Aggiornamento 30 novembre, ore 10 – Il 27 novembre l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha pubblicato il nuovo bollettino settimanale, con i dati aggiornati al 25 novembre. Il report contiene la seguente spiegazione sulla discrepanza tra i dati Iss delle terapie intensive e quello della Protezione civile: «Si sottolinea che i dati relativi allo stato clinico e al reparto di degenza sono dati soggetti a cambiamenti a causa dell’evoluzione dello stato clinico dei pazienti e al loro conseguente spostamento in reparti di degenza diversi. L’aggiornamento di queste variabili nel database della Sorveglianza Integrata Nazionale coordinata dall’ISS che, si ricorda, contiene dati individuali richiede tempo, e di conseguenza il dato può risultare leggermente disallineato da quello fornito dal flusso di dati aggregati coordinato dal Ministero della Salute».
Da mesi abbiamo ormai imparato che i dati sul coronavirus pubblicati ogni giorno dalla Protezione civile vanno letti con molta cautela. Tra le statistiche ritenute più affidabili per comprendere il reale andamento dell’epidemia, c’è quella sui ricoverati in terapia intensiva (Ti), che non sembra essere troppo condizionata, per esempio, dalle capacità di testing del nostro Paese.
Ma anche per le terapie intensive c’è un problema non da poco: se si confrontano i dati giornalieri sulle Ti della Protezione civile con quelli pubblicati settimanalmente dall’Istituto superiore di sanità (di norma il venerdì o il sabato, con dati aggiornati al mercoledì precedente), si scopre che ci sono delle differenze notevoli sul numero dei ricoverati.
Secondo i dati dell’Iss più aggiornati, al 18 novembre risultavano in terapia intensiva quasi 4.600 positivi al coronavirus: un dato di quasi mille unità più elevato di quello della Protezione civile, e superiore al picco della prima ondata, con 4.068 ricoverati in Ti al 3 aprile.
Ma qual è il motivo di queste discrepanze? Una risposta chiara non c’è, ma si possono comunque formulare alcune ipotesi. Prima di vederle, analizziamo che cosa dicono i dati.
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Da mesi abbiamo ormai imparato che i dati sul coronavirus pubblicati ogni giorno dalla Protezione civile vanno letti con molta cautela. Tra le statistiche ritenute più affidabili per comprendere il reale andamento dell’epidemia, c’è quella sui ricoverati in terapia intensiva (Ti), che non sembra essere troppo condizionata, per esempio, dalle capacità di testing del nostro Paese.
Ma anche per le terapie intensive c’è un problema non da poco: se si confrontano i dati giornalieri sulle Ti della Protezione civile con quelli pubblicati settimanalmente dall’Istituto superiore di sanità (di norma il venerdì o il sabato, con dati aggiornati al mercoledì precedente), si scopre che ci sono delle differenze notevoli sul numero dei ricoverati.
Secondo i dati dell’Iss più aggiornati, al 18 novembre risultavano in terapia intensiva quasi 4.600 positivi al coronavirus: un dato di quasi mille unità più elevato di quello della Protezione civile, e superiore al picco della prima ondata, con 4.068 ricoverati in Ti al 3 aprile.
Ma qual è il motivo di queste discrepanze? Una risposta chiara non c’è, ma si possono comunque formulare alcune ipotesi. Prima di vederle, analizziamo che cosa dicono i dati.