Sono pochi gli eventi che hanno scosso la stampa europea così tanto negli ultimi anni quanto i recenti attacchi avvenuti a Parigi. Lo sterminio della redazione di Charlie Hebdo ad opera dei due fratelli Kouachi ha portato a galla antiche paure, e fatto automaticamente scattare un meccanismo che, pur se non applicato nella sua interezza sul continente europeo, sembra essere parte fondante della psiche dei suoi abitanti: la difesa della libertà di espressione e di stampa. E’ proprio per questo che è circolata, in questi giorni, la famosa frase attribuita al philosophe François-Marie Arouet (conosciuto in tutto il mondo come Voltaire):

“Non sono d’accordo con quello che dici,ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”.


Il concetto viene frequentemente citato quando si palesa una minaccia alla libertà di espressione, e l’attentato a Charlie Hebdo ne è stato un esempio lampante. A destra trovate dei tweet che riprendono la citazione, utilizzata anche dai siti di Rainews24 e del Financial Times.


In realtà, però, si tratta di un errore (per quanto comune). La frase è infatti stata concepita da una scrittrice inglese che visse a cavallo del diciannovesimo ed il ventesimo secolo, Evelyn Beatrice Hall. L’autrice la inserì all’interno del suo libro Friends of Voltaire, scritto nel 1907 sotto lo pseudonimo maschile di Stephen G. Tallentyre. Secondo la Voltaire Foundation dell’università di Oxford, infatti, Hall/Tallentyre si riferisce alle accuse lanciate nella seconda metà del diciottesimo secolo all’opera di Claude-Arien Hélvetius, De l’esprit (Sullo spirito), scritta nel 1758.


Hélvetius, all’interno del suo scritto, stabiliva un nesso diretto tra ciò che spinge un essere umano a compiere un’azione, e la sensazione che ne deriva. L’opera, vista come un attacco alla morale e al pensiero religioso dell’epoca, attrasse dure condanne dal parlamento francese che decise di bruciare i testi in circolazione. Voltaire, pur avendo avuto dei disaccordi con Hélvetius, si schierò pubblicamente tra coloro che condannavano quello che era visto come un atto di repressione. Scrive Hall:


“What the book could never have done for itself, or for its author, persecution did for them both. ‘On the Mind’ became not the success of a season, but one of the most famous books of the century. The men who had hated it, and had not particularly loved Helvétius, flocked round him now. Voltaire forgave him all injuries, intentional or unintentional. ‘What a fuss about an omelette!’ he had exclaimed when he heard of the burning. How abominably unjust to persecute a man for such an airy trifle as that! ‘I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it,’ was his attitude now.”


Detto ciò, la frase non perde assolutamente valore – anzi, ne guadagna, una volta attribuita all’individuo che non solo l’ha coniata veramente, ma che ha intrapreso un lungo ed intenso periodo di studio di una delle menti più raffinate della civiltà settecentesca per condensare il suo pensiero in poche, semplici e bellissime parole.