Aggiornamento 2 luglio, ore 9 – L’articolo 1 del decreto-legge n. 99 del 30 giugno 2021 ha stabilito ufficialmente la sospensione del cashback per il secondo semestre del 2021. Secondo fonti stampa, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha giustificato questa decisione dicendo che il cashback è una misura «regressiva», a favore delle famiglie più ricche. Ma anche in questo caso mancano dati ufficiali e aggiornati a supporto di questa dichiarazione, così come a favore dell’efficacia del cashback per promuovere i pagamenti elettronici e contrastare l’evasione fiscale.
Nelle ultime ore sta facendo molto discutere la decisione del governo Draghi, ancora non ufficializzata in un decreto, di sospendere dal 1° luglio il cashback, l’iniziativa con cui lo Stato rimborsa ai cittadini una parte degli acquisti fatti con pagamenti elettronici. L’obiettivo della misura – finanziata dal precedente governo con 4,7 miliardi di euro per il 2021 e 2022 – era quello di incentivare l’uso delle carte di pagamento e di contrastare l’evasione fiscale.
All’interno della maggioranza il Movimento 5 stelle ha subito protestato contro la scelta del governo Draghi, scrivendo sui social che sospendere il cashback «è un errore» perché «i dati dimostrano che funziona» ed «è una misura che si ripaga da sola». Anche alcuni esponenti del Partito democratico hanno difeso il cashback, come Marco Furfaro, responsabile della comunicazione del partito. Il 29 giugno Furfaro ha scritto su Twitter che il cashback «ha stimolato i consumi» e che secondo i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze «entro il 2025 avrebbe prodotto un gettito fiscale di 9 miliardi».
Davvero i dati che abbiamo a disposizione dicono che il cashback sta funzionando e che i benefici sono maggiori dei costi? Al momento non esiste ancora nessuna stima solida sugli effetti positivi del cashback, come sottolineato a fine maggio anche dalla Corte dei Conti. Abbiamo alcuni dati incoraggianti, relativi per esempio all’utilizzo dell’app Io, ma mancano evidenze più affidabili, per esempio, su consumi e gettito aggiuntivo.
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Nelle ultime ore sta facendo molto discutere la decisione del governo Draghi, ancora non ufficializzata in un decreto, di sospendere dal 1° luglio il cashback, l’iniziativa con cui lo Stato rimborsa ai cittadini una parte degli acquisti fatti con pagamenti elettronici. L’obiettivo della misura – finanziata dal precedente governo con 4,7 miliardi di euro per il 2021 e 2022 – era quello di incentivare l’uso delle carte di pagamento e di contrastare l’evasione fiscale.
All’interno della maggioranza il Movimento 5 stelle ha subito protestato contro la scelta del governo Draghi, scrivendo sui social che sospendere il cashback «è un errore» perché «i dati dimostrano che funziona» ed «è una misura che si ripaga da sola». Anche alcuni esponenti del Partito democratico hanno difeso il cashback, come Marco Furfaro, responsabile della comunicazione del partito. Il 29 giugno Furfaro ha scritto su Twitter che il cashback «ha stimolato i consumi» e che secondo i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze «entro il 2025 avrebbe prodotto un gettito fiscale di 9 miliardi».
Davvero i dati che abbiamo a disposizione dicono che il cashback sta funzionando e che i benefici sono maggiori dei costi? Al momento non esiste ancora nessuna stima solida sugli effetti positivi del cashback, come sottolineato a fine maggio anche dalla Corte dei Conti. Abbiamo alcuni dati incoraggianti, relativi per esempio all’utilizzo dell’app Io, ma mancano evidenze più affidabili, per esempio, su consumi e gettito aggiuntivo.