A giugno in
Italia si dovranno fare 494 mila richiami con Pfizer o Moderna per chi ha meno di 60 anni e ha ricevuto AstraZeneca come prima dose; a luglio 80 mila; ad agosto 490 mila; e a settembre 28 mila. Ma come abbiamo visto, non è solo l’Italia ad aver deciso di ricorrere alla cosiddetta “vaccinazione eterologa” (o mix-and-match) usando due vaccini diversi per le due dosi. In questi mesi ci sono stati diversi studi per capire se sia efficace e non abbia conseguenze sulla salute delle persone.
Nella raccomandazione dell’11 giugno il Comitato tecnico scientifico (Cts)
ha citato quattro studi diversi, di cui uno pubblicato sulla rivista
The Lancet e tre ancora in pre-print, ossia non ancora passati dalla revisione paritaria. I quattro studi sostengono che l’uso di due vaccini diversi non ha particolari problemi di reazioni avverse e che la risposta immunitaria è paragonabile, se non addirittura superiore, all’uso dello stesso vaccino per prima e seconda dose.
È possibile che il mix-and-match fornisca al sistema immunitario vie alternative per riconoscere il virus, dal momento che i vaccini a mRna e quelli a vettore adenovirale (come AstraZeneca) sollecitano la risposta immunitaria in maniera diversa.
A metà maggio in Spagna l’Istituto superiore di sanità Carlos III (Isciii)
ha presentato i risultati preliminari nell’utilizzo di Pfizer per chi ha meno di 60 anni e aveva ricevuto una prima dose di AstraZeneca. I risultati, basati su 673 partecipanti, indicano che il sistema immunitario ha risposto bene e che non ci sono stati particolari eventi avversi.
In Germania l’Università della Saarland
ha scoperto che chi ha ricevuto una dose Pfizer dopo una di AstraZeneca ha avuto una risposta immunitaria più forte di quella dei pazienti che avevano ricevuto due dosi dello stesso vaccino. Hanno partecipato 250 persone e chi ha ricevuto Pfizer come seconda dose ha prodotto circa dieci volte in più gli anticorpi di chi ha ricevuto AstraZeneca. Per quanto riguarda gli anticorpi neutralizzanti – quelli che impediscono direttamente l’ingresso di Sars-CoV-2 nelle cellule – i risultati con l’approccio del mix-and-match sono «anche leggermente migliori» di quelli ottenuti con due dosi di Pfizer.
Come
ha spiegato di recente la rivista
Science, va comunque considerato che questi studi si basano sulla misurazione del livello degli anticorpi e delle cellule T – quelle che hanno il compito di eliminare le cellule infettate – dopo la somministrazione del vaccino. Non sono stati quindi progettati per valutare la protezione effettiva contro la Covid-19, come invece hanno fatto le sperimentazioni di fase 3 dei vari vaccini autorizzati. Un articolo su
Nature a maggio
ha comunque evidenziato che la misura degli anticorpi neutralizzanti è effettivamente predittiva della protezione reale.
Allo stesso tempo, i dati che arrivano da queste ricerche – nonostante non misurino direttamente la protezione effettiva data dal mix dei vaccini – sembrano fornire un supporto scientifico alla decisione politica degli Stati di usare due vaccini.
La possibilità di fare due vaccini diversi
ha anche altri vantaggi in prospettiva futura. Permetterebbe per esempio di avere maggiore flessibilità con i programmi vaccinali e potrebbe aiutare nel caso in cui un vaccino non sia efficace contro una variante mentre un altro lo è.