Il 29 agosto il senatore del Movimento 5 stelle Elio Lannutti ha criticato su Facebook l’ex tesoriere del Partito democratico Luigi Zanda e l’ex senatrice del Pd Anna Finocchiaro, che hanno annunciato il loro no al taglio dei parlamentari che si voterà nel referendum del 20 e 21 settembre.
Secondo Lannutti, però, nel 2008 Zanda e Finocchiaro hanno presentato un disegno di legge per ridurre il numero dei parlamentari a 400 deputati e 200 senatori, «senza prevedere i correttivi che oggi invocano come giustificazione al no» al prossimo referendum.
Ma è davvero così? Abbiamo verificato e Lannutti ha ragione.
La proposta Zanda-Finocchiaro del 2008
Il 4 novembre 2008 l’allora senatore del Pd Zanda presentò al Senato un disegno di legge costituzionale intitolato: “Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”.
L’11 dicembre 2009, al primo firmatario Zanda, si aggiunsero come cofirmatari altri nove senatori del Pd (tra cui Stefano Ceccanti, oggi schierato per il sì al referendum) e come cofirmatarie altre quattro senatrici del Pd, tra cui Finocchiaro.
Il disegno di legge proponeva di ridurre il numero dei deputati (art. 56 della Costituzione) da 630 a 400 – quelli della circoscrizione Estero scendevano da 12 a otto – e da 315 a 200 quello dei senatori (art. 57), quattro dei quali eletti all’Estero (e non più sei).
Il testo stabiliva inoltre che nessuna regione potesse «avere un numero di senatori inferiore a cinque», fatta eccezione il Molise (con due senatori) e la Valle d’Aosta (con un senatore). In questo modo si proponeva di modificare l’articolo 57 della Costituzione (comma 3), secondo cui «nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette».
Il parallelo con l’attuale taglio dei parlamentari
Questo disegno di legge costituzionale del 2008 è molto simile a quello approvato dal Parlamento a ottobre 2019, su cui verte il referendum confermativo del 20 e 21 settembre. Le differenze, come vedremo, riguardano aspetti marginali.
Il testo del 2019 – con il titolo “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, pressoché identico a quello della proposta del 2008 – stabilisce anch’esso un taglio dei parlamentari a 400 deputati (otto per l’Estero) e 200 senatori (quattro per l’Estero).
Inoltre, entrambi i due testi proponevano le entrata in vigore dei tagli nella legislatura successiva a quella in corso.
Le differenze tra i due testi riguardano invece le disposizioni per il numero minimo di senatori che elegge ogni regione – nella proposta del 2008 erano cinque (con le eccezioni sopra viste di Molise e Valle d’Aosta), in quella dell’attuale referendum tre – e i senatori a vita.
A differenza del disegno di legge del 2008, infatti, la riforma costituzionale del 2019 introduce anche una modifica all’articolo 59 della Costituzione, in base alla quale il numero complessivo dei senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque.
Questa modifica intende rendere esplicita una prassi di tutti i presidenti della Repubblica, fatta eccezione per Sandro Pertini e Francesco Cossiga, che invece avevano interpretato la norma nel senso che ogni singolo presidente della Repubblica potesse nominare fino a cinque senatori a vita.
I perché della proposta Zanda-Finocchiaro
Ma quali erano le ragioni dietro alla proposta avanzata nel 2008 da alcuni esponenti del Pd, che si è poi risolta in un nulla di fatto, dopo che ne era iniziato l’esame in Commissione Affari costituzionali del Senato?
«Il presente disegno di legge – spiegava il testo firmato 12 anni fa, tra gli altri, da Zanda e Finocchiaro – punta a recuperare, isolandola in una specifica e circoscritta proposta di modifica costituzionale, la prima e più stringente ipotesi di riduzione del numero dei parlamentari, già fatta propria dalla Commissione bicamerale del 1997».
Quest’ultima è stata una commissione parlamentare istituita per le riforme costituzionali, presieduta da Massimo D’Alema (all’epoca segretario del Partito democratico della sinistra), che presentò una proposta di riforma della Costituzione, poi non andata a buon fine. Tra le modifiche proposte dalla Bicamerale, c’era appunto anche il taglio del numero dei parlamentari, a 400 deputati e 200 senatori.
Zanda e colleghi intendevano dunque recuperare l’intesa raggiunta dalla Bicamerale sulla riduzione del numero di parlamentari, e concentrare il loro disegno di legge in una specifica proposta di riforma, come abbiamo visto prima.
Ricapitolando: Lannutti ha ragione nel dire che nel 2008 Zanda e Finocchiaro appoggiarono una proposta riforma, nella sostanza, identica a quella su cui si voterà al prossimo referendum. Ma è vero che ora si dicono contrari al taglio? E con quali ragioni?
Che cosa dicono oggi Zanda e Finocchiaro sul taglio dei parlamentari
Il 28 agosto, in un’intervista con la rivista online Formiche, l’ex senatrice Finocchiaro ha dichiarato che voterà no al referendum sul taglio dei parlamentari, argomentando la sua decisione.
«In questo caso si fa un taglio dei parlamentari lineare pensando che le Camere possano funzionare con 400 deputati e 200 senatori, ma la realtà è che così il sistema parlamentare non può funzionare, né sotto il profilo della rappresentanza, né sotto quello della funzionalità», ha detto Finocchiaro. «Se cambia la composizione del Parlamento con 200 senatori l’elezione del Capo dello Stato inizia a diventare complicata sotto vari profili, compreso quello che riguarda lo squilibrio che si crea tra i rappresentanti delegati delle Regioni e i componenti del Senato. Il che dimostra che la Costituzione take away non funziona».
L’ex senatrice ha inoltre sostenuto di non essere «contraria» alla riduzione del numero dei parlamentari: «L’ho dimostrato appoggiando la riforma Boschi-Renzi – ha detto Finocchiaro – ma quella del 2016 era una riduzione del numero dei senatori inserita in una riforma costituzionale che prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto».
Il problema di queste obiezioni al taglio, però, è che si sarebbero potute fare anche alla proposta della stessa Finocchiaro, avanzata nel 2008. Discorso analogo vale per Zanda.
Il 25 agosto, invece, parlando con Adnkronos, il senatore del Pd ha dichiarato che il suo «orientamento personale» al voto del referendum «è per il no», lasciando però aperta la possibilità di seguire le indicazioni di voto del suo partito, che oggi è ancora diviso sul tema.
Secondo Zanda, le motivazioni del suo no sarebbero due. La prima è il fatto che non si è rispettato l’accordo di governo tra Pd e M5s, che prevedeva l’approvazione del taglio dei parlamentari insieme a una modifica della legge elettorale.
La seconda motivazione, «ancora più importante», è invece in linea con quanto sostenuto anche da Finocchiaro. «Vanno modificati i regolamenti parlamentari, la platea che elegge il presidente della Repubblica», ha detto Zanda. «Senza tutto questo non è una riforma, ma solo un taglio dei parlamentari che non è in sé una riforma».
È vero che nel 2008, quando Zanda propose un taglio identico a quello in discussione oggi, la legge elettorale e il contesto politico erano diversi, ma la seconda critica al taglio sollevata dal senatore del Pd sarebbe stata valida anche per il disegno di legge che lui stesso aveva firmato dodici anni fa.
In ogni caso, al di là dei fatti riportati correttamente da Lannutti, resta comunque lecita la scelta di Zanda e Finocchiaro di aver cambiato idea su un taglio dei parlamentari, slegato da un piano di riforme costituzionali più ampio.
Il verdetto
Secondo Elio Lannutti, l’ex tesoriere del Partito democratico Luigi Zanda e l’ex senatrice Anna Finocchiaro oggi si dicono contrari al taglio dei parlamentari dopo averne proposto uno identico nel 2008.
Abbiamo verificato e Lannutti ha ragione. Dodici anni fa, quando entrambi erano senatori del Pd, Zanda e Finocchiaro firmarono insieme ad altri colleghi di partito una proposta di legge che suggeriva di ridurre il numero dei parlamentari a 400 deputati e 200 senatori, come il taglio che andrà al voto il 20 e 21 settembre. In entrambi i casi siamo di fronte a un taglio netto, al di fuori di un contesto di riforma complessiva della Costituzione.
Negli scorsi giorni, Zanda e Finocchiaro hanno dichiarato che voteranno no al prossimo referendum, portando però delle motivazioni che, andando indietro nel passato, sono in contrasto con quanto proposto da loro stessi nel 2008.
In conclusione, Lannutti si merita un “Vero”.
«Finalmente un primato per Giorgia Meloni, se pur triste: in due anni la presidente del Consiglio ha chiesto ben 73 voti di fiducia, quasi 3 al mese, più di qualsiasi altro governo, più di ogni esecutivo tecnico»
7 dicembre 2024
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