Entro la fine della settimana l’Italia potrebbe avere un nuovo governo. Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi terrà lunedì 8 e martedì 9 febbraio il secondo e ultimo giro di consultazioni con i gruppi parlamentari. L’ipotesi è che l’ex presidente della Banca centrale europea possa salire al Quirinale per presentare la propria squadra dei ministri già mercoledì, e dunque giurare ed entrare ufficialmente in carica fra giovedì e venerdì.
Il governo Draghi sembra in dirittura d’arrivo. Chi ne farà parte? Quale sarà la sua natura? Vediamo insieme cosa sappiamo e cosa non sappiamo ancora dell’esecutivo nascente.
Che cosa sappiamo
Le indicazioni del presidente della Repubblica
Il 2 febbraio, dopo le prime consultazioni, il capo dello Stato Sergio Mattarella ha preso atto dell’impossibilità di ricucire la maggioranza del Conte bis e ha delineato due sole strade percorribili: «dare vita a un nuovo governo, adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica, finanziaria» oppure «immediate elezioni anticipate».
Dopo aver elencato le controindicazioni all’ipotesi di un ritorno alle urne nei prossimi mesi, il presidente della Repubblica ha chiuso con un appello, con cui annunciava la scelta di dare vita a un governo istituzionale: «Avverto, pertanto, il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Un esecutivo, ha specificato Mattarella, che «faccia fronte con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili» ricordate nel suo discorso: la gestione della pandemia, la campagna vaccinale di massa contro il coronavirus e l’utilizzo degli oltre 200 miliardi di risorse europee per il rilancio economico del Paese.
È questo il primo identikit del governo a cui è poi stato associato un volto di grande autorevolezza internazionale: quello di Mario Draghi, economista ed ex presidente della Banca centrale europea.
Per giorni, i partiti hanno risposto all’incarico di Draghi apparentemente ignorando le parole del presidente della Repubblica. In molti hanno cominciato a richiedere un governo “politico”: Mattarella, al contrario, ha parlato di un esecutivo «che non debba identificarsi con alcuna formula politica». Tanti altri, ancora, hanno creduto di poter stabilire chi potesse farne parte e chi ne dovesse rimanere fuori: il presidente della Repubblica, invece, ha fatto esplicitamente un «appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento».
Nel giro di qualche giorno, i leader hanno aggiustato il tiro e si sono adeguati più realisticamente alla situazione, ma non del tutto. Ancora l’8 febbraio, due quirinalisti autorevoli, Marzio Breda sul Corriere della sera e Ugo Magri su La Stampa raccontano del «fastidio del Colle per la gara a escludere i rivali» e per i veti incrociati dei partiti.
Infatti, il problema principale del nuovo governo Draghi, al momento, è una base parlamentare fin troppo ampia, di forze politiche anche molto differenti fra loro.
Chi ha detto sì
Dopo i primi giorni di incertezza e di assestamento, il governo Draghi si appresta ad avere l’appoggio della quasi unanimità del Parlamento. O almeno, così appare il quadro dopo il primo giro di consultazioni.
L’unica forza politica ad aver detto esplicitamente di no al governo Draghi è Fratelli d’Italia. Eppure, persino il partito di Giorgia Meloni, che certamente non darà la fiducia all’esecutivo nascente, ha aperto alla possibilità di votare con la maggioranza i provvedimenti che valuterà utili al bene del Paese.
Nella lista degli incerti rimane anche Liberi e uguali, fin dall’inizio esitante davanti alla prospettiva di entrare in una maggioranza con la destra di Matteo Salvini. L’ipotesi più probabile, ad oggi, è che alla fine ci sia anche Leu, da cui però potrebbero uscire gli esponenti della componente Sinistra italiana, a partire dal segretario Nicola Fratoianni.
E del resto, l’adesione piena della Lega ha messo notevolmente in difficoltà tutta l’ex maggioranza del Conte bis. La coalizione giallorossa era pronta a digerire con maggiore facilità quella che viene chiamata “maggioranza Ursula”, ovvero il ventaglio di forze politiche che il 16 luglio 2019 ha votato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen: socialdemocratici e popolari, ma senza i sovranisti. Tradotto nella lingua dei partiti italiani: Partito democratico, Movimento 5 stelle e Forza Italia. Inizialmente sembrava che quello della Lega potesse essere solo un appoggio esterno: voto alla fiducia, ma senza entrare a far parte della maggioranza e dell’esecutivo.
Sabato 6 febbraio, invece, il leader del Carroccio, dopo il colloquio con Mario Draghi, ha cambiato le carte in tavola con un’apertura totale, persino più ampia di quella degli altri partiti: «Siamo a disposizione – ha detto il segretario della Lega – noi non poniamo condizioni». La mossa è stata definita come “la svolta europeista di Matteo Salvini”. L’uomo dietro questo cambiamento di linea è il numero due del partito Giancarlo Giorgetti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel primo governo Conte.
Una minoranza del Movimento 5 stelle – fuori dal Parlamento rappresentata dall’ex deputato Alessandro Di Battista – continua a essere recalcitrante e potrebbe non votare la fiducia a Draghi. Si parla di circa 40 senatori dei 92 del M5s. È un numero significativo per gli equilibri all’interno del Movimento, ma non sarebbe nei fatti un problema per il nuovo presidente incaricato, che può già contare sull’appoggio di più di due terzi dell’arco parlamentare.
Che cosa non sappiamo
La squadra: governo tecnico o misto
Per quanto ci si eserciti in queste ore nel gioco fantasioso del “totoministri”, al momento non ci sono certezze sulla futura squadra guidata da Mario Draghi.
L’incognita principale, al di là dei nomi, è sulla natura stessa dell’esecutivo. Non è ancora chiaro se sarà completamente composto da tecnici (professori, economisti, esperti di ambiti specifici) come quello di Lamberto Dini nel 1995 e Mario Monti nel 2001 o se invece avrà una composizione mista, includendo quindi una rappresentanza di tutti i partiti a sostegno del governo nel Consiglio dei ministri, sul modello del governo di Carlo Azeglio Ciampi nel 1993.
La seconda formula – che appare oggi la più probabile – è anche la più difficile da percorrere perché porterebbe forze politiche molto diverse a sedere nello stesso esecutivo.
Il programma
Sui contenuti, l’unica certezza è che il nuovo presidente del Consiglio seguirà le priorità indicate dal Quirinale. Nel suo unico e ultimo intervento pubblico dopo l’incarico, il 3 febbraio, Mario Draghi ha citato sole le tappe obbligate già delineate da Mattarella: «Bisogna vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, rilanciare il Paese: sono le sfide che ci aspettano».
Il premier incaricato ha aggiunto solo qualche elemento in più sulla sua visione politica: «Abbiamo a disposizione le risorse straordinarie della Ue, abbiamo l’opportunità di fare molto per il nostro Paese con uno sguardo attento al futuro delle giovani generazioni e al rafforzamento della coesione sociale».
Mentre nel primo giro di consultazioni Draghi si è posto in una posizione di ascolto nei confronti dei partiti, nel corso del secondo giro ci si aspetta che il premier fornisca ai gruppi parlamentari le linee programmatiche dell’esecutivo che presiederà.
La durata
Il governo Draghi nasce per arrivare alla fine della legislatura nel 2023? La risposta, per ora, l’ha fornita la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni dopo il primo giro di consultazioni: «Abbiamo chiesto al presidente incaricato – ha detto – se escludesse la possibilità di un mandato “a tempo” che consentisse di mettere in sicurezza l’Italia sulle questioni più urgenti e consentire agli italiani di tornare al voto prima che scatti il semestre bianco e mi pare che invece la scelta sia quella di un orizzonte più lungo, direi di legislatura».
In realtà né Mattarella né Draghi hanno mai parlato di un “governo di scopo”, quindi limitato a esaurirsi dopo aver raggiunto una serie di obiettivi prestabiliti.
I dubbi sulla durata vengono prevalentemente dai partiti. «Noi ci siamo per un progetto della durata dei mesi necessari», ha detto Matteo Salvini a Radio24 il 7 febbraio.
Ciò che è certo è che da luglio si entrerà nel semestre bianco di Sergio Mattarella. Secondo l’articolo 88 della Costituzione, il presidente della Repubblica non può sciogliere le camere negli ultimi sei mesi del mandato.
In altri termini, se il governo Draghi non dovesse concludersi a giugno, per il ritorno alle urne bisognerebbe comunque aspettare l’elezione di un nuovo presidente della Repubblica prevista per gennaio-febbraio 2022.
In conclusione
Entro la fine della settimana, il Paese potrebbe avere un nuovo governo presieduto dall’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi.
Che cosa sappiamo, ad oggi, di questo nuovo esecutivo? Ne conosciamo di certo l’identikit iniziale delineato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «un governo di alto profilo», che non si riconosca in «nessuna formula politica» e aperto a tutte le forze in Parlamento.
Salvo colpi di scena, possiamo già dire quale saranno queste forze: tutte, tranne Fratelli d’Italia e forse Liberi e uguali.
Due questioni cruciali sono invece ancora da capire: la natura dell’esecutivo – solo tecnico o composto anche di politici? – e il programma che vorrà portare avanti.
Da ultimo, rimane il tema della durata. Qualcuno vorrebbe che il governo Draghi avesse una scadenza prestabilita; l’intenzione dell’interessato, e del presidente della Repubblica, sembrerebbe al contrario quella di arrivare alla fine della legislatura, nel 2023.
Movimento 5 stelle
Questo weekend si decide il futuro del Movimento 5 Stelle