giovani e precari. A questa conclusione ha fatto con tutta probabilità riferimento Conte dicendo che secondo la Banca d’Italia il «fallimento» del Jobs Act «ha prodotto solo più guadagni per i datori di lavoro». Ma come abbiamo visto, l’oggetto dello studio non era il Jobs Act, ma un’altra riforma: sebbene questa ricerca parli di precarietà, è scorretto applicare le sue conclusioni anche alla riforma del lavoro del governo Renzi.

Il verdetto

Secondo Giuseppe Conte, a novembre 2022 la Banca d’Italia ha detto che il Jobs Act è stato un «fallimento». Abbiamo verificato e, al di là del giudizio politico di Conte sul Jobs Act, il presidente del Movimento 5 stelle ha fatto confusione, citando uno studio che parla di un’altra riforma, più vecchia.

L’espressione “Jobs Act” fa generalmente riferimento alla riforma del mercato del lavoro approvata dal governo Renzi, rimasto in carica da febbraio 2014 a dicembre 2016.

A novembre 2022 la Banca d’Italia ha pubblicato un working paper che ha valutato l’impatto di un’altra riforma del lavoro, quella del 2001 del secondo governo Berlusconi. Secondo i ricercatori, quella riforma ha cercato di aumentare l’occupazione facendo maggiore ricorso ai contratti a tempo determinato, non ottenendo i risultati sperati.

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