Negli ultimi giorni si è tornato a parlare del cosiddetto “semestre bianco” del presidente della Repubblica. Ovvero, gli ultimi sei mesi del mandato di Sergio Mattarella, iniziati lo scorso 3 agosto.
Il dibattito sul semestre bianco è tornato in voga a margine di un voto della Lega contro la linea del governo di cui fa parte: il 1° settembre, infatti, il partito dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ha votato compatto in Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati contro l’obbligo di Green pass, di cui il governo ha varato il decreto istitutivo lo scorso 23 luglio, e che ora è passato nelle mani del Parlamento per la conversione in legge.
Come fatto notare da diversi parlamentari della maggioranza, come per esempio il deputato del Partito democratico Andrea Romano, con questo voto la Lega avrebbe contraddetto sé stessa. Lo scorso 23 luglio, al momento dell’approvazione del decreto in Consiglio dei ministri, infatti, il Carroccio non si era opposto al Green pass obbligatorio per accedere a una serie di locali pubblici, tra i quali i bar e i ristoranti al chiuso.
Come riportato dal cronista politico Giuseppe Alberto Falci del Corriere della Sera, secondo fonti parlamentari, il cambio di linea della Lega potrebbe essere stato dettato proprio dal fatto che siamo nel semestre bianco. Un periodo in cui il presidente della Repubblica non può sciogliere le camere. Ciò esclude dunque la possibilità che l’esecutivo cada al primo scossone della maggioranza di governo. Questo salvo che il presidente della Repubblica non rassegni dimissioni anticipate, un’ipotesi comunque estrema. Forte dunque di questa maggiore stabilità istituzionale, tipica dei semestri bianchi, la Lega avrebbe avuto gioco facile nel votare contro la linea ufficiale del governo che sostiene.
Vediamo allora qual è l’origine di questa caratteristica italiana poco conosciuta e perché, ormai da diversi decenni, si parla della necessità di intervenire per modificarla.
Che cosa vuol dire semestre bianco
Il semestre bianco corrisponde agli ultimi sei mesi del mandato del presidente della Repubblica ed è regolato dall’articolo 88 della Costituzione italiana. Il quale recita: «Il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura».
La scelta di riservare questo particolare regime agli ultimi sei mesi del mandato di un presidente è nata da una proposta del giurista e deputato del Partito comunista italiano Renzo Laconi, che nel 1947, durante i lavori dell’assemblea costituente, propose l’emendamento all’articolo che assegnava al capo dello Stato il potere di sciogliere le camere.
L’intento della proposta di Laconi era quello di evitare che il presidente della Repubblica, nei suoi ultimi mesi di mandato, potesse sciogliere le camere attraverso elezioni anticipate e favorire così la formazione di un Parlamento meglio disposto verso una sua rielezione. Nell’Italia uscita dal ventennio fascista, era insomma un ulteriore modo di evitare la concentrazione dei poteri in una sola carica, in questo caso la presidenza della Repubblica.
La preoccupazione di Laconi e dei costituenti era giustificata anche dal fatto che, all’articolo 85, la Costituzione prevede la possibilità di prorogare i poteri del capo dello Stato «se le camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione». In quei casi, «l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle camere nuove».
La riforma costituzionale del 1991
In origine, per come era stato approvato nel 1947, l’articolo 86 della Costituzione recitava semplicemente: «Il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato».
L’aggiunta della precisazione finale «salvo che essi (gli ultimi sei mesi del mandato, ndr) coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura» è avvenuta in seguito all’approvazione della riforma costituzionale del 4 novembre 1991, nata su iniziativa del deputato del Partito socialista italiano Silvano Labriola.
La proposta, presentata nel febbraio 1991, fu approvata nel giro di pochissimi mesi. Essa fu pensata per far fronte al cosiddetto “ingorgo istituzionale”. Una coincidenza mai capitata prima nella storia repubblicana, ma che all’epoca avrebbe visto sovrapporsi la fine del mandato dell’allora capo dello Stato Francesco Cossiga – che sarebbe terminato il 3 luglio del 1992 – e la conclusione della legislatura, prevista il 1° luglio dello stesso anno. Questo ingorgo istituzionale si sarebbe rivelato un problema perché il presidente della Repubblica, impossibilitato a sciogliere le camere dalla vecchia formulazione dell’articolo 88, non avrebbe potuto chiudere la legislatura in scadenza e indire nuove elezioni.
I tentativi, vani, di riforma del semestre bianco
L’articolo 88 della Costituzione è stato più volte messo in discussione durante la storia repubblicana. Come documentato dal Senato, il primo politico a farlo è stato, in un discorso del 1963, l’allora capo dello Stato Antonio Segni, che chiedeva l’abolizione del semestre bianco e di inserire in Costituzione il divieto di rielezione del presidente della Repubblica. Per Segni, il semestre bianco «altera il difficile e delicato equilibrio tra i poteri dello Stato, e può far scattare la sospensione del potere di scioglimento delle camere in un momento politico tale da determinare gravi effetti». In altre parole, a preoccupare Segni era l’eventuale stallo istituzionale generato da una crisi politica durante il semestre bianco.
Impossibilitato a sciogliere le camere negli ultimi sei mesi del suo mandato, il presidente della Repubblica per risolvere una crisi politica avrebbe sola la possibilità di dimettersi, destinando al suo successore l’incombenza di sciogliere il Parlamento. In alternativa, dovrebbe cercare di tenere in vita l’esecutivo in crisi esclusivamente per l’ordinaria amministrazione. Tra l’altro, lo stesso Sergio Mattarella, lo scorso 2 febbraio, aveva citato le parole di Segni, facendosi anche lui portavoce delle stesse preoccupazione.
Oltre alla proposta di riforma di Segni, nel corso degli anni ci sono stati altri tentativi di modificare o eliminare l’articolo 88 della Costituzione. Nella precedente legislatura, ad esempio, sono stati ben quattro. Uno di essi, il primo in ordine di tempo, è stato quello dell’allora senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati, che presentò un disegno di riforma costituzionale il 15 marzo 2013.
Il secondo tentativo di riforma del semestre bianco è stato proposto, invano, dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti l’11 settembre 2014.
Le ultime due proposte di modifica dell’articolo 88 sono arrivate dall’allora senatore di Identità e azione Gaetano Quagliariello il 9 dicembre 2015 e dal deputato dei Civici e innovatori Giovanni Monchiero il 2 marzo 2017. Nonostante tutti queste proposte di riforma, l’articolo 88 che regola il semestre bianco del capo dello Stato non è mai stato eliminato, né tantomeno modificato negli ultimi trent’anni.
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