La limatura va avanti da giorni, rinvio dopo rinvio. Il 7 gennaio i partiti hanno ricevuto dal governo una versione aggiornata del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, ovvero il Recovery plan italiano. Aggiornata, ma non definitiva.
La definizione del piano da oltre 200 miliardi di fondi europei si è complicata da quando – a dicembre – il tema è finito al centro delle critiche di Italia viva al governo (di cui fa parte) fino a far ipotizzare l’apertura di una crisi.
A che punto è quindi il Recovery plan italiano? Vediamo quali sono gli ultimi cambiamenti e gli ostacoli sul percorso del governo.
L’ultimo documento
L’unica cosa certa è che la bozza su cui stanno lavorando governo e forze politiche non possa essere considerata definitiva. Il 7 gennaio, i partiti della maggioranza hanno ricevuto un testo di 13 pagine – qui pubblicato da Open – che riportava in testa una chiara premessa: «Avvertenza. Il presente documento costituisce una sintesi delle attività di rielaborazione della bozza di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). (…) È un documento di lavoro interno al Governo, per favorire il raggiungimento dell’accordo politico sulle modifiche alla bozza di Pnrr».
Non si tratta quindi di una vera e propria nuova versione del piano, di cui conosciamo una bozza del 6 dicembre e una del 29 dicembre. Nel documento del 7 gennaio viene infatti precisato (pag. 1) che «la bozza di Pnrr sarà poi analizzata nel prossimo Consiglio dei ministri e costituirà la base di discussione per il confronto con il parlamento, le istituzioni regionali e locali, le forze economiche e sociali, il terzo settore e le reti di cittadinanza, ai fini dell’adozione definitiva del Piano Next Generation Italia». Ancora una lunga strada prima della versione finale, in altri termini.
Non è chiaro se insieme a questo documento di lavoro ci sia una bozza più estesa, ma al momento sembrerebbe che le forze politiche non abbiano ricevuto altro. L’8 gennaio, la ministra delle Politiche agricole e capo delegazione di Italia viva Teresa Bellanova ha detto a Radio 24: «Abbiamo ricevuto le 13 cartelle, oggi le studieremo e valuteremo».
Nel tardo pomeriggio dell’8 gennaio, alle ore 18, dovrebbe tenersi un vertice fra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i capi delegazione proprio per discutere le novità introdotte nel Recovery plan.
Vediamo di che cosa si discuterà.
Che cosa cambia
I cambiamenti nell’ultima versione di Recovery plan di cui si sta discutendo sono consistenti. Il primo e più evidente sta nell’ammontare totale dei fondi. La bozza del 6 dicembre prevedeva in totale 196 miliardi di euro, l’ultima versione ne conteggia 222 (pag. 2). Nel documento di lavoro si spiega da dove viene questo aumento: «Oltre ai 196 miliardi tra grants e loans [sussidi e prestiti, ndR]previsti per l’Italia dal Recovery and Resilience Facility, che il governo ha deciso di utilizzare integralmente, un ulteriore apporto finanziario è fornito, sempre nell’ambito di Next Generation EU (Ngeu), dai 13 miliardi di React-EU e dal 1,2 miliardi del Just Transition Fund». Per un totale di 210 miliardi, ai quali sono stati aggiunti altri 12 miliardi provenienti dai Fondi per lo sviluppo e la coesione territoriale, ovvero i fondi normalmente previsti dal bilancio settennale europeo (in questo caso 2021-2027).
Ricordiamo più precisamente a che cosa corrispondono queste diverse voci di finanziamento. Il Next Generation Eu è lo strumento attraverso il quale l’Unione europea – indebitandosi sui mercati – distribuirà agli Stati membri i fondi necessari a favorire la ripresa economica e sociale dopo la pandemia. Il programma vale in totale 750 miliardi di euro, di cui 360 miliardi in prestiti e 390 in sovvenzioni a fondo perduto. La parte principale del Next Generation Eu è il Recovery and resilience facility (in italiano, “Dispositivo di finanziamento per la ripresa e la resilienza”), che fornisce 672,5 miliardi di euro dei 750 totali. In questi 750 miliardi cisono poi il fondo React Eu da 47,5 miliardi – destinati alla risposta all’emergenza Covid-19 – e il Fondo per la giusta transizione da 10 miliardi per «favorire gli investimenti produttivi nelle piccole e medie imprese, la creazione di nuove imprese, la ricerca e l’innovazione, il risanamento ambientale, l’energia pulita».
Un altro cambiamento significativo nell’ultimo documento è la diversa distribuzione fra investimenti (progetti pluriennali come l’alta velocità, le infrastrutture nel Mezzogiorno e la rete 5G) e incentivi (misure come il superbonus per la ristrutturazione edilizia e il cashback). Gli investimenti corrisponderanno (pag. 5) al 70 per cento del totale (con conseguente diminuzione degli incentivi).
Alcuni capitoli, in particolare, hanno guadagnato dall’aumento dei fondi da 196 a 222 miliardi. La missione “Sanità” disponeva secondo le prime bozze di 9 miliardi. La cifra – considerata insufficiente davanti alle necessità nate dalla pandemia – non era piaciuta a più di una forza politica della maggioranza: primi fra tutti, Italia viva (che chiede peraltro anche l’accesso all’apposita linea di credito del Mes) e Liberi e uguali, il partito che esprime il ministro della Salute Roberto Speranza. La dote per la “Sanità” è stata portata nell’ultimo documento (pag. 13) da 9 a 19,7 miliardi.
Ci sono poi 5 miliardi in più per “Turismo e cultura” (dai 3,1 miliardi della prima bozza a 8 miliardi), anche questo un punto su cui si è esercitata la pressione di Italia viva. Su “Istruzione e ricerca” – un altro dossier molto contestato nella formulazione iniziale – vengono aggiunti 9 miliardi (per un totale di 27,9 miliardi).
Anche queste cifre, come abbiamo detto, rimangono da confermare, a partire dall’incontro fra i partiti dell’8 gennaio. Intanto, i presupposti non sembrano essere i migliori. Fonti di Italia viva avrebbero detto all’agenzia di stampa Adnkronos che il nuovo documento «è quanto meno criptico, c’è molto da chiarire. Come si possono descrivere 200 miliardi in 13 pagine?».
Tempi e scadenze
La scadenza per la presentazione dei Recovery plan nazionale, come si legge sul sito della Commissione Ue, è il 30 aprile 2021.
All’inizio di settembre 2020 il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni ha spiegato in un’audizione alla Camera che, da parte della Commissione europea, «l’incoraggiamento è, ove possibile, a presentare [i piani di ripresa] in forma definitiva anche prima della scadenza di fine aprile».
Il 7 gennaio, nel corso di un’audizione davanti alle commissioni Esteri e Politiche europee del Senato, il ministro agli Affari Ue Enzo Amendola ha detto che «il Regolamento del Recovery and Resilience Facility verrà probabilmente approvato dal Parlamento europeo ai primi di febbraio, quindi l’apertura della consegna ufficiale dei Piani da parte dei 27 Paesi a Bruxelles è molto probabile che si svolga da metà febbraio fino alla fine di aprile».
Dalle parole del ministro si può quindi dedurre che l’Italia non invierà il piano definito alla Commissione prima di metà febbraio.
Il governo ha però davanti a sé una serie di passaggi decisivi e non pacifici prima di arrivare alla versione definitiva del proprio Recovery plan, anche questi confermati da Amendola in audizione: l’ok del Consiglio dei ministri e l’invio del documento in Parlamento perché questo possa a sua volta vagliarlo ed esprimere un proprio parere (non è ancora chiaro se questo avverrà con un voto in aula).
Una tabella di marcia su cui pesa più di ogni altro aspetto l’incognita di una possibile crisi di governo all’orizzonte.
In conclusione
Il 7 gennaio, i partiti hanno ricevuto un nuovo testo aggiornato sui contenuti del Recovery plan italiano. Si tratta di un documento di lavoro di 13 pagine che nel pomeriggio dell’8 gennaio – almeno secondo le anticipazioni – dovrebbe essere discusso dalle forze politiche della maggioranza, rappresentate dai propri capi delegazione.
La nuova versione del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” contiene cambiamenti rilevanti. A partire dalle cifre: i progetti varranno in totale 222 miliardi, mentre le prime bozze ne prevedevano 196.
La variazione è particolarmente significativa per la missione “Sanità”, che è passata da 9 a quasi 20 miliardi. La cifra iniziale era infatti stata contestata da più di una voce all’interno della maggioranza.
La scadenza per la presentazione dei Recovery plan nazionali alla Commissione Ue è il 30 aprile 2021. Al momento il governo ha ancora davanti a sé una lunga strada. L’accordo politico fra i partiti della maggioranza non è scontato: nel caso vi si arrivasse, il documento dovrebbe essere approvato in Consiglio dei ministri e poi esaminato in Parlamento. Sempre che il percorso non venga interrotto prima dall’apertura ufficiale di una crisi di governo.
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