Il 29 luglio il deputato del Partito democratico Andrea Romano ha scritto su Twitter che l’Italia non dà «soldi» né alla «guardia costiera libica» né ai «libici», ma «finanzia» la presenza italiana in Libia.
Il deputato del Pd ha così replicato a un intervento della scrittrice Michela Murgia pubblicato lo stesso giorno su La Stampa, intitolato «Anche il Pd si comporta come la Lega» e con occhiello: «I soldi alla guardia costiera libica».
Nel suo intervento Murgia aveva criticato le posizioni del Pd in tema di immigrazione, in particolare per il voto a favore della proroga nel 2020 delle missioni italiane nel Paese nordafricano (che spiegheremo nel dettaglio più avanti), approvata il 16 luglio scorso dalla Camera e criticata anche all’interno del partito dello stesso Romano, per esempio da Matteo Orfini, ex presidente del Pd.
A sostegno della sua tesi, Romano ha pubblicato nel suo tweet due foto di una relazione presentata in Parlamento, sulla “Proroga della partecipazione di personale militare alla missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia”. Qui in effetti non compare un riferimento alla guardia costiera libica, accusata da tempo – per esempio dalle Nazioni unite – di commettere violazioni dei diritti umani contro i migranti. Ma come vedremo meglio tra poco, il deputato del Pd omette di dire una serie di cose, pubblicando, per esempio, un riferimento solo a una delle quattro missioni italiane in Libia.
In generale, è comunque corretto dire che con la proroga delle missioni l’Italia non dà «soldi» né alla guardia costiera libica né ai libici in generale, ma finanzia solo attività italiane nel Paese nordafricano? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza e la situazione che emerge è più complessa di come la descrive Romano, che gioca sull’ambiguità dell’espressione “dare soldi”. Vediamo nel dettaglio perché.
Che cosa ha votato la Camera
Il 16 luglio scorso la Camera ha votato per il rinnovo per il 2020 delle missioni internazionali militari dell’Italia. Una votazione simile si è tenuta il 9 luglio anche in Senato. In base alla legge n. 145 del 21 luglio 2016 (art. 3), infatti, entro il 31 dicembre di ogni anno il governo deve presentare al Parlamento una relazione sulle missioni militari condotte all’estero dal nostro Paese, per chiederne l’eventuale proroga.
Come mostra il resoconto stenografico della Camera del 16 luglio, sono state votate due risoluzioni – che sono atti con cui l’Aula dà un indirizzo al governo – sul rinnovo delle missioni internazionali. La votazione sulle risoluzioni è avvenuta per «parti separate». In concreto, questo che cosa significa?
La risoluzione n. 6/00116 – a prima firma di Luigi Iovino (M5s) – proponeva l’autorizzazione del rinnovo di 49 missioni (tutte quelle in cui è impegnato il nostro Paese nel mondo) e cinque nuove missioni. Tra le missioni da prorogare, quattro erano relative alla Libia (le vedremo nel dettaglio più avanti).
La Camera ha votato questa prima risoluzione, tenendo fuori in un primo momento la scheda 22/2020, relativa a una missione specifica in Libia, che riguarda la guardia costiera del Paese nordafricano (anche qui, ci torneremo nel dettaglio tra poco).
Con 453 voti a favore, zero contrari e nove astenuti, l’Aula ha approvato la risoluzione n.6/00116, senza la scheda 22.
Subito dopo si è votato, come mostra il resoconto stenografico, «limitatamente alla parte relativa all’autorizzazione alla prosecuzione della missione, di cui alla scheda n. 22». Anche qui l’Aula ha dato parere positivo, con 401 voti a favore, due astenuti e 23 contrari, tra cui c’erano quelli dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini e di Matteo Orfini del Pd, di Nicola Fratoianni di LeU, e di Riccardo Magi di +Europa.
Vediamo adesso quali sono le missioni del nostro Paese in Libia e che cosa comportano.
Le missioni italiane in Libia
Nella relazione presentata in Parlamento dal governo sulle missioni internazionali, quelle attive relative alla Libia e rinnovate per il 2020 – come anticipato – sono quattro. Nella relazione, le schede di riferimento sono: la 20/2020, la 21/2020, la già citata 22/2020 e la 23/2020.
Ci sono poi alcune missioni nel Mar Mediterraneo centrale che interessano indirettamente anche la Libia – come l’Operazione Mare Sicuro – di cui però non ci occuperemo.
La missione Onu
La prima missione (n. 20/2020) prorogata è quella relativa alla partecipazione del personale militare italiano alla missione United nations support mission in Libya (Unsmil, qui il sito ufficiale).
Stiamo parlando del contributo del nostro Paese alla missione dell’Onu nello Stato nordafricano, con un impegno finanziario di circa 122 mila euro e di una sola unità di personale.
L’obiettivo di Unsmil, tra le altre cose, è quello di sostenere «un processo politico inclusivo» in Libia e «un possibile “cessate il fuoco”». Ricordiamo infatti che nel Paese nordafricano è in corso uno scontro che dura ormai da anni tra il governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj (appoggiato dall’Onu) e le milizie del generale Khalifa Haftar.
La missione bilaterale
La seconda missione (n. 21/2020) è la “Proroga della partecipazione di personale militare alla missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia” (Miasit) ed è quella che è stata pubblicata da Romano su Twitter per sostenere che «l’Italia non dà “soldi a guardia costiera libica” (né a libici) ma finanzia nostra presenza in loco». Si tratta della missione che ha portato i nostri militari in particolare nella città di Misurata, dove è stato installato un ospedale da campo.
«La missione è intesa a fornire assistenza e supporto al governo di accordo nazionale libico [quello di Serraj, ndr>», spiega la relazione, con una serie di compiti tra cui, appunto, l’«assistenza e supporto sanitario» e l’«attività di sostegno a carattere umanitario», oltre all’«attività di formazione, addestramento, consulenza, assistenza, supporto e mentoring a favore delle forze di sicurezza e delle istituzioni governative libiche, in Italia e in Libia, al fine di incrementarne le capacità complessive».
Con la proroga per il 2020, il numero massimo di personale militare da impiegare per l’Italia è stabilito nelle 400 unità, con risorse finanziarie per circa 48 milioni di euro, e l’utilizzo di 142 mezzi terrestri e due aerei.
In questa missione la guardia costiera libica non viene menzionata e questo aspetto, come abbiamo detto, è stato sfruttato su Twitter da Romano per smentire l’occhiello dell’intervento di Murgia su La Stampa, che diceva: «I soldi alla guardia costiera libica».
Nella relazione la guardia costiera libica compare però subito dopo, nella scheda 22/2020, non menzionata da Romano.
La missione di assistenza alla guardia costiera libica
La scheda 22/2020 – votata separatamente dalla Camera e approvata con la risoluzione 06/00116 – è quella relativa alla proroga della partecipazione del personale della Guardia di finanza italiana alla missione bilaterale di assistenza alla guardia costiera libica.
«La missione ha l’obiettivo di fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani», spiega la relazione. Questo si ottiene «attraverso l’impiego di personale della Guardia di finanza in Libia per l’addestramento della guardia costiera libica» e «il mantenimento in esercizio delle unità navali appartenenti al naviglio libico» (per esempio, a novembre 2019 l’Italia ha ceduto dieci motovedette alla guardia costiera libica).
Alla base giuridica della missione si trova il memorandum d’intesa firmato il 2 febbraio 2017 dall’allora governo Gentiloni e quello libico di Serraj, con cui, tra le altre cose, l’Italia si è impegnata «a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione clandestina», tra cui la guardia costiera. Il memorandum è stato rinnovato senza modifiche a febbraio 2020, ma da tempo c’è discussione sull’opportunità di modificarlo fortemente o addirittura di sospenderlo.
Nella scheda 22/2020 si legge poi che l’Italia si impegna nell’«attività logistica in favore delle unità navali» della guardia costiera libica e di addestramento, per un impiego di risorse economiche pari a poco più di 10 milioni di euro.
Dunque, quando dice che l’Italia non «finanzia» la guardia costiera libica, Romano – che non cita nel suo tweet questa missione – è impreciso e sfrutta una certa ambiguità su che cosa significhi “dare e soldi alla guardia costiera libica”. Il nostro Paese infatti impiega risorse economiche da un lato per addestrarla, dall’altro per mantenere in efficienza le navi che le sono state cedute.
È vero però che l’Italia non dia direttamente «soldi» alla guardia costiera libica, anche se, come vedremo meglio tra poco, secondo alcune inchieste giornalistiche ci sarebbe poca trasparenza sull’uso effettivo dei fondi stanziati da Roma.
La missione Ue
Infine, tra le quattro missioni italiane in Libia, nella relazione al Parlamento c’è la scheda 23/2020, che fa invece riferimento al rinnovo dell’European union border assistance mission in Libya (Eubam). Anche in questo caso, come già nella missione Onu, l’impegno italiano molto limitato: circa 264 mila euro di risorse stanziate e massimo tre unità di personale.
L’obiettivo di Eubam, spiega la relazione, «è prestare assistenza alle autorità libiche nella creazione di strutture statali di sicurezza in Libia, in particolare nei settori della gestione delle frontiere, dell’applicazione della legge e della giustizia penale, al fine di contribuire agli sforzi volti a smantellare le reti della criminalità organizzata coinvolte segnatamente nel traffico di migranti, nella tratta di esseri umani e nel terrorismo in Libia e nella regione del Mediterraneo centrale».
Tiriamo le fila
Ricapitolando: il 16 luglio la Camera ha approvato la proroga per il 2020 per quattro missioni italiane in Libia. Due vedono una partecipazione dell’Italia molto limitata – la missione Onu con una sola persona impegnata, e quella Ue con appena tre persone impegnate –, una è la missione bilaterale relativa, tra le altre cose, all’ospedale da campo di Misurata (dove sono impiegati massimo 400 militari) e l’ultima, la più contestata, è quella che riguarda la guardia costiera libica, finanziata e sostenuta nelle sue attività anche dal nostro Paese.
Ma come abbiamo già anticipato, la guardia costiera libica è stata molto criticata negli ultimi anni. Vediamo i perché.
Le critiche alla guardia costiera libica
Innanzitutto, è necessario fare una premessa. Come hanno spiegato in passato diverse testate italiane (come Il Post e Internazionale), la guardia costiera libica – nata ufficialmente nel 2017, così come è intesa oggi – è un insieme molto variegato di soggetti, legati a fazioni e milizie diverse, in taluni casi avversarie tra loro, che opera in un contesto frammentato e violento in cui di fatto non esiste un’autorità statale centrale funzionante. Si può sostenere insomma che non sia una vera e propria guardia costiera, paragonabile a quelle di Stati nazionali funzionanti.
Il controllo del governo di accordo nazionale di Serraj su chi fa parte della guardia costiera è dunque limitato, ed è per questo, tra le altre cose, che in passato è stato ritenuto necessario l’intervento dell’Italia per addestrare i componenti della guardia costiera libica e supportarli da un punto di vista tecnico e logistico.
Il problema principale – che è alla base delle critiche al rifinanziamento della missione in Libia – è però che la guardia costiera libica è spesso coinvolta in pratiche considerate in violazione dei diritti umani dei migranti. E ci sono sia diversi documenti ufficiali di autorità internazionali che lo dimostrano, sia inchieste giornalistiche.
Per esempio, una denuncia è arrivata anche da associazioni e organizzazioni umanitarie – come Oxfam e Amnesty international – che hanno denunciato le condizioni «disumane» con cui sono detenuti i migranti nei centri in Libia.
Nel suo report “Viaggi disperati”, dedicato alle migrazioni verso l’Europa nel 2018, l’Agenzia dell’Onu che si occupa di rifugiati e migranti (Unhcr) già nel preambolo ha parlato di «persone fatte sbarcare in Libia» e «detenute in condizioni tremende». Più avanti nel rapporto si legge poi che «le persone soccorse o intercettate in mare e sbarcate in Libia vengono successivamente trasferite in centri di detenzione. Le condizioni in tali centri sono spaventose».
Denunce contro la guardia costiera libica e il suo sostegno da parte dell’Italia sono arrivate anche dal Consiglio d’Europa, l’organizzazione internazionale (distinta dall’Unione europea) che si occupa di tutela dei diritti umani, dello stato di diritto e della democrazia.
Inchieste giornalistiche – come quelle del giornalista Nello Scavo per Avvenire – hanno poi documentato come il governo italiano abbia trattato in passato direttamente con i trafficanti libici (che, come abbiamo detto, spesso ricoprono incarichi all’interno della guardia costiera libica) per fermare i flussi migratori dal Paese nordafricano all’Italia.
In un rapporto del 15 gennaio 2020, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha inoltre scritto che ci sono «serie preoccupazioni» sulle attività della guardia costiera libica, che una volta recuperati i migranti diretti verso le coste italiane in mezzo al mare, li riporta in Libia, nei centri di detenzione in mano ai trafficanti di esseri umani.
Come ha sottolineato la giornalista Annalisa Camilli in un approfondimento su Internazionale dello scorso 27 luglio, c’è poi un ultimo punto da sottolineare – legato alla dichiarazione del deputato del Pd Romano – che riguarda la scarsa trasparenza di come vengono impiegati i fondi italiani in Libia, tra cui quelli destinati al supporto della guardia costiera libica.
Secondo i critici del sostegno italiano alla guardia costiera libica, non è inoltre chiaro, ad oggi, quanto effettivamente il nostro Paese si sia esposto negli ultimi anni a livello finanziario per sostenere le varie missioni in Libia.
Ricapitolando: la critica principale al rinnovo della missione italiana in sostegno alla guardia costiera libica sostiene che con la proroga l’Italia continuerà ad addestrare e fornire di mezzi navali un organismo accusato da più parti – e sulla base di solide evidenze – di violare i diritti umani dei migranti e di essere in rapporti diretti con i trafficanti di esseri umani. C’è poi il sospetto, ma su questo non abbiamo prove ufficiali ma solo inchieste giornalistiche, che l’aiuto economico dell’Italia alla guardia costiera libica non sia stato solo indiretto.
In conclusione
Secondo Andrea Romano, «l’Italia non dà “soldi a guardia costiera libica”», ma «finanzia» la presenza dei suoi militari nel Paese nordafricano. A sostegno della sua tesi, il deputato del Pd ha pubblicato su Twitter due foto di un testo su una missione italiana in Libia in cui non si fa menzione della guardia costiera libica.
Abbiamo verificato la dichiarazione di Romano, che è imprecisa per una serie di motivi.
Il 16 luglio, la Camera ha approvato il rinnovo delle missioni internazionali dell’Italia, di cui quattro fanno riferimento alla Libia. È vero che in queste missioni è finanziata la presenza dei nostri militari nel Paese nordafricano, ma è anche vero che una missione in particolare è dedicata al sostegno della guardia costiera libica.
Questo sostegno – che per il 2020 ha un impegno finanziario per lo stato di circa 10 milioni di euro – si traduce nell’addestramento della guardia costiera libica e nel mantenimento delle unità navali che l’Italia ha ceduto alla Libia.
Dunque è vero, almeno in base alle informazioni ufficiali che sono disponibili, che l’Italia non dà direttamente dei soldi alla guardia costiera libica (anche se diverse inchieste giornalistiche sembrano ventilare questa possibilità). Ma se consideriamo le risorse, i mezzi e l’addestramento che l’Italia dà a quest’ultima, appare forzato dire che il nostro Paese non finanzi la guardia costiera di Tripoli che, lo ricordiamo, si è resa responsabile nel corso degli anni di varie gravi violazioni dei diritti umani.
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