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In un post su Facebook in cui annunciava che si trovava in parlamento per votare la “schiforma costituzionale”, il deputato pentastellato Di Battista si è scagliato contro l’esistenza del gruppo misto. “Una vera riforma costituzionale dovrebbe impedire l’esistenza di un gruppo misto non eletto da nessuno”, ha scritto nel prosieguo del post. Vediamo se i numeri che cita sono corretti, lasciando da parte il giudizio politico sulla necessità di formare il gruppo misto.



Quanti sono i deputati del gruppo misto



Sul sito della Camera si può facilmente consultare la composizione aggiornata dei gruppi parlamentari. Il numero di deputati che aderiscono al gruppo misto sono proprio 61, il che ne fa effettivamente il terzo gruppo, dietro quello del Partito Democratico (303 deputati) e del Movimento 5 Stelle (91) e davanti persino al gruppo di Forza Italia (che si ferma a 53). Dato che i seggi alla Camera sono 630, i deputati del gruppo misto sono il 9,68% del totale.



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Le componenti del gruppo misto



Il gruppo oggetto dell’analisi ospita a sua volta diverse correnti: al suo interno infatti vi sono altri raggruppamenti anche più numerosi dei più sparuti gruppi alla Camera, mentre solo 20 deputati non sono iscritti ad alcuna componente interna.



Ad esempio, la componente “Conservatori e riformisti”, ovvero i fuoriusciti di Forza Italia che fanno capo all’ex ministro pugliese Raffaele Fitto (i cosiddetti “fittiani”), ha ben 11 deputati. Seguono, con 10 deputati, le due componenti di Alternativa Libera – Possibile (che riunisce i fuoriusciti del M5S e i cosiddetti “civatiani”) e di Ala-Maie – quelli definiti “verdiniani” – e una lista che si è presentata nella circoscrizione Estero. Tutte e tre hanno più deputati del gruppo autonomo più piccolo della Camera, quello di Fratelli d’Italia.




Perché alcuni deputati si organizzano in una componente interna del gruppo misto e non in un gruppo autonomo? Il motivo è da ricercare nel regolamento della Camera, nella parte sulla formazione di nuovi gruppi. L’articolo 14 di questo regolamento stabilisce che il numero minimo per fondare un gruppo è di venti deputati.



In alternativa, è necessario che chi chiede di formare un gruppo autonomo rappresenti “un partito organizzato nel Paese che abbia presentato, con il medesimo contrassegno, in almeno venti collegi, proprie liste di candidati, le quali abbiano ottenuto almeno un quoziente in un collegio ed una cifra elettorale nazionale di almeno trecentomila voti di lista validi”. Tale condizione non può essere soddisfatta, naturalmente, dai deputati che decidono di raggrupparsi sotto una nuova denominazione dopo le elezioni, come è il caso delle componenti che abbiamo già ricordato.



Il verdetto



Di Battista cita numeri corretti per quanto riguarda il gruppo misto e ha ragione anche quando ricorda che è il terzo “partito” della Camera, anche se le sue componenti dimostrano che al suo interno raccoglie orientamenti politici molto diversi. Al netto del giudizio politico sulle motivazioni che spingono ad aderire a tale gruppo e della convinzione del grillino che sia necessario abolirlo, la dichiarazione è vera.