Il 21 gennaio lo studente di 18 anni Lorenzo Parelli, iscritto al Centro di formazione professionale dell’Istituto Bearzi di Udine, è morto in un incidente sul lavoro, in uno stabilimento di carpenteria metallica. Oltre che per la giovane età, la tragedia ha fatto discutere perché l’incarico in questione era una parte integrante del percorso formativo del ragazzo. Per questo motivo, diversi esponenti politici hanno fatto riferimento (impropriamente, come vedremo meglio più avanti) al sistema della cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”, resa obbligatoria dalla riforma della “Buona Scuola” approvata nel 2015.

«Un’indecenza per un Paese moderno e civile, permettere che si muoia a 18 anni per uno stage della vecchia “alternanza scuola-lavoro”, frutto avvelenato delle politiche del renzismo», ha per esempio scritto su Facebook il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni. Una nota rilasciata dai sindacati Cgil e Flc Cigl ha invece espresso indignazione «per il fatto che si continua a utilizzare la vecchia alternanza, ora denominata con un altro acronimo, per impegnare gli studenti in attività che appaiono chiaramente lavoro non retribuito e spesso con scarsi livelli sicurezza».

In questo contesto è però sbagliato parlare di alternanza scuola-lavoro. Parelli, come migliaia di altri ragazzi, seguiva un percorso professionalizzante diverso e più specifico rispetto all’alternanza scuola-lavoro, che non c’entra con il caso in questione.

Al di là della recente tragedia, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sul funzionamento dell’alternanza scuola-lavoro e su quali sono gli altri percorsi che in Italia integrano gli studi con il mondo del lavoro.

Quand’è che si parla di alternanza scuola-lavoro

Il sistema dell’alternanza scuola-lavoro è stato istituito nel 2003 con la “riforma Moratti”, un testo che prendeva il nome dall’allora ministra dell’Istruzione Letizia Moratti. Tra le altre cose, questa riforma ha stabilito che gli studenti con almeno 15 anni, iscritti ai licei e agli istituti professionali, potessero scegliere di realizzare parte del loro percorso formativo alternando periodi di studio ad altri di lavoro. Le modalità attuative dell’alternanza sono state poi dettagliate nel 2005, con un decreto legislativo.

Dieci anni dopo, la riforma della “Buona scuola” (legge n. 107 del 13 luglio 2015) ha reso obbligatorio lo svolgimento di almeno 400 ore di alternanza per gli istituti tecnici e professionali e 200 ore per i licei. Le ore di alternanza – ancora oggi attive, come vedremo tra poco – si possono svolgere presso una serie di attività, sia pubbliche sia private (come imprese, musei, camere di commercio, attività culturali, artistiche e musicali ed enti di promozione sportiva), che abbiano stipulato convenzioni specifiche con le scuole. I tirocini non prevedono retribuzione, si possono svolgere sia in Italia che all’estero, durante il periodo di normale svolgimento delle lezioni (quindi da settembre a giugno) oppure durante l’estate. Per coprire le spese legate all’attivazione dei percorsi di alternanza la legge ha inoltre previsto l’erogazione alle Regioni di 100 milioni di euro all’anno a partire dal 2016.

In seguito la legge di Bilancio per il 2019 ha rinominato il percorso di alternanza scuola-lavoro in “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” (Pcto) e ne ha ridotto il monte ore a un minimo di 90 per i licei, 150 per gli istituti tecnici e 210 per gli istituti professionali. I dettagli dei Pcto, in vigore ancora oggi, sono stati poi definiti in alcune linee guida del Ministero dell’Istruzione. L’obiettivo principale di questi percorsi è permettere agli studenti di «acquisire o potenziare le competenze» pertinenti all’indirizzo di studi scelto e una serie di «competenze trasversali», conoscenze generiche legate per esempio all’imprenditoria o alla cittadinanza.

Ma come anticipato, non tutte le esperienze di formazione professionale in ambito scolastico rientrano nei Pcto né sono riconducibili alla riforma della “Buona scuola”.

Dove i tirocini esistevano già

Già da anni, al di fuori del sistema dell’alternanza scuola-lavoro, alcuni specifici istituti attivano percorsi lavorativi per gli studenti.

«Il sistema formativo italiano è costruito da due grossi tronchi: quello dell’istruzione statale, con i licei, gli istituti tecnici e i professionali, e quello dell’Istruzione e formazione professionale (Iefp)», ha spiegato a Pagella Politica Matteo Colombo, ricercatore per Adapt, un’associazione che si occupa di studi e ricerche sul tema del lavoro. «Qui l’alternanza con stage o tirocini curricolari è sempre esistita».

L’Iefp, istituito in forma sperimentale nel 2003 e confermato nel 2011, offre infatti percorsi a competenza regionale che terminano in tre anni con l’ottenimento di una qualifica professionale, o in quattro anni con l’ottenimento di un diploma professionale. Questi istituti non sono stati toccati dalla riforma dell’alternanza scuola-lavoro del 2015, che ha invece interessato le scuole statali. La scuola frequentata da Lorenzo Parelli – il già citato Centro di formazione professionale dell’Istituto Bearzi di Udine – rientra proprio in questa tipologia di istituti.

Nel 2015 con un accordo in Conferenza Stato-Regioni è stato attivato un progetto sperimentale, partito nell’anno scolastico 2015/2016, finalizzato ad attivare «azioni di accompagnamento, sviluppo e rafforzamento del sistema duale nell’ambito dell’Iefp». Per finanziare il progetto sono stati stanziati inizialmente 60 milioni di euro all’anno. L’importo è stato poi modificato e rinnovato di anno in anno con le successive leggi di Bilancio.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), pensato per contrastare la crisi economica causata dalla pandemia, ha invece stanziato 600 milioni di euro proprio per potenziare il sistema duale e ridurre il disallineamento «tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e i programmi formativi del sistema di istruzione e formazione».

In ogni caso, secondo Colombo il sistema duale non ha introdotto «cambiamenti sostanziali» al funzionamento degli Iefp, che fin dalla loro istituzione attivano forme di collaborazione tra scuola e aziende. «Il rapporto con l’impresa è nel dna dell’Iefp da sempre», ha sottolineato il ricercatore di Adapt a Pagella Politica.

In conclusione, non è corretto – come fatto da alcuni politici – ricondurre tutte le esperienze di alternanza tra scuola e lavoro (e meno che mai, la tragedia di Lorenzo Parelli) alla cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”, come normata dalla Buona Scuola e oggi rinominata con la sigla “Pcto”. Almeno per il settore dell’Istruzione e formazione professionale, queste modalità di apprendimento erano attive già da prima.