Vaccini: ecco quando vedremo i primi risultati in Italia

Ansa
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Al 25 gennaio sono poco più di 100 mila le persone in Italia che hanno ricevuto entrambe le dosi del vaccino contro il coronavirus, quelle che possiamo definire insomma come del tutto “vaccinate”. Oltre 1,3 milioni hanno invece ricevuto, per ora, la prima dose e sono in attesa della seconda inoculazione.

Quanto tempo occorrerà prima di vedere gli effetti di questa campagna vaccinale nel nostro Paese? In breve, la risposta è: alcuni mesi. Ma i tempi dipendono da diversi fattori, per esempio dalle caratteristiche dei singoli vaccini e da chi si è scelto di vaccinare per primo.

Dopo quanto fa effetto il vaccino

Partiamo dal primo punto, ossia dal funzionamento dei vaccini (per ora in Italia sono stati autorizzati quelli sviluppati da Pfizer-BioNTech e da Moderna).

Ad oggi le evidenze scientifiche dicono che i vaccini contro il coronavirus fanno crollare drasticamente il rischio di sviluppare i sintomi della Covid-19. Non si sa però ancora molto sulla loro capacità di limitare l’infezione (magari asintomatica) e la trasmissione del virus. Per questo, anche chi è vaccinato deve rispettare misure come il rispetto della distanza fisica e l’uso della mascherina.

La protezione data dai vaccini non è immediata e garantita al 100 per cento – esiste infatti la possibilità, seppur minima, di avere sintomi anche se vaccinati – ma servono in ogni caso alcuni giorni prima di sviluppare l’immunità.

I primi segnali dell’efficacia del vaccino sviluppato da Pfizer-BioNTech – quello con cui si sono fatte la stragrande maggioranza delle vaccinazioni finora in Italia – si vedono circa due settimane dopo la prima dose. Ma la protezione completa la si ha solo dopo una settimana dalla seconda dose, cioè dopo un mese dalla prima. Per il vaccino sviluppato da Moderna, invece, i tempi sono leggermente più lunghi, visto che il richiamo viene fatto dopo 28 giorni dalla prima dose.

Dunque, se si potessero vaccinare in un istante tutti gli oltre 60 milioni di italiani, non si avrebbero effetti immediati, ma almeno dopo un mese.

Alcuni dati preliminari raccolti in Israele – il Paese più avanti di tutti al mondo con le vaccinazioni – suggeriscono che la riduzione dei contagiati possa arrivare fino al 60 per cento dopo un intervallo di tempo tra i 13 e i 23 giorni dopo l’inizio delle somministrazioni delle prime dosi. Ma per il momento si tratta di dati preliminari, seppure incoraggianti.

Che cosa succede se incrociamo queste tempistiche con le strategie di chi si è scelto di vaccinare per primo?

Gli effetti sul personale ospedaliero

Nella prima fase della campagna vaccinale, il Ministero della Salute ha deciso di dare la priorità agli operatori sanitari e socio-sanitari con l’obiettivo di rendere le strutture sanitarie libere dal coronavirus. Alla base di questa strategia, c’è la speranza – più che la certezza, come abbiamo visto prima – che il vaccino protegga non solo dallo sviluppo dei sintomi della malattia, ma anche dall’infezione e dalla trasmissione.

In Italia, la maggior parte degli operatori sanitari e socio-sanitari – più di 900 mila su un totale di 1,4 milioni – ha già ricevuto la prima dose del vaccino. Come abbiamo spiegato di recente, il Ministero della Salute utilizza una definizione molto ampia della categoria “operatore sanitario”: in pratica, vi rientra chiunque lavori nel comparto sanità (incluso, per esempio, il personale amministrativo delle strutture), e non solo medici e infermieri.

Secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità (Iss), gli operatori sanitari negli ultimi mesi hanno rappresentato circa il 4-6 per cento dei casi settimanali che sono stati accertati. Già nelle prossime settimane, grazie ai vaccini, si potrebbe quindi assistere a un calo del loro peso sul totale dei casi. Va comunque detto che in passato le diverse strategie di testing adottate a livello locale hanno causato diverse oscillazioni del peso degli operatori della sanità sul totale dei casi. È quindi possibile che un eventuale calo non sia per forza del tutto attribuibile alle vaccinazioni.

Al di là di questo, se il vaccino dovesse risultare più efficace del previsto – per esempio, riducendo la trasmissione del virus – potrebbe verificarsi anche un calo dei focolai nelle strutture ospedaliere. I focolai negli ospedali e in altri luoghi sensibili sono uno degli elementi che l’Iss controlla settimanalmente per decidere quali restrizioni applicare alle regioni. Nelle ultime settimane, il loro peso sul totale è stato abbastanza costante.

Ricapitolando: i dati sugli ospedali e gli istituti di cura saranno i primi a dirci quale impatto stanno avendo le vaccinazioni su contagi e focolai.

Gli effetti sugli anziani

Dopo gli operatori sanitari, nella prima fase il piano vaccinale prevede di vaccinare i residenti nelle case di riposo per anziani e gli over 80. Al momento le regioni stanno dando priorità agli over 90.

Prima di quantificare gli effetti dei vaccini su questa fascia della popolazione, vediamo brevemente il peso anagrafico di contagi, ospedalizzati e decessi.

L’identikit dei positivi al virus

La Covid-19 – la malattia causata dal Sars-CoV-2 – non colpisce infatti tutti allo stesso modo: le fasce più anziane della popolazione hanno infatti un rischio maggiore di sviluppare sintomi gravi, e di conseguenza di essere ricoverati e morire.

Nel nostro Paese (dati aggiornati al 24 gennaio) i casi accertati di positività al coronavirus con meno di 20 anni sono poco più del 12 per cento, quelli tra i 20 e 39 anni il 24 per cento, quelli tra i 40 e i 59 anni il 29 per cento e quelli tra gli over 60 il 18 per cento. Ma il 95 per cento dei decessi è concentrato tra gli over 60. Più nel dettaglio, il 20 per cento sono tra gli over 90, il 42 per cento tra gli 80 e 89 anni, il 25 per cento tra i 70 e i 79 anni e il 9 per cento tra i 60 e i 69 anni.
In Italia non esistono poi dati ufficiali sull’età di chi è ospedalizzato o di chi è ricoverato in terapia intensiva. Li abbiamo a disposizione, però, per altri Paesi, come la Francia, che ci permette di avere un confronto spannometrico e utile come ordine di grandezza.

In Francia gli over 90 costituiscono il 16 per cento dei ricoverati in ospedale, quelli tra 80 e 89 anni il 33 per cento, quelli tra 70 e 79 anni il 24 per cento, quelli tra 60 e 69 anni il 14 per cento e gli under 60 il 12 per cento. Per quanto riguarda le terapie intensive, invece, gli over 90 sono solo l’1 per cento, quelli tra 80 e 89 anni il 10 per cento, quelli tra 70 e 79 anni il 36 per cento, quelli tra 60 e 69 anni il 30 per cento e gli under 60 il 22 per cento.

Se si guarda alle persone attualmente positive in Italia e al loro stato clinico si vede come la maggior parte dei casi sia concentrata nelle classi di età più avanti con gli anni. Le persone che mostrano sintomi severi o critici sono sotto il 3 per cento per chi ha meno di 60 anni, il 6,6 per cento tra i 60 e i 69 anni, il 12 per cento tra i 70 e i 79 anni, il 15 per cento tra gli 80 e 89 anni e l’11,3 per cento degli over 90.
Le previsioni sugli anziani

Vaccinando tutti gli over 90 – l’1,3 per cento della popolazione italiana – si potrebbe assistere a una riduzione del 22 dei decessi e del 15 per cento degli ospedalizzati, ma solo dell’1 per cento delle terapie intensive. Quando si saranno vaccinati tutti gli over 80, invece, la riduzione dei decessi potrebbe essere fino al 60 per cento, quella degli ospedalizzati del 45 per cento e quella delle terapie intensive del 10 per cento.

Secondo fonti stampa, le vaccinazioni degli over 80 termineranno solo a fine marzo alla luce delle riduzioni delle consegne di dosi da parte delle società farmaceutiche. Questo vorrebbe dire che i primi effetti li si vedrebbero tra aprile e maggio.

Nella seconda fase delle vaccinazioni, invece, il governo italiano prevede di vaccinare gli over 60, le persone con patologie pregresse, gli insegnanti e i gruppi socio-demografici più a rischio.

Vaccinando tutti gli over 60 – circa il 30 per cento della popolazione – la riduzione dei decessi potrebbe essere fino al 90 per cento, quella degli ospedalizzati dell’80 per cento e quella delle terapie intensive del 75 per cento. Vaccinando circa un terzo della popolazione si potrebbe ridurre in modo molto considerevole sia il numero di decessi sia la pressione sugli ospedali.

Qui fare delle previsioni diventa però più complicato. Per vaccinare circa il 30 per cento della popolazione, servirebbe somministrare circa 35 milioni di dosi. Ma, come abbiamo visto sopra, anche qui non è dato sapere quali saranno le quantità di vaccini consegnate alla luce dei tagli annunciati dalle case farmaceutiche.

I limiti delle previsioni

Prima di concludere, va ricordato che questi risultati si avrebbero con un vaccino con efficacia al 95 per cento come quelli di Pfizer-BioNTech e di Moderna. Il vaccino sviluppato da AstraZeneca–Università di Oxford dovrebbe essere approvato dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema) il prossimo 29 gennaio e le somministrazioni iniziare a metà febbraio, ma molto probabilmente avrà un’efficacia minore; i primi dati attestavano l’efficacia al 70 per cento. In quel caso si vedrebbero effetti minori rispetto a quelli degli altri due vaccini.

Bisogna inoltre considerare che esiste il problema dei ritardi di notifica. Come abbiamo spiegato più volte in passato, i casi e i decessi comunicati come giornalieri non sono davvero avvenuti in quel giorno specifico. Si tratta di casi accertati e di decessi avvenuti nei giorni o nelle settimane precedenti e notificati in ritardo al Ministero della Salute.

È quindi possibile che una riduzione dei decessi causata dai vaccini verrà registrata, anche in questo caso, con un po’ di ritardo, perché si staranno ancora registrando i decessi delle settimane precedenti, mentre nei dati legati agli ospedali si dovrebbe vedere prima l’effetto delle vaccinazioni.

In conclusione

Vaccinare un numero ristretto di persone ha un effetto molto grande perché la Covid-19 colpisce in particolar modo gli anziani. Alla fine della fase due del piano vaccinale è quindi possibile iniziare a ipotizzare un ritorno verso la normalità.

Nelle prossime settimane, i primi effetti visibili dei vaccini saranno molto probabilmente un calo della proporzione di operatori sanitari positivi e successivamente una riduzione dei decessi e degli ospedalizzati. È ragionevole attendersi che le terapie intensive saranno però uno degli ultimi indicatori a scendere.

Fare previsioni su quali possano essere le tempistiche a più ampio raggio è invece più complesso per via dei ritardi che si stanno avendo nella produzione e nella consegna dei vaccini. Inoltre, è possibile che i ritardi di notifica impediscano di vedere fin da subito l’effetto delle vaccinazioni.

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