Lo scorso 30 aprile, in vista delle riaperture successive al lockdown nazionale, il Ministero della Salute
ha pubblicato un decreto dove ha elaborato una serie di criteri con cui viene valutato il rischio dell’epidemia da nuovo coronavirus.
Per quanto riguarda la situazione negli ospedali,
sono stati scelti due criteri: il tasso di occupazione dei posti di terapia intensiva superiore al 30 per cento; il tasso di occupazione dei posti letto totali delle «aree mediche rilevanti» superiore al 40 per cento.
Le «aree mediche rilevanti» sono quelle in malattie infettive e tropicali, medicina generale e pneumologia [1]. Ma quanto sono “occupati” al momento i posti letto in Italia in questi reparti?
Ogni anno il Ministero della Salute
rilascia in formato open data – ossia dati liberamente accessibili da tutti – il numero di posti letto negli ospedali italiani, divisi per area medica. Secondo l’ultimo aggiornamento, a fine 2019 i posti letto delle tre aree mediche citate prima erano 37.960, con un massimo di 6.369 in Lombardia e un minimo di 66 in Valle d’Aosta.
Per quanto riguarda i posti letto in terapia intensiva, Il Report 11 sul “Monitoraggio Fase 2” del Ministero della Salute con i posti allora occupati in terapia intensiva
sottolinea che si fa riferimento a quelli ordinari. Questi ammontano a 5.293, anche qui il massimo è di 859 in Lombardia e il minimo di 12 in Valle d’Aosta.
Secondo un documento elaborato dall’Università Cattolica di Milano, in Italia nei primi giorni dell’epidemia
vi erano 6.831 posti di terapia intensiva e a maggio si
era arrivati ad averne 8.765.
Al 30 agosto, in Italia i 1.251 ricoverati con sintomi
occupavano il 3,3 per cento dei posti letto rilevanti, mentre gli 86 ricoverati in terapia intensiva erano l’1,6 per cento in questa specifica categoria.
Sono due percentuali molto distanti dai livelli soglia del Ministero della Salute (30 per cento per le intensive e 40 per cento per le tre aree mediche rilevanti), ma è necessario sottolineare che ci sono significative differenze regionali.
Come cambiano i dati a livello regionale
Al 30 agosto, nel Lazio il tasso di occupazione dei tre reparti di malattie infettive, medicina generale e pneumologia era pari all’8,8 per cento, mentre nella Provincia autonoma di Trento era dello 0,6 per cento e in Lombardia del 3 per cento.
Anche per quanto riguarda le terapie intensive vi è un’alta differenza nelle percentuali: nella Provincia autonoma di Bolzano al 30 agosto era occupato il 5 per cento dei posti; in Calabria, Valle d’Aosta e Molise non c’era nessuno ricoverato e in Lombardia il 2,3 per cento.
Va inoltre sottolineato che i diversi tassi di occupazione delle regioni sono molto probabilmente influenzati dalle diverse modalità di ricovero. In Puglia il 14,9 per cento delle persone attualmente positive è ospedalizzato. La percentuale scende al 3,1 per cento in Lombardia e al 2,3 per cento in Basilicata. L’altra regione con un alto tasso di ospedalizzazioni è il Lazio con il 10,4 per cento dei casi attivi in ospedale.
È possibile che alcune regioni, per esempio, ricoverino anche chi non ha gravi sintomi perché non può stare in isolamento a casa. Un’altra probabile spiegazione è che alcune regioni, invece, non riescano a individuare centinaia di casi, concentrandosi principalmente su quelli con sintomi più evidenti.
Bisogna infine ricordare che i tassi di occupazione si riferiscono solo ai pazienti positivi al Sars-Cov-2: coloro che si sono negativizzati vengono infatti tolti dai conteggi e
risultano essere guariti, anche se ancora ricoverati per le conseguenze della Covid-19.