Il Mes non userà 120 miliardi italiani per salvare le banche tedesche

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Il 7 e l’8 dicembre, la Lega ha raccolto firme in diverse piazze italiane contro la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes o Esm, dalla sigla in inglese). Da alcune settimane, infatti, il cosiddetto “Fondo Salva-Stati” è al centro del dibattito politico italiano, con la Lega – ma non solo – che vorrebbe bloccare il processo di riforma del trattato comunitario, la cui approvazione definitiva è stata rimandata dall’Europa a gennaio 2020.

Per sostenere la raccolta firme – e convincere il Parlamento a dichiararsi contrario alla ratifica di un eventuale nuovo trattato – il partito guidato da Matteo Salvini ha distribuito un volantino intitolato «Stop Mes!», che recita: «120 miliardi di risparmi degli italiani per salvare le banche tedesche? No, grazie».
Ma è vero questo messaggio, che secondo la Lega è stato sottoscritto da quasi 400 mila firmatari, includendo quelli raccolti online? Abbiamo verificato ed è sbagliato dire che 120 miliardi di euro di risparmi italiani andranno a salvare le banche tedesche. Vediamo punto per punto perché.

Che cos’è il Mes

Come riporta un dossier del Centro studi della Camera sul tema, pubblicato il 29 novembre 2019, il Mes è un’organizzazione intergovernativa nata nel 2012 con lo scopo di «fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’Eurozona che si trovano in gravi difficoltà finanziarie o ne sono minacciati».

Questa assistenza, semplificando, può essere data direttamente a un Paese (tramite prestiti, acquisto di titoli di Stato o linee di credito) o al suo sistema bancario (aumentando direttamente o indirettamente il capitale delle banche in crisi).

Il Mes è dotato di un capitale che in caso di necessità può arrivare fino a circa 704 miliardi di euro. Ad oggi, solo una minima parte di questa somma (circa 80 miliardi di euro) è stata in concreto versata dai Paesi dell’area euro. Quindi, le risorse al momento fornite dai 19 Stati membri sono inferiori a quelle potenzialmente utilizzabili in caso di urgente necessità finanziaria.
Tabella 1: Fondi e quote sottoscritte dai Paesi membri del Mes – Fonte: Mes
Tabella 1: Fondi e quote sottoscritte dai Paesi membri del Mes – Fonte: Mes
La ripartizione dei fondi dovuti viene stabilita a seconda della dimensione economica dei vari Paesi dell’area euro. Per questa ragione, con quasi 125,4 miliardi di euro sottoscritti e oltre 14,3 miliardi di euro versati (pari al 17,8 per cento del totale) l’Italia è il terzo finanziatore del Mes, alle spalle di Germania (190 miliardi sottoscritti e 21,7 miliardi versati) e Francia (142,7 miliardi sottoscritti e 16,3 miliardi versati).
Tabella 2: Fondi versati dai Paesi membri del Mes – Fonte: Elaborazione Camera dei Deputati su dati Mes
Tabella 2: Fondi versati dai Paesi membri del Mes – Fonte: Elaborazione Camera dei Deputati su dati Mes
L’ammontare del capitale autorizzato viene rivisto ogni cinque anni, ma non può comunque essere inferiore ai 500 miliardi di euro. Questa regola, insieme ai criteri per stabilire le risorse dovute dai vari Paesi, non verranno comunque modificate dalla riforma criticata dalla Lega.

Bisogna però evidenziare un particolare importante: i fondi versati dai Paesi membri al Mes non vengono prestati direttamente alle economie e ai sistemi bancari in difficoltà. Al contrario, il Meccanismo europeo di stabilità utilizza quei soldi come garanzia per prendere fondi a prestito sui mercati finanziari tramite l’emissione di obbligazioni, e presta poi i fondi raccolti da queste operazioni ai Paesi che si trovano in difficoltà.

In altre parole, i soldi versati da Francia, Germania e Italia non finiscono nelle casse di Paesi come Grecia, Cipro, Portogallo e Spagna (i Paesi che ad oggi hanno fatto richiesta d’aiuto), ma servono al Mes per costruire la sua credibilità sui mercati finanziari. Una credibilità che, come ha ricordato il 4 dicembre 2019 il governatore della Banca d’Italia in audizione alla Camera, le agenzie di rating considerano seconda solo a quella del Fondo monetario internazionale.

Quindi, anche se l’Italia dovesse versare i 125,4 miliardi sottoscritti, il Mes non può prestare direttamente quei soldi.

Sono risparmi degli italiani?

È dunque vero che – almeno in linea teorica – l’Italia si è impegnata a versare fino a 125,4 miliardi di euro al Mes come garanzia. Una cifra quindi vicina ai 120 miliardi del volantino della Lega.

Ma questi fondi possono essere definiti «risparmi degli italiani»?

Se per risparmi si intende la parte di reddito che non viene spesa e che viene depositata dagli italiani sui conti correnti o investita in strumenti finanziari, la risposta è no. La ragione di questa affermazione ha a che fare con il modo in cui le risorse destinate al Mes vengono raccolte.

Infatti, come riporta la Banca d’Italia nella sua pubblicazione mensile più recente (15 novembre 2019) dal titolo “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”, lo Stato italiano ha acquistato un valore di 14,3 miliardi di euro di quote del Mes emettendo nuovi titoli di Stato, ossia creando nuovo debito pubblico. Ciò significa che queste risorse non sono state raccolte dalla fiscalità generale tramite le tasse, né sono stati prelevati dai risparmi, bancari o no, degli italiani.

Lo stesso metodo di finanziamento (quello del debito) verrebbe poi utilizzato per aumentare la quota di capitale versata dal nostro Paese. Infatti, ad oggi vale ancora quanto riportato all’articolo 3 della legge di ratifica del Mes (legge 116/2012) che recita «in relazione al versamento delle quote della contribuzione [del Mes n.d.a], a decorrere dall’anno 2012 sono autorizzate emissioni di titoli di Stato a medio-lungo termine, le cui caratteristiche sono stabilite con appositi decreti del Ministro dell’economia e delle finanze».

Sebbene poi lo Stato paghi gli interessi sul nuovo debito emesso per finanziare il Mes, le risorse versate non sono semplici contributi destinati ad un’organizzazione internazionale, ma quote di un fondo finanziario. Ciò significa che, in quanto “azionista” del fondo, l’Italia percepisce i proventi derivanti dalle operazioni di prestito effettuate dal Mes. Ad esempio, nel 2018 i profitti del Mes sono stati pari a circa 284,7 milioni di euro. Di questi, circa 50,7 milioni spettano di diritto all’Italia (pari al 17,8 per cento del totale, ossia la percentuale di quote del fondo detenute dal nostro Paese).

Ricapitolando, risulta quindi sbagliato affermare, come viene fatto nel volantino della Lega, che questi 120 miliardi sono «risparmi degli italiani».

Uno scenario improbabile

Bisogna poi domandarsi se sia realistico, sulla base della riforma del Mes, immaginarsi una situazione nella quale i 125,4 miliardi di euro sottoscritti dall’Italia venissero versati e “utilizzati” per far fronte alle difficoltà del solo sistema bancario tedesco.

Ciò vorrebbe dire che anche tutto il capitale autorizzato dagli altri Paesi membri del Mes verrebbe raccolto per questo scopo, visto che ognuno contribuisce in maniera proporzionale a quanto versato. Una situazione che si verificherebbe soltanto se nessuna altra banca o economia europea fosse in crisi e bisognosa d’aiuto.

Vista l’importanza dell’economia tedesca per l’area euro e dato il peso delle banche di questo Paese (Deutsche Bank è la quinta banca europea per attività finanziarie secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s), è del tutto irrealistico che in caso di crisi in Germania nessun altro sistema bancario o nessun’altra economia venga contagiata e che, quindi, necessiti almeno in parte dell’assistenza del Mes.

Un voto irrealizzabile

Oltre ad essere improbabile da un punto di vista economico, questo scenario è difficile da realizzarsi anche tecnicamente. Questo perché le decisioni prese dal Mes in materia di assistenza finanziaria richiedono maggioranze elevate. In particolare, l’articolo 4 del trattato stabilisce che le decisioni di questo tipo vengono prese all’unanimità. Per questo motivo, è improbabile che la scelta di destinare tutte le risorse del Mes al salvataggio delle sole banche tedesche non incontri alcuna opposizione.

L’unica procedura di assistenza finanziaria che prevede una maggioranza dell’85 per cento (e non l’unanimità) è quella d’urgenza (art. 4, comma 4 del trattato Mes), che può essere attivata congiuntamente dalla Bce e dalla Commissione europea solo quando «la mancata adozione di una decisione urgente circa la concessione o l’attuazione di un’assistenza finanziaria […] minaccerebbe la sostenibilità economica e finanziaria della zona euro».

Dato però che l’Italia possiede quasi il 18 per cento delle quote del Mes e che i diritti di voto vengono assegnati in base alle quote detenute (art. 4, comma 7 del trattato Mes), il nostro Paese (così come Francia e Germania) avrebbe il potere di veto anche su questo tipo di decisione.

In conclusione

Il 7 e l’8 dicembre si è tenuta in diverse piazze italiane la raccolta di firme promossa dalla Lega contro la riforma del Mes. Per pubblicizzare questo evento, la Lega ha utilizzato un volantino con su scritto: «120 miliardi di risparmi degli italiani per salvare le banche tedesche? No, grazie». Questa affermazione è però sbagliata per almeno due motivi.

Da una parte, il capitale che il nostro Paese destina al Mes viene (ad oggi) raccolto tramite l’emissione di nuovo debito pubblico. Chiamare queste risorse «risparmi degli italiani» è sbagliato. Inoltre, questi fondi non vengono direttamente prestati ai Paesi in difficoltà, ma servono come garanzia al Mes per raccogliere sui mercati i fondi necessari per l’assistenza finanziaria.

Dall’altra parte, i 125,4 miliardi di euro di euro autorizzati dall’Italia (cifra a cui fanno riferimento i 120 miliardi del volantino della Lega) verrebbero utilizzati interamente per salvare le banche tedesche solamente nel caso in cui anche tutte le altre risorse del Mes fossero impiegate per questo scopo.

Questo scenario è però improbabile per almeno due motivi: primo, una tale evenienza implicherebbe molto probabilmente altre crisi e, quindi, ulteriori interventi del Mes; secondo, una simile decisione dovrebbe avvenire con il consenso di tutti i membri del Meccanismo europeo di stabilità o, perlomeno, con quello dell’Italia.

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