Il taglio dell’Irpef è solo il “primo tempo” della riforma del fisco

Ansa
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Negli ultimi giorni il dibattito politico italiano si è concentrato molto sul taglio delle tasse previsto dalla prossima legge di Bilancio, ora all’esame del Senato. Come abbiamo spiegato di recente, il testo presentato dal governo per l’esame parlamentare stanziava 8 miliardi di euro per la riduzione delle imposte, senza specificare però concretamente come attuare questo taglio e rimandando i dettagli al testo finale che uscirà dalla discussione nelle due camere.

Il 25 novembre è stata data notizia che il Ministero dell’Economia e i responsabili economici dei partiti della maggioranza hanno trovato un’intesa su come utilizzare le risorse stanziate. Alcuni quotidiani e politici hanno definito questo accordo il “primo tempo” della riforma fiscale, annunciando poi altre novità in vista del “secondo tempo”.

Ma nel concreto che cosa significano queste metafore sportive quando si parla di taglio delle tasse? Vediamo meglio quali sono i due temi in campo: la legge di Bilancio, da un lato, e la legge delega per la riforma del fisco, dall’altro.

Che cosa prevede l’intesa sulla manovra

L’accordo di maggioranza, raggiunto il 25 novembre, fa riferimento a come utilizzare gli 8 miliardi di euro stanziati dalla legge di Bilancio, nella proposta del governo, per ridurre la pressione fiscale. Il testo della legge di Bilancio è ora all’esame del Senato, dove molto probabilmente sarà approvato a ridosso delle ultime due settimane di dicembre, dando così poco tempo alla Camera per esaminare e dare il via libera al documento definitivo.

Il taglio delle tasse – che dall’intesa di massima dovrà tradursi in un emendamento alla manovra – è uno dei tanti nodi da risolvere all’interno dei partiti che sostengono il governo Draghi per arrivare alla versione definitiva della legge di Bilancio per il prossimo anno. L’accordo di questi giorni è comunque un primo passo in avanti, ma deve ancora concretizzarsi ed essere messa nero su bianco nel disegno di legge. Al momento si conoscono solo i dettagli generali dell’accordo.

Da un lato, la maggioranza intende modificare l’attuale sistema dell’Irpef, l’imposta sui redditi delle persone fisiche. Dall’altro lato, intende ridurre l’Irap, un’imposta pagata dalle aziende e da alcuni lavoratori autonomi.

Per quanto riguarda l’Irpef, l’accordo prevede che dalle attuali cinque aliquote – ossia le percentuali da applicare alle fasce di reddito per calcolare il valore dell’imposta – si passi a quattro aliquote. Nello specifico, i redditi fino a 15 mila euro (qui come in tutti gli altri casi si tratta di cifre lorde) continueranno a pagare un’aliquota del 23 per cento, mentre quelli tra i 15 mila e i 28 mila euro vedranno ridursi l’aliquota dal 27 al 25 per cento. Le attuali due aliquote del 38 per cento (per i redditi tra 28 mila e 55 mila euro) e del 41 per cento (per i redditi tra 55 mila e 75 mila euro) saranno unificate in un’unica aliquota del 35 per cento, da applicare ai redditi tra 28 mila e 50 mila euro. Per i redditi sopra i 50 mila euro, varrà un’unica aliquota del 43 per cento (oggi in vigore per i redditi sopra i 75 mila euro) (Grafico 1).
Grafico 1. Le quattro nuove aliquote dell'Irpef, in base all'intesa tra Mef e maggioranza
Grafico 1. Le quattro nuove aliquote dell'Irpef, in base all'intesa tra Mef e maggioranza
In base alle prime simulazioni – da prendere con la dovuta cautela, visto che finora è stata raggiunta un’intesa di massima – la revisione dell’Irpef porterà minori imposte soprattutto ai redditi medi e medio-alti.

Secondo fonti stampa, per finanziare questa rimodulazione delle aliquote andranno 7 miliardi di euro circa del fondo stanziato con il disegno di legge di Bilancio. Il miliardo di euro rimanente dovrebbe invece andare all’abolizione dell’Irap per gli autonomi e le ditte individuali.

Ancora meno si sa per quanto riguarda il cosiddetto “bonus Renzi”, gli 80 euro in busta paga introdotti nel 2014 per i redditi fino a 26 mila euro, aumentati a 100 euro ed estesi ai redditi fino a 40 mila euro dal secondo governo Conte. In base alle indiscrezioni, questo bonus sarà eliminato, ma dovrebbe rientrare nel complesso sistema delle detrazioni fiscali, che permettono di ridurre la base di reddito su cui è calcolata l’imposta. Vedremo nei prossimi giorni che cosa verrà stabilito nella manovra per avere un’idea più chiara a riguardo.

Negli annunci dei partiti di governo, il taglio dell’Irpef e dell’Irap dovranno comunque essere strutturali, ossia non dovranno essere validi soltanto per il 2022, l’anno interessato dalla prossima legge di Bilancio, ma anche per gli anni futuri. Per fare questo però servono le coperture economiche e soprattutto serve avere un quadro più completo di come il governo intende riformare il fisco. Ed è qui che entra in campo il “secondo tempo” della partita fiscale.

La partita sulla legge delega

Questa settimana alla Camera inizierà in Commissione Finanze l’esame del disegno di legge delega per la riforma fiscale, approvato lo scorso 5 ottobre dal Consiglio dei ministri. Qui è fondamentale chiarire due cose, prima di vedere il contenuto del testo approvato da Palazzo Chigi.

La prima: con il disegno di legge delega il governo ha chiesto al Parlamento di poter ricevere il potere legislativo e di modificare, tramite i decreti legislativi, le norme attualmente in vigore sul fisco. In concreto, Camera e Senato ora dovranno tracciare una serie di principi a cui il governo dovrà attenersi per poter intervenire su diversi aspetti specifici del nostro sistema fiscale (tra cui Irpef e Irap, come vedremo tra un attimo).

La secondo cosa da evidenziare è che la riforma del fisco non rientra tra le riforme obbligatorie del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr), finanziato dall’Unione europea e pensato per far fronte alla crisi causata dalla pandemia. Il governo ne fa menzione tra le cosiddette “riforme di accompagnamento”, ossia tra quelle promesse per «accompagnare l’attuazione» del piano, «concorrendo a realizzare gli obiettivi di equità sociale e miglioramento della competitività del sistema produttivo».

L’imposta sui redditi delle persone fisiche (art. 2) e quella sulle attività produttive (art. 5) sono entrambe oggetto del disegno di legge delega sulla riforma fiscale, insieme ad altri interventi, come la nuova mappatura delle rendite catastali o la semplificazione dell’Iva.

Sull’Irpef, il governo ha chiesto la delega per riformare l’imposta, «assicurando il principio della progressività», ossia quello in base al quale all’aumentare del reddito aumenta progressivamente la percentuale di tasse da pagare all’erario. La revisione dell’Irpef, spiega il disegno di legge delega, sarà inoltre finalizzata «a ridurre gradualmente le aliquote medie effettive al fine di incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro soprattutto dei giovani e dei secondi percettori di reddito, nonché l’attività imprenditoriale e l’emersione degli imponibili». Come abbiamo visto, le aliquote medie sono quelle già in parte toccate dall’intesa raggiunta per la legge di Bilancio.

Anche per quanto riguarda l’Irap il disegno di legge delega è piuttosto generale. Qui il governo ha scritto che un graduale superamento dell’Irap dovrà essere attuato «garantendo il finanziamento del fabbisogno sanitario». Come abbiamo scritto in passato, infatti, tra il 2015 e il 2019 l’Irap ha contribuito, con un gettito annuo superiore in media ai 20 miliardi di euro, a circa un quinto del finanziamento del Servizio sanitario nazionale.

Ricapitolando: se con il disegno di legge di Bilancio si gioca il “primo tempo” della partita sulla riforma del fisco, con un primo accordo sulla riduzione delle aliquote per l’Irpef e un taglio dell’Irap, il “secondo tempo” si concentrerà più sul quadro generale, cercando un’intesa più ampia non solo sulle imposte sui redditi, ma anche su altri aspetti del nostro sistema erariale.

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