Durante l’Assemblea pubblica di Federalimentare all’Expo, il Premier sostiene che la crescita esplosiva dell’Italia, durata mezzo secolo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, si sia sostanzialmente fermata nella seconda metà degli anni ’90. Del miracolo economico italiano sono pieni i sussidiari, mentre la flebile ripresa registrata dal Pil nel primo trimestre 2015 non distoglie certo dal lungo periodo di recessione e stagnazione. Renzi è però categorico: sono 20 anni che l’Italia ha “smesso di crescere” mentre prima cresceva “più di tutti gli altri, più della Germania, più della Francia, più del Regno Unito”. Sarà stato preciso? Abbiamo controllato i dati.



Una crescita anemica



Dal 1995 al 2014 l’economia italiana è passata da 1.288 a 1.405 miliardi di euro. Si è quindi espansa di circa 9 punti percentuali in 20 anni. Su lunghi periodi è forse più utile però guardare il valore del Pil pro capite, per capire quanta di questa crescita è stata in realtà dovuta ad un mero aumento della popolazione.



Il confronto del Pil pro capite è ancora più gramo. Nel 1995 il Pil pro capite italiano era pari a 24.800 euro, poco sopra la media UE15 di 24.200 euro; vent’anni dopo questo valore è aumentato ad appena 25.300 euro in Italia rispetto ai 29.800 euro nell’UE15 (tutti i valori sono concatenati). L’aumento percentuale è stato quindi di appena 2% su vent’anni per il Belpaese rispetto al 23% dell’UE15. Il divario è però meno marcato quando si guarda ai tredici anni dal 1995 alla crisi; il Pil pro capite italiano è cresciuto del 13,7% in quel periodo, rispetto al 26% dell’UE15. Insomma, se è vero che ci ritroviamo – a vent’anni dal 1995 – con più o meno lo stesso Pil pro capite, è anche vero che questo è dovuto in buona parte al crollo vissuto dal 2008 in avanti. Renzi pecca quindi i esagerazione quando parla di vent’anni in cui l’Italia “ha smesso di crescere”.



graphIl miracolo economico italiano



La seconda parte della dichiarazione del Premier è più complicata da verificare. Le tre banche dati a cui solitamente ci affidiamo per verifiche come queste (Banca Mondiale, Eurostat, Fmi) non arrivano fino al 1945 con le loro rilevazioni statistiche. In compenso esiste un database creato dall’economista Angus Maddison (ed aggiornato anche successivamente alla sua morte), che stima i valori del Pil pro capite dall’anno 1 AC. Se le stime di duemila anni fa possono essere decisamente indicative, sul periodo del dopoguerra diventano più affidabili ed offrono uno strumento per confrontare la crescita dei Paesi europei.



Come si può vedere consultando il database di Maddison, effettivamente l’Italia ha visto il Pil pro capite crescere in una maniera spettacolare nei cinquant’anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il valore era pari a 1.609 dollari “internazionali Geary-Khamis” nel 1945 (una valuta ipotetica che permette il confronto su lunghi periodi di tempo). Nel 1995 questo valore era aumentato del 970% e raggiunto 17.127 $GK internazionali. Come si può vedere dalle nostre elaborazioni, a seconda che si parta dal 1945 o dal 1946, l’aumento riscontrato varia tra Paesi (in particolare per la Germania, che si è contratta ulteriormente). In ogni caso l’Italia è seconda tra i Paesi occidentali inclusi nella banca dati, sia che si parta dal 1945 (dopo la Grecia: +1001%) sia che si parta dal 1946 (con un +696%, secondo solo al +825% dell’Austria). Renzi ha quindi sostanzialmente ragione nel parlare di un Pil cresciuto più “dell’intera Europa” e ha completamente ragione nel dire che la crescita è stata superiore a quella tedesca, francese e britannica.



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Il verdetto



Renzi sostiene che da 20 anni l’Italia ha smesso di crescere. In realtà per i 13 anni fino al 2008 l’Italia cresceva a mezzo motore ma cresceva; è stata poi la crisi a quasi azzerare il poco progresso fatto. Come per una dichiarazione di Grillo lunedì scorso, puniamo la prima parte della dichiarazione del Premier con un “Nì”. La seconda parte, sull’impressionante crescita del Pil nei cinquant’anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, è invece sostanzialmente corretta. Un “Nì” e un “C’eri quasi” ottengono un “Nì” complessivo.