Diverse domande angoscianti circolano in Italia, e non solo, sulla campagna vaccinale in corso. Complici alcuni casi di cronaca e la carenza di una letteratura scientifica sufficientemente vasta, politici, scienziati e cittadini stanno discutendo di quali vaccini usare per vaccinare i più giovani, se sia auspicabile mescolarne due diversi e addirittura se sia il caso di somministrare le dosi alle fasce più giovani della popolazione.

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Qui ci occupiamo in particolare di quest’ultimo tema, più generale, che ha fatto irruzione anche nei palazzi delle istituzioni italiane e che suscita alcuni interrogativi macroscopici, anche di carattere etico. Il 9 giugno alla Camera, nel contesto del dibattito sulla conversione in legge del cosiddetto “decreto Riaperture” (decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52), si è infatti molto discusso dell’opportunità teorica di vaccinare i ragazzi e i bambini.

Vediamo rapidamente il contesto politico della discussione, per poi passare invece alle questioni scientifiche collegate.

La discussione, poco chiara, nel mondo della politica

La discussione sull’opportunità di vaccinare i più giovani è nata, a Montecitorio, da un ordine del giorno, a prima firma Enrico Baroni (ex M5s ora esponente de L’Alternativa C’è, sotto-gruppo del Misto formato dai pentastellati fuoriusciti). Questo ordine del giorno chiede – in sintesi – di creare una struttura parallela a quelle esistenti per monitorare le eventuali reazioni avverse ai vaccini contro la Covid-19 nelle fasce d’età più giovani.

I vari interventi dei deputati hanno sostenuto o contrastato il contenuto dell’ordine del giorno – poi respinto in tutte le sue parti dal voto della Camera – ma soprattutto sono emerse alcune perplessità di carattere generale sulla bontà della scelta di vaccinare i più giovani, a seguito del via libera arrivato a fine maggio dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) anche per la fascia d’età 12-15 anni con il vaccino Pfizer-BioNTech.

In particolare l’onorevole Claudio Borghi della Lega, che ha annunciato il proprio sostegno all’ordine del giorno, ha espresso forti perplessità sull’opportunità di vaccinare questa fascia di popolazione e anche quella 16-19 anni, in assenza di altri ulteriori dati. Il ragionamento di Borghi è che, dato che la mortalità tra i minorenni sani è pressoché inesistente, per quanto basso il rischio di eventi avversi a seguito di un vaccino sarebbe comunque superiore. Quindi vaccinando i giovani li staremmo esponendo a dei «rischi non necessari».

È vero che la Covid-19 ha una letalità molto bassa tra i più giovani, valutata intorno allo 0,08 per cento sotto i 18 anni d’età, e che oltre il 40 per cento dei pazienti Covid-19 ricoverati in ospedale sotto i 18 anni ha patologie pregresse (principalmente obesità e problemi polmonari). Ed è vero che non sia ancora possibile escludere con assoluta certezza l’ipotesi di pur rarissime reazioni avverse tra i giovani, anche gravi, a seguito di un vaccino; reazioni il cui rischio assoluto può essere addirittura maggiore del rischio dovuto alla Covid-19 stessa nel caso in cui la circolazione del virus si mantenga molto bassa.

Il primo vaccino approvato dall’Ema per i minori di 16 anni, Pfizer-Biontech, è stato considerato sicuro in base a uno studio su 2.260 soggetti dai 12 ai 15 anni. Come dice la stessa Ema, il numero di minori inclusi nello studio è troppo ridotto per poter evidenziare effetti collaterali estremamente rari, e l’Ema sta valutando la possibilità che alcuni rari casi di miocardite in persone sotto i 30 anni siano correlati ai vaccini Pfizer e Moderna; tuttavia l’agenzia ritiene che i benefici dei vaccini superino i rischi, in generale. Ci sono state però, nella comunità medica, alcune voci contrarie.

Ma, in ogni caso, prendere in considerazione solo i rischi e i benefici di una singola fascia d’età, in questo caso quella che va dai 12 ai 18 anni, è un’operazione che può essere fuorviante. Andiamo a capire il perché.

Rischi individuali, benefici collettivi: un dilemma etico

Se il virus Sars-CoV-2, responsabile della Covid-19, continua a circolare in una fascia di popolazione che ha frequenti contatti sociali – come appunto quella dei bambini e dei ragazzi in età scolastica –, questo rappresenta un problema per la collettività, più che non solo per gli stessi giovani.

In primo luogo, se il virus continua a circolare la pandemia non viene debellata, e questo crea la necessità di continuare a vaccinare le fasce a rischio della popolazione e il problema di quelli che non si vogliono o non si possono vaccinare.

In secondo luogo, non assestare il colpo di grazia alla circolazione del virus espone tutti al rischio che nascano nuove varianti più pericolose. Abbiamo visto ad esempio come prima la variante Alpha (precedentemente nota come “inglese”) abbia reso più insidioso il virus rispetto alla sua forma originaria, e come la variante Delta (precedentemente nota come “indiana”) sia poi addirittura nettamente più contagiosa e pericolosa della Alpha. Nel Regno Unito la circolazione della variante Delta, che sta portando a un nuovo aumento dei casi, è guidata principalmente dalle fasce più giovani, tra 10 e 29 anni, e ci sono evidenze che la circolazione del virus nelle scuole possa essere importante in questa fase della pandemia.

Dunque vaccinare anche i più giovani è vero che potrebbe – a certe condizioni, come una bassa circolazione del virus – comportare più rischi che benefici per loro, ma sembra allo stesso tempo che possa invece forse comportare meno rischi per la collettività (di cui comunque anche i giovani fanno parte) di quanti non ne comporti per i giovani.

Vaccinare anche i giovani potrebbe ad esempio salvare ampiamente più vite nel resto della popolazione di quante non ne metta a rischio nella fascia d’età 12-18 anni. O ridurre il rischio di una nuova variante pericolosa per tutti in misura superiore a quanto non aumenti il rischio di morte per i soli giovani. E via dicendo.

Il dilemma etico è enorme. Alcuni politici – ad esempio la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni – hanno espresso di recente posizioni allarmate sulla vaccinazione di massa dei giovani. Per essere affrontata in modo preciso, questa decisione richiede però sia di poter quantificare con maggior precisione i rischi (per i giovani legati al vaccino, per la collettività legati alla mancata vaccinazione dei giovani), sia di parlare di accettazione del rischio in generale. Se io so che a un mio determinato comportamento corrisponde un rischio infinitesimale di morire, lo accetto oppure no? È giusto lasciare ai ragazzi – e ai loro genitori – la possibilità di accettare questo rischio?

Come abbiamo detto sono domande a cui è difficile dare risposta in periodi normali, a maggior ragione in un momento di incertezza come quello attuale. Riteniamo però fondamentale che queste domande vengano poste correttamente.

Un’obiezione che si sente e si legge spesso all’idea di vaccinare anche la fascia d’età 12-18 anni è che i vaccini non impediscono la trasmissione del virus e dunque vaccinare i più giovani non serve granché ad eliminare la circolazione della Covid-19. Questo argomento minerebbe alla base la tesi di chi sostiene i benefici collettivi siano superiori ai rischi individuali.

Ebbene, questo argomento è forse uno dei più gravi fraintendimenti che stanno circolando durante la campagna vaccinale e su cui all’opinione pubblica non è probabilmente stato passato un messaggio sufficientemente chiaro. Vediamo allora che cosa dice al momento il consenso della comunità scientifica sul punto.

I vaccini rallentano, e parecchio, la circolazione del virus

All’inizio della campagna vaccinale non eravamo sicuri che i vaccini proteggessero dall’infezione. Era infatti possibile che la risposta immunitaria indotta dai vaccini potesse mitigare o eliminare i sintomi, e quindi ridurre enormemente l’impatto sul sistema sanitario; ma non era escluso che il virus potesse replicarsi lo stesso nelle alte vie respiratorie (naso, bocca e gola per intenderci) e quindi essere trasmesso.

Oggi abbiamo dati piuttosto confortanti: numerose evidenze indipendenti suggeriscono che i vaccini siano ampiamente capaci di ridurre la trasmissione di Sars-CoV-2, di un fattore tra il 70 e l’85 per cento. Di più, iniziano a esserci evidenze che, rallentando la circolazione, i vaccini già oggi probabilmente proteggono dall’infezione anche i non vaccinati. Una condizione essenziale per avere una speranza di raggiungere la cosiddetta immunità di gregge.

Secondo alcune stime, però, per avere un’immunità di gregge con gli attuali vaccini contro la Covid-19 bisogna poter vaccinare dall’80 al 90 per cento della popolazione (l’asticella continua a spostarsi verso l’alto all’emergere di nuove varianti più contagiose), un obiettivo impossibile da raggiungere senza vaccinare anche i minori. Diversi medici ritengono che vaccinare i bambini sia essenziale per contenere la pandemia: benché i bambini non siano normalmente i principali vettori dell’infezione, hanno in media una carica virale superiore a quella degli adulti e vaccinarli può servire a ridurre la circolazione globale del virus.

E dunque il dilemma etico si pone nuovamente: vale la pena esporre a un rischio (ma quanto alto?) i ragazzi in nome della possibilità (ma quanto concreta?) di raggiungere l’immunità di gregge? Non spetta a noi ovviamente dare la risposta alla domanda ma bisogna riconoscere a chi ha il compito di assumere queste decisioni come sia molto difficile farlo in assenza di dati certi. Una condizione questa pressoché inevitabile nello scenario nuovo e in rapida evoluzione che ha determinato la pandemia.

In conclusione

La politica italiana sta discutendo se sia opportuno o meno vaccinare anche i più giovani, in particolare di età compresa tra i 12 e i 18 anni, contro la Covid-19. L’argomento principale degli scettici, se non contrari, è che i rischi del vaccino siano superiori a quelli della malattia in questa fascia d’età.

Questo argomento non è privo di fondamento: in condizioni di bassa circolazione del virus, può essere (ma non è certo) che per gli adolescenti sia più rischioso il vaccino. Anche in questo caso, è bene specificarlo, il rischio è bassissimo.

Tuttavia il dilemma etico è più ampio che non un semplice confronto tra rischi e benefici del vaccino nella fascia d’età 12-18 anni. Bisogna tenere in considerazione i rischi e i benefici dell’intera collettività, senza negare l’enorme problema dell’incertezza: non sappiamo con sicurezza quanto siano rischiosi i vaccini per i giovani, né viceversa quanto rischi la collettività (o anche solo gli individui più fragili) in caso di mancata vaccinazione dei giovani.

Un argomento che circola spesso tra chi è contrario al tenere in considerazione i benefici per la collettività della vaccinazione dei giovani è che i vaccini non impediscano la trasmissione del virus. Questa è però una tesi fuorviante. Come abbiamo visto i vaccini bloccano la trasmissione in misura rilevante, tanto che con una percentuale molto alta di popolazione vaccinata sarebbe possibile secondo alcuni studi raggiungere l’immunità di gregge.

Il dilemma etico se rischiare la vita di pochi giovani per garantire l’immunità di gregge a tutti rimane e le varie opinioni sono ovviamente legittime. Speriamo di aver assolto al nostro compito nel porre le giuste domande nel modo più chiaro e circostanziato possibile.