Una delle domande che circola di più nelle ultime settimane riguarda le grandi differenze tra i numeri di morti per il nuovo coronavirus (Sars-Cov-2) che si registrano nei vari Paesi del mondo.

Secondo i dati più aggiornati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), al 6 aprile il tasso di letalità della nuova pandemia in Italia era di oltre il 12 per cento: circa 15.360 deceduti su circa 124.630 contagiati confermati. Al momento, questa percentuale è per esempio oltre quattro volte più alta di quella registrata in Cina (su cui pure ci sono dubbi circa la sua veridicità).

Il 6 marzo, l’Istituto superiore di sanità (Iss) aveva provato a spiegare questa discrepanza, dicendo che il nostro Paese aveva un’eta media più alta di quella della Cina, con molte più persone anziane esposte con maggiore vulnerabilità al nuovo coronavirus.

I dati attuali, sia in Italia, che in Cina e negli Stati Uniti, confermano infatti che più si va avanti con l’età, più aumenta il rischio di morire a causa della Covid-19, la malattia causata dal Sars-Cov-2.

Questa possibile spiegazione è stata riportata il 20 marzo, durante la consueta conferenza stampa della Protezione civile, anche da Roberto Bernabei, professore ordinario di geriatria alla Cattolica di Roma. «L’eccesso di mortalità nel nostro Paese – aveva sottolineato Bernabei – si spiega ricordando che l’Italia è il Paese più vecchio del mondo, insieme al Giappone».

In base ai dati della Banca Mondiale, aggiornati al 2018, Giappone e Italia sono infatti ai primi due posti per percentuale di abitanti over-65 sul totale della popolazione, rispettivamente con il 27,6 per cento e il 22,8 per cento.

Il Paese asiatico, però, al 6 aprile registrava un tasso di letalità di poco oltre il 2 per cento – un sesto di quello italiano – con sole 70 morti da nuovo coronavirus su circa 3.270 contagi.

Perché esiste una differenza così marcata? Abbiamo chiesto un parere ai nostri colleghi della Fact-checking Initiative Japan (Fij) – un’organizzazione che raccoglie una serie di testate giapponesi impegnate nella verifica dei fatti – che ci hanno fornito alcune possibili spiegazioni.

Il conteggio dei decessi

In Italia

Il primo fattore che sembra spiegare le differenze di letalità da Covid-19 tra Italia e Giappone è il modo in cui i due Paesi contano i deceduti. In assenza di un protocollo riconosciuto a livello internazionale, infatti, i governi possono adottare metodi differenti nella valutazione dei dati.

In Italia, un tema di dibattito riguarda la scelta comunicativa della Protezione civile, che ogni giorno, durante la conferenza stampa sui dati dell’epidemia, parla del totale dei morti “per” e “con” coronavirus, senza distinguere tra morti dirette e indirette.

In breve, questo significa che vengono conteggiate come vittime anche le persone con varie patologie pregresse e con un quadro clinico già compromesso, per le quali è difficile stabilire se la Covid-19 sia stata realmente la principale causa del decesso.

Per molti esperti, questo modo di comunicare i dati sarebbe fuorviante, mentre i primi dati sull’eccesso di mortalità nel mese di marzo 2020 rispetto agli anni scorsi mostrano che i morti causati dall’epidemia potrebbero essere ben di più rispetto a quelli registrati dalle autorità italiane.

Il 23 marzo 2020, Walter Ricciardi, membro del comitato esecutivo dell’Oms e consigliere del ministro della Salute per il coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali, ha detto in un’intervista al quotidiano britannico The Telegraph che «secondo una rivalutazione dell’Istituto superiore di sanità, solo il 12 per cento dei decessi in Italia sarebbe causato per via diretta dal coronavirus».

Questo farebbe dunque scendere di molto il tasso di letalità registrato nel nostro Paese.

In Giappone

I nostri colleghi giapponesi ci hanno confermato che a fine marzo il primo ministro Shinzo Abe ha riferito che tutti i deceduti con polmonite interstiziale – che può essere causata dal nuovo coronavirus – vengono sottoposti al test per il Sars-Cov-2, in modo da accertare se fossero o meno positivi.

Ma i deceduti con altri tipi di polmonite – come quella batterica o non interstiziale – non vengono invece testati. Né tantomeno quelli deceduti per altri motivi.

Per questo, i dati proveniente dal Giappone sono difficilmente comparabili con quelli italiani, visto che, al contrario di quanto avviene nel Paese asiatico, nel nostro Paese il concetto di “morte da Covid-19” viene applicato in maniera più ampia.

La difficoltà di avere un quadro preciso dei decessi da Covid-19 in Giappone si fa ancora più grande se si pensa che anche in Italia, dove si adotta un conteggio meno stringente nel conteggio dei morti, molti decessi potenziali da coronavirus non vengono registrati, come dimostra il caso della provincia di Bergamo.

Molti meno test

Un secondo fattore che spiega le differenze di letalità tra Italia e Giappone, nonostante le somiglianze demografiche, riguarda il numero di test eseguiti.

Secondo i nostri colleghi giapponesi, il governo di Tokyo è accusato di essersi mosso con lentezza, senza apparentemente dare troppa importanza allo screening della popolazione come misura per contrastare l’epidemia.

Al 18 marzo Reuters riportava infatti che il Giappone stava facendo soltanto «un sesto dei test per cui avrebbe capacità»: fino a quel momento erano stati effettuati circa 32 mila test, da comparare con gli oltre 320 mila già effettuati dall’Italia.

La differenza è notevole, soprattutto se si tiene conto che anche il numero di test effettuati nel nostro Paese è comunque considerato da diverse parti insufficiente per avere un quadro completo dello sviluppo dell’epidemia.

I nostri colleghi del Fij ci hanno poi spiegato che parte della lentezza criticata in Giappone è dovuta alla macchinosa procedura per effettuare i test. Nel Paese asiatico, i cittadini che registrano una temperatura superiore a 37,5 °C per più di quattro giorni possono recarsi nel centro medico apposito più vicino, dove il personale sanitario valuta gli altri sintomi e decide se sottoporre o meno il paziente al test per la Covid-19.

Secondo il governo di Tokyo, questa procedura per step sta evitando la “corsa agli ospedali” e il conseguente collasso del sistema sanitario. Allo stesso tempo, visti i criteri stringenti, non è detto che tutte le persone con sintomi vengano realmente testate.

Inoltre, la strategia adottata in Giappone punta sull’individuazione di focolai piuttosto che sullo screening a tappeto della popolazione: i dati relativi alle aree in cui sono stati riscontrati meno contagi potrebbero quindi essere sottostimati.

In ogni caso, una differenza così sostanziale rende difficile confrontare i dati in maniera equa e corretta.

In conclusione

Secondo gli esperti, l’alto numero di decessi da Covid-19 registrato in Italia si spiegherebbe in parte con l’alta età media della popolazione italiana. Ad oggi, numerosi studi confermano infatti che il tasso di letalità del nuovo coronavirus è più alto tra i pazienti più anziani, generalmente sopra gli 80 anni.

Più una popolazione è anziana, più sarà alto il suo tasso di letalità da nuovo coronavirus.

Questa spiegazione sembra non essere al momento però valida per il Giappone che, pur avendo la percentuale di popolazione over-65 più alta al mondo (davanti all’Italia, seconda in classifica), ha una proporzione di decessi ben inferiore alla nostra.

I nostri colleghi della Fact-checking Initiative Japan (Fij) ci hanno dato due possibili spiegazioni a questa discrepanza.

Le principali differenze sembrano stare da un lato nel modo con cui vengono contati i decessi da Covid-19 in Giappone, dall’altro nella quantità con cui vengono fatti i test.

A differenza del Paese asiatico, le autorità italiane, che comunque faticano a testare e ad identificare tutti i casi di Covid-19, non si concentrano solamente sui deceduti da polmonite interstiziale, come avviene in Giappone, e cercano di effettuare un numero di test superiore a quello del Paese asiatico.