Il 23 settembre 2019, l’attivista Greta Thunberg è intervenuta all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, affermando che «siamo all’inizio di un’estinzione di massa».
Ma che cosa dice la scienza a riguardo? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.
Che cosa sono le estinzioni di massa
«Sebbene ormai sia diventato popolare, il termine “estinzione di massa” è utilizzato con poca precisione», scrive Paul Wignall – professore di paleontologia all’Università di Leeds – nel libro Extincion: A very short introduction, pubblicato nel 2019 dalla Oxford University Press.
Secondo il senso comune, questa espressione indica tutti i casi di scomparsa di specie animali, vegetali e di gruppi umani, su larga scala. Ma sulla Terra le specie si sono estinte, si estinguono e si estingueranno sempre. Queste sono le cosiddette “estinzioni di base” (o background extinctions): stiamo parlando della “normale” estinzione delle specie viventi, a seguito di variazioni nelle condizioni ambientali.
«L’estinzione è un fenomeno comune», spiega Wignall. «Si stima infatti che oltre il 99,9 per cento delle specie viventi che hanno abitato la Terra oggi non esista più».
Le “estinzioni di massa”, invece, sono qualcosa di più specifico. «Sono eventi geologicamente brevi (sempre meno di un milione di anni) caratterizzati da un drammatico incremento dei tassi di estinzione in un ampio spettro di ambienti in tutto il mondo», scrive Wignall.
Una non novità?
La comunità scientifica è concorde nel sostenere che nella storia ci siano state cinque estinzioni di massa, come riassunto da uno studio pubblicato nel 2011 da Nature.
La prima di queste estinzioni si è conclusa alla fine del periodo geologico dell’Ordociviano (circa 443 milioni di anni fa), con la scomparsa dell’86 per cento delle specie viventi. Nella seconda (fine-Devoniano, circa 359 milioni di anni fa) questa percentuale era stata del 75 per cento, mentre nella terza (fine-Permiano, circa 251 milioni di anni fa) era stata più alta: fino al 96 per cento.
Alla fine del Triassico (circa 200 milioni di anni fa), le specie scomparse in un relativo breve periodo di tempo erano state l’80 per cento; il 76 per cento, invece, alla fine del Cretaceo (circa 65 milioni di anni fa), quando scomparvero i dinosauri. Le percentuali sono naturalmente stime fatte dagli scienziati.
I ricercatori hanno anche classificato le cause di questi eventi. Fatta eccezione per la prima estinzione di massa, in tutte le altre quattro i cambiamenti climatici (sia riscaldamento che raffreddamento) hanno giocato un ruolo centrale.
Uno studio pubblicato su Paleontology nel 2017 riporta come sono cambiate le temperature nelle grandi estinzioni del passato. Per esempio, le temperature medie erano aumentate di 4 °C nell’estinzione del Cretaceo; di 7 °C nel fine-Devoniano e di addirittura 15 °C nel Triassico.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu, pubblicato a ottobre 2018, si stima che le attività umane abbiano causato un aumento delle temperature medie di 1 °C rispetto ai livelli pre-industriali e che molto probabilmente causeranno un aumento di 1,5 °C tra il 2030 e il 2052.
La sesta estinzione di massa
La tesi riportata da Thunberg, in sostanza, è che siamo agli inizi di una sesta estinzione di massa, chiamata dagli scienziati “Estinzione dell’Olocene” (o dell’Antropocene), perché prende il nome dall’epoca geologica in cui viviamo. E una delle sue cause sarebbe proprio il riscaldamento globale, sulle cui origini antropiche (cioè umane) la comunità scientifica è unanimemente concorde.
Come abbiamo anticipato, per sostenere questa tesi bisogna capire se il numero di specie che sta sparendo sulla Terra sta aumentando sempre più velocemente rispetto al passato. Ci sono alcuni dati secondo cui questo stia avvenendo davvero.
Secondo uno studio pubblicato su Science Advances nel 2015, nell’ultimo secolo il tasso medio di estinzione dei vertebrati è stato 100 volte più alto rispetto a quello che si assume come tasso di estinzione di base.
Ma gli indizi, secondo alcuni scienziati, c’erano già dall’inizio degli anni Novanta, come ha ricostruito l’evoluzionista Telmo Pievani in un numero del 2015 del quadrimestrale Ambiente Rischio Comunicazione.
«Le prime conferme vengono da due studi pionieristici proposti, rispettivamente, da Robert May e Stuart Pimm», scrive Pievani. Stiamo parlando di ricerche rispettivamente del 1992 e del 1995.
Un problema, secondo Pievani, è che agli inizi questa tesi (da subito denominata “sesta estinzione di massa”) si basava su« statistiche imprecise» e fu accolta «come una provocazione esagerata». Studi successivi hanno però mostrato che non si trattava di «un cedimento al catastrofismo» e che alcuni elementi c’erano davvero.
Nel già citato studio del 2011 pubblicato su Nature, per esempio, i ricercatori sono arrivati alla conclusione che «gli attuali tassi di estinzione sono maggiori rispetto a quelli previsti dai reperti fossili».
Che cosa dice l’Onu
Una delle pubblicazioni più autorevoli in materia è la sintesi dell’ultimo rapporto, (pubblicato a maggio 2019) dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (Ipbes) dell’Onu. Questa organizzazione è l’equivalente per la biodiversità del ruolo che l’Ipcc ha sul cambiamento climatico.
Secondo le stime più recenti dell’Ipbes, realizzate da 145 scienziati provenienti da 50 Paesi, «le azioni degli esseri umani stanno mettendo a rischio estinzione molte più specie che in passato»: in totale un milione circa, tra animali e piante, alcune delle quali potrebbero sparire per sempre nel giro di pochi decenni.
In generale, la natura, la biodiversità e gli ecosistemi si stanno deteriorando su scala planetaria. E i cambiamenti, tra cui quelli causati dal riscaldamento globale, sono peggiorati notevolmente negli ultimi 50 anni.
«Una media di circa il 25 per cento delle specie animali e vegetali analizzate è minacciato dall’essere umano», scrive l’Ipbes. Oltre a questi, ci sono anche più del 40 per cento delle specie di anfibi, oltre il 30 per cento dei coralli e un terzo dei mammiferi marini.
Rispetto all’inizio del Novecento, l’abbondanza media delle specie native nella maggior parte dei biomi terrestri è diminuita del 20 per cento, «modificando potenzialmente i processi negli ecosistemi e di conseguenza il contributo della natura alla vita umana».
Altre stime preoccupanti
Questa prospettiva è confermata anche da altri studi. Una ricerca pubblicata da Nature a giugno 2019 ha calcolato che tra le piante (le cui specie si stimano essere 300 mila) il fenomeno dell’estinzione sta progredendo 500 volte più velocemente rispetto alla norma.
Discorso analogo vale per gli insetti. Una delle ricerche più esaustive mai realizzate fino ad oggi (pubblicata su Biological Conservation ad aprile 2019) dice che oltre il 40 per cento degli insetti è minacciato dall’estinzione.
In questi casi, oltre al riscaldamento globale, altre cause sono le sostanze inquinanti usate in agricoltura e la presenza di specie invasive, la cui diffusione è facilitata dalle attività umane.
Oltre a questi dati, ci sono poi le stime dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), la cui “lista rossa” dice che il 27 per cento delle specie viventi monitorate è a rischio estinzione; e quelle del Wwf, che nel Living Planet Report 2018 scrive che «le popolazioni globali di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi è calata, in media, del 60 per cento tra il 1970 e il 2014».
In conclusione
Nella storia ci sono già state cinque estinzioni di massa, ma per la prima volta – come sottolinea correttamente Thunberg – si sta verificando un fenomeno nuovo: moltissime specie viventi rischiano di scomparire per sempre a causa delle attività di una singola altra specie – l’essere umano.
«Le estinzioni di massa del passato hanno rimosso le specie più dominanti e abbondanti in natura, facendo anche collassare le basi delle catene alimentari negli oceani», scrive Wignall nel suo libro. «L’attuale crisi estintiva non ha ancora caratteristiche di questo tipo, e le estinzioni osservate sono concentrate soprattutto tra grandi vertebrati terrestri che vivono in piccole popolazioni. Ciononostante gli attuali tassi di estinzione possono essere comparati con quelli del passato, suggerendo che probabilmente stiamo assistendo all’inizio di una possibile estinzione di massa».
In conclusione, da un punto di vista scientifico è ancora presto per classificare con certezza che ci troviamo all’«inizio di un’estinzione di massa», ma diversi studi suggeriscono che questa ipotesi è molto probabilmente fondata.
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