Fiducia record: storia dei governi “più votati” da Andreotti a Draghi

Ansa
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Il governo di Mario Draghi ha ottenuto alla Camera e al Senato una fiducia fra le più larghe della storia repubblicana. Ma non la più larga.

Il nuovo presidente del Consiglio non ha infatti scalzato i record di Mario Monti nel 2011 e di Giulio Andreotti nel 1978.

Quali sono gli esecutivi “più votati” al loro insediamento? YouTrend ha stilato una classifica complessiva dei governi della storia repubblicana. Vi raccontiamo come sono nati – e come sono caduti – i primi quattro e perché hanno potuto contare su una così ampia base parlamentare.

1. Governo Monti

Tabella 1: Voti di fiducia al Governo Monti – Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica
Tabella 1: Voti di fiducia al Governo Monti – Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica
La fiducia al governo di Mario Draghi non supera il record di Mario Monti né al Senato né alla Camera.

Il primato della fiducia più larga della storia repubblicana rimane quindi a uno dei governi più contestati e rinnegati a posteriori. L’esecutivo guidato da Monti – il secondo della XVI legislatura – ottiene la fiducia del Senato il 17 novembre 2011 con 281 sì e 25 no, della sola Lega Nord (Tabella 1). In percentuale, i voti favorevoli sono il 91,8 per cento dei membri totali dell’assemblea, quell’anno 322 (per l’esattezza 323 contando lo stesso Monti, nominato come settimo senatore a vita dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 9 novembre 2011).

Alla Camera, il giorno successivo, i voti favorevoli alla fiducia arrivano invece a quota 556 contro 61 no. Anche a Montecitorio la percentuale è inedita: il governo Monti viene accolto dai sì dell’88,3 per cento dei componenti dell’assemblea.

Le vicende alla base della nascita del governo Monti sono oggetto di letture diverse, per cui ci limiteremo a ricordare le tappe immediatamente precedenti. Nell’autunno 2011, lo spread – il differenziale fra i titoli di stato tedeschi e italiani – raggiunge picchi record.

Il 10 novembre lo spread è a 575 punti e il Sole 24 ore titola a caratteri cubitali «FATE PRESTO» (Figura 1), rievocando il famoso titolo del Mattino dopo il terremoto dell’Irpinia nel 1980.

«Un “terremoto finanziario” globale scuote le fondamenta del Paese – scrive il direttore Roberto Napoletano nell’editoriale di quel giorno – ne mina pesantemente la tenuta economica e civile; la credibilità perduta ci fa sprofondare in un abisso dove il differenziale dello spread BTp-Bund supera i 550 punti e i titoli pubblici biennali hanno un tasso del 7,25 per cento».
Figura 1. La prima pagina del Sole 24 ore del 10 novembre 2011 – Fonte: Il Sole 24 Ore
Figura 1. La prima pagina del Sole 24 ore del 10 novembre 2011 – Fonte: Il Sole 24 Ore
A seguito delle dimissioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il 13 novembre il Capo dello Stato Giorgio Napolitano conferisce a Mario Monti, economista ed ex commissario europeo al Mercato interno, l’incarico di formare un governo tecnico per rispondere alla crisi causata dall’impennata dei rendimenti dei titoli di Stato.

Nonostante la fiducia senza paragoni da un punto di vista numerico, l’accoglienza all’esecutivo Monti rimane fredda. Nessun politico vuole entrare a far parte della squadra perché è chiaro che il governo dovrà prendere provvedimenti impopolari. Secondo i retroscena Silvio Berlusconi sarebbe disposto a concedergli cento giorni, prima di sfilarsi dalla maggioranza per tornare al voto a giugno.

Nel suo discorso di insediamento, il neopresidente del Consiglio Monti svela immediatamente la trama del suo governo: «Nato per affrontare una seria emergenza, il nuovo esecutivo vuole essere un governo di impegno nazionale chiamato, nel periodo messo a disposizione, ad affrontare la crisi economica – anticipa – risanando la finanza pubblica e promuovendo la crescita con interventi strutturali che distribuiscano i sacrifici con equità: il rigore di bilancio impone sacrifici, che sarebbero annullati dalla mancata crescita e non sarebbero accettati se non equamente distribuiti».

Il giorno della fiducia alla Camera non manca qualche nota di colore: Domenico Scilipoti, allora deputato di Popolo e territorio, si presenta a Montecitorio con il lutto al braccio, distribuendo manifesti mortuari con la scritta: «Oggi è morta la democrazia parlamentare / Il Popolo sovrano ne dà il triste annuncio al Paese».

L’esperienza di governo di Mario Monti si conclude l’8 dicembre 2012, quando il Popolo delle libertà decide di staccare definitivamente la spina per preparare il ritorno alle urne.

2. Governo Andreotti IV

Tabella 2: Voti di fiducia al Governo Andreotti IV – Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica
Tabella 2: Voti di fiducia al Governo Andreotti IV – Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica
Il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, un commando delle Brigate Rosse rapisce il presidente della Democrazia Aldo Moro e uccide i cinque uomini della scorta. Lo stesso giorno, alle ore 10, il calendario della Camera dei deputati prevede il voto di fiducia al quarto governo presieduto da Giulio Andreotti. Le circostanze rendono inevitabile un appoggio straordinariamente ampio delle forze politiche.

Andreotti ottiene a Montecitorio 545 sì, corrispondente, in termini percentuali, al favore dell’86,5 per cento dei membri della Camera (Tabella 2). Solo 30 i voti contrari, i deputati liberali, del Movimento sociale italiano, di Democrazia proletaria e i radicali. Il giorno stesso il Senato accorda la fiducia al nuovo governo con 267 sì, ovvero l’82,9 per cento dei membri dell’assemblea.

«Signor Presidente, onorevoli colleghi, l’imboscata tesa stamane all’onorevole Aldo Moro, con l’uccisione di quattro agenti dell’ordine ed il rapimento del nostro collega – è l’incipit del discorso di insediamento di Andreotti – pone angosciosi quesiti al nostro animo e rafforza in ognuno di noi la totale dedizione al servizio della Repubblica per rimuovere al limite delle umane possibilità questi centri di distruzione del tessuto civile della nostra nazione. La compattezza delle forze politiche e di quelle sindacali – in questo assolutamente concordi – deve costituire la base di una sempre più vigorosa azione psicologica e tecnica per ottenere che l’Italia non abbia a precipitare in una spirale di insicurezza e di ingovernabilità».

Non mancano momenti di tensione. Quando il presidente del Consiglio illustra comunque le linee programmatiche e parla di deficit, il deputato del Movimento sociale italiano Pino Romualdi lo interrompe con un brusco «Ma non si sono cose più importanti?», seguito dal collega di partito Giuseppe Rauti: «Ci sono altri quattro morti!». Il presidente della Camera Pietro Ingrao chiede di lasciar parlare il presidente del Consiglio. «Chi se ne frega del presidente del Consiglio!» è la risposta di Rauti.

Andreotti non si scompone: «Non creda l’onorevole Romualdi che anche per me sia molto agevole dovermi soffermare su queste cose – risponde – ma è dovere del Governo farlo! Sono infatti sicuro che se il Governo avesse rinunciato ad esprimere alcune linee del programma concordato, avreste detto che saremmo venuti qui a carpire la fiducia per uno stato emotivo».

Il giorno dopo il Corriere della sera, sotto il titolo “Fiducia lampo di Camera e Senato”, descrive così la seduta: «Il parlamento, malgrado l’emozione, lo sgomento e lo sdegno, ha reagito alla nuova sfida allo Stato nell’unico modo possibile. In poche ore ha conferito al quarto governo Andreotti con un voto di larghissima maggioranza “una fiducia lampo”, la piena capacità di operare» (Figura 2).
Figura 2. L’articolo del Corriere della sera del 17 marzo 1978 – Fonte: Corriere della Sera
Figura 2. L’articolo del Corriere della sera del 17 marzo 1978 – Fonte: Corriere della Sera
Il 9 maggio 1978, il cadavere di Aldo Moro sarà ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani a Roma.

Il quarto esecutivo di Giulio Andreotti dura un anno e 8 giorni. A marzo 1979, il governo cade a causa dei ripetuti rifiuti della Democrazia cristiana all’ipotesi di un ingresso del Partito comunista italiano – o di indipendenti di sinistra – nella squadra dei ministri.

3. Governo Draghi

Tabella 3: Voti di fiducia al Governo Draghi – Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica
Tabella 3: Voti di fiducia al Governo Draghi – Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica
«Oggi l’unità non è un’opzione ma un dovere». Il 17 febbraio il nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi presenta al Senato le linee programmatiche del suo neonato governo e ottiene la fiducia con 262 sì, 40 voti contrari e 2 astenuti (Tabella 3). Sono rimasti fuori della nuova coalizione di governo Fratelli d’Italia, qualche senatore sparso e 15 dissidenti del Movimento 5 stelle che sono stati espulsi.

Il giorno successivo anche la Camera accorda la fiducia al nuovo governo con 535 voti a favore, 56 contrari e 5 astenuti (Foto 1). In percentuale, i sì sono l’81,6 per cento al Senato e l’85 per cento.

Una fiducia certamente molto ampia – e composta da forze fra loro eterogenee – ma non la più ampia della storia repubblicana come si anticipava prima del voto.
Foto 1: Il voto di fiducia al governo Draghi alla Camera dei deputati – Fonte: Ansa
Foto 1: Il voto di fiducia al governo Draghi alla Camera dei deputati – Fonte: Ansa
A Palazzo Madama, il primo giorno – mentre alla Camera il discorso non viene ripetuto – Draghi tiene 51 minuti di discorso, si confonde in alcuni passaggi sui numeri e mostra una visibile emozione. Le priorità: contrasto alla pandemia, piano vaccinale contro il coronavirus, Recovery Plan, lavoro, giovani, scuola e fisco.

«Vi ringrazio della stima che mi avete dimostrato – dice il nuovo premier nella replica a Palazzo Madama – ma anch’essa dovrà essere giustificata e validata nei fatti dall’azione del Governo da me presieduto».

Il governo Draghi è il terzo della XVIII legislatura, dopo i primi due presieduti da Giuseppe Conte.

4. Governo Letta

Tabella 4: Voti di fiducia al Governo Letta – Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica
Tabella 4: Voti di fiducia al Governo Letta – Fonte: Camera dei deputati e Senato della Repubblica
Al quarto posto, fra i governi più votati nella fase di insediamento c’è l’esecutivo presieduto da Enrico Letta, in carica dal 28 aprile 2013 al 21 febbraio 2014. Appena 9 mesi e 25 giorni.

Le elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 determinano una situazione di stallo: il Partito democratico ottiene la maggioranza assoluta alla Camera, ma non al Senato; Pier Luigi Bersani, a capo della coalizione di centrosinistra, riceve un mandato esplorativo dal capo dello Stato Giorgio Napolitano; il tentativo fallisce dopo lo storico rifiuto in streaming ricevuto da parte del Movimento 5 stelle.

Il 24 aprile, il presidente della Repubblica conferisce al vicesegretario del Partito democratico Enrico Letta l’incarico di formare un governo di “larghe intese”: «Si è aperta la sola prospettiva possibile – sancisce Napolitano – quella cioè di una larga convergenza tra le forze politiche che possono assicurare al governo la maggioranza in entrambe le camere».
Figura 3. Corriere della sera del 30 aprile 2014
Figura 3. Corriere della sera del 30 aprile 2014
Il 29 aprile alla Camera (Figura 3) e il 30 al Senato Enrico Letta incassa una fiducia ampia con i voti di Partito democratico, Popolo della libertà, Scelta civica, Unione di centro e radicali. A Montecitorio i sì sono 453, i contrari 153, in percentuale approva la fiducia il 71,9 per cento dell’aula. A Palazzo Madama la percentuale è quasi del 70 per cento sul totale degli esponenti, pari a 223 voti favorevoli (Tabella 4).

Anche il discorso per la fiducia di Enrico Letta è a un appello alla responsabilità collettiva: «La prima verità è che la situazione economica dell’Italia è ancora grave. Abbiamo accumulato in passato un debito pubblico che grava come una macina sulle generazioni presenti e future e che rischia di schiacciare per sempre le prospettive economiche del Paese».

Il governo cadrà a febbraio 2014, quando il presidente del Consiglio Letta viene sfiduciato dal suo stesso partito («si rileva la necessità e l’urgenza di aprire una fase nuova», dirà il documento approvato dalla direzione Pd), di cui è segretario Matteo Renzi, pronto a presiedere l’esecutivo successivo.

Un caso a parte: il governo De Gasperi II e l’Assemblea Costituente

Tabella 5: Voti di fiducia al Governo De Gasperi II – Fonte: Camera dei deputati
Tabella 5: Voti di fiducia al Governo De Gasperi II – Fonte: Camera dei deputati
Il secondo governo De Gasperi è il primo della Repubblica italiana, ma rientra in quella che viene definita “transizione costituzionale” dal 1945 al 1948, precedente anche al calcolo delle legislature. In questa fase c’è un’unica camera: l’Assemblea costituente.

Per la sua eccezionalità, non si può paragonare ai governi successivi. Ma è di certo fra gli esecutivi con la fiducia più larga nella storia repubblicana.

Il 25 luglio 1946 l’Assemblea Costituente accorda la fiducia al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (Dc) con 389 sì e 53 no, corrispondente a quasi il 70 per cento del totale dei membri, 556 (Tabella 5). Gli assenti sono più di cento quel giorno.

Al di là dei numeri, alcuni governi dell’immediato secondo dopoguerra sono stati evocati nelle ultime settimane per una caratteristica, ovvero il coinvolgimento di partiti con storie politiche alternative e contrapposte: la Democrazia cristiana ebbe di volta in volta l’appoggio di forze ideologicamente molto lontane come ad esempio – nel caso del secondo governo De Gasperi – il Partito socialista italiano di unità proletaria, il Partito comunista italiano, il Partito repubblicano italiano e il Partito liberale italiano.

Proprio a quel periodo storico ha fatto esplicito riferimento Draghi nel suo discorso in Parlamento prima di chiedere la fiducia: «Oggi come accadde ai governi dell’immediato dopoguerra, abbiamo la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una nuova ricostruzione (…). A quella ricostruzione collaborarono forze politiche ideologicamente lontane, se non contrapposte. Sono certo che anche a questa nuova ricostruzione nessuno farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio apporto».

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