Dopo il processo civile e il processo penale, la riforma della giustizia – sempre al centro del dibattito politico e oggi un capitolo fondamentale per ricevere i fondi europei per la ripresa post-pandemia – in queste settimane si è concentrata su uno dei punti più delicati: il ruolo dei magistrati.

Il 4 giugno la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha presentato ai capigruppo di maggioranza della commissione Giustizia della Camera la relazione degli esperti da lei nominati per lavorare sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura (Csm). I tecnici si sono occupati, fra le altre cose, di proporre alcune modifiche sulle leggi che regolano il passaggio dei magistrati alla politica (e il rientro), il metodo di selezione dei procuratori e l’elezione del Csm.

Sulla base delle ipotesi delineate dalla commissione, il ministero presenterà i propri emendamenti al disegno di legge delega già in discussione a Montecitorio.

Il tema è particolarmente sentito dall’opinione pubblica alla luce degli scandali che hanno colpito la magistratura negli ultimi anni. «Qualcosa si è guastato nel rapporto tra magistratura e popolo, nel cui nome la magistratura esercita – ha detto Cartabia – Occorre urgentemente ricostruirlo. Ed è un doveroso riconoscimento al lavoro della stragrande maggioranza dei magistrati, che si adopera, con professionalità e riserbo per svolgere una delle funzioni tra le più delicate, complesse e importanti».

Parallelamente, in parte sugli stessi punti – che a breve vedremo meglio – la Lega e i Radicali, insieme, hanno depositato alla Corte di Cassazione sei quesiti referendari su cui nei prossimi mesi raccoglieranno le firme.

Facciamo un punto sulle ipotesi in campo.

La riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm

La riforma della giustizia su cui stanno lavorando governo e parlamento – lo ricordiamo – ruota attorno a tre pilastri: la riforma del processo penale, quella del processo civile e infine la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura.

Per tutte e tre le riforme erano stati presentati alcuni provvedimenti già da Alfonso Bonafede, quando era ministro della Giustizia nel precedente governo. Dal punto di vista formale, si tratta di tre diverse leggi delega, con cui il Parlamento incarica l’esecutivo di legiferare su un argomento sulla base di precise indicazioni. Il disegno di legge delega sull’ordinamento giudiziario e sul Csm, di cui ci occupiamo qui nello specifico, al momento è all’esame della Camera.

Il governo Draghi ha deciso di portare avanti le riforme ma senza presentare nuovi testi: continua dunque l’esame sulla base dei testi già esistenti, che verranno però significativamente modificati durante l’iter parlamentare con le proposte dei partiti e dell’esecutivo (nello specifico dal ministero della Giustizia).

Poco dopo l’insediamento, Cartabia ha istituito per ognuno di questi temi un’apposita commissione di esperti. Sull’ordinamento giudiziario e sul Csm – per intenderci, su questioni come la separazione delle carriere per i magistrati, le “porte girevoli” fra magistratura e politica e il metodo di elezione del Csm – ha lavorato una commissione ministeriale presieduta da Massimo Luciani, professore ordinario di diritto pubblico all’università “La Sapienza” di Roma. Come abbiamo già visto, gli esperti hanno concluso i propri lavori e il 4 giugno hanno presentato la propria relazioni ai capigruppo dei partiti di maggioranza.

Quali sono le proposte in campo avanzate dalla commissione voluta dall’attuale ministro?

L’ingresso in politica dei magistrati

Per i tecnici, la candidatura di un magistrato dovrebbe essere possibile solo dopo un’aspettativa di almeno quattro mesi. A questo si accosterebbe il divieto di candidarsi nel territorio dove si sono svolte le funzioni negli ultimi due anni (la candidatura del procuratore di Napoli Catello Maresca a sindaco della città, per esempio, con queste regole non sarebbe stata possibile).

Nel tempo in cui rimane in carica, al magistrato può essere concessa un’aspettativa, ma senza retribuzione. E per tornare a esercitare la funzione di magistrato – propongono gli esperti – «il rientro può avvenire con limitazioni estremamente rigorose». «Al termine del mandato elettivo o incarico politico – si legge nella relazione della commissione – il magistrato sia ricollocato in ruolo con precisi limiti territoriali e funzionali» ed in particolare è previsto che, «per un certo periodo di tempo, possa svolgere solo funzioni giudicanti e collegiali» (quindi non possa fare il pm o il gip) e «non possa ambire a un incarico direttivo o semidirettivo».

Il Csm

Come già il ddl Bonafede, anche lo studio della commissione dei tecnici ha proposto di portare i membri del Consiglio superiore della magistratura dai 27 attuali a 30, di cui 20 “togati” (i magistrati) e 10 laici (eletti dai politici fra accademici ed esperti). Per l’elezione dei membri, i tecnici non hanno suggerito il sorteggio, considerato da Movimento 5 stelle e Lega la soluzione per contenere il potere delle correnti all’interno della magistratura. L’idea degli esperti, invece, sarebbe quella di facilitare anche le candidature al di fuori delle liste – in genere espressione di una delle correnti in cui è divisa al suo interno la magistratura – abbassando il numero di firme necessarie a correre per la carica.

Le nomine

Al centro del discusso caso Palamara c’era una gestione pregiudicata dalle nomine dei magistrati in alcune procure, pilotate da interessi di corrente e talvolta individuali. In risposta a questo fenomeno, la commissione guidata da Luciani ha proposto «alcune modifiche ai requisiti per il conferimento di funzioni direttive e semidirettive» (chi guida una procura, per esempio) con l’obiettivo di evitare una «eccessiva discrezionalità» del Csm nella scelta.

Da giudice a pm

Il passaggio dalle funzioni di pm a quelle di giudice, o viceversa, secondo la relazione della commissione Luciani, non sarebbe possibile più di due volte in carriera, mentre adesso il limite è fissato a quattro. Ricordiamo, semplificando, che il pubblico ministero (pm) è il magistrato che rappresenta l’accusa all’interno del processo. Il giudice, invece, è super partes ed è chiamato a decidere sulle controversie che gli vengono sottoposte. Secondo alcuni – e vedremo che è anche la posizione di Lega e Radicali – questi due ruoli non dovrebbero essere interscambiabili.

Il referendum proposto da Lega e Radicali

Il 3 giugno una delegazione dei Radicali e della Lega, guidata dai rispettivi segretari Maurizio Turco e Matteo Salvini, ha depositato in Cassazione sei quesiti referendari sulla giustizia. Dal 2 luglio i due partiti raccoglieranno le firme – ne servono 500mila – necessarie ad avviare il referendum e sottoporlo all’approvazione dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale.

Vediamo quali sono i sei punti su cui i proponenti vorrebbero intervenire.

Responsabilità civile dei magistrati

La legge ad oggi prevede che il cittadino danneggiato da una sentenza non possa chiamare direttamente in causa il magistrato ma possa rivalersi solo contro lo Stato. Il primo quesito chiede la modifica di questa normativa per introdurre la possibilità che il cittadino possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente al magistrato.

La separazione delle carriere

I proponenti puntano, con il secondo quesito, a separare nettamente la funzione del magistrato requirente (il pm) e il magistrato giudicante (il giudice). La norma vigente prevede che il magistrato possa passare dall’una all’altra funzione per un massimo di quattro volte nel corso della propria carriera.

La custodia cautelare

Il terzo quesito vuole limitare il carcere preventivo ai soli reati gravi. Ad oggi la misura cautelare può essere prevista anche nei casi in cui ci sia il rischio di reiterazione del reato, di fuga dell’indagato o di compromissione delle prove.

A novembre 2020, il Garante dei detenuti Mauro Palma ha detto in un’intervista all’Huffington Post che le persone in carcere in attesa della sentenza di primo grado «sono il 13-14 per cento della popolazione carceraria» e secondo il giudizio dell’Autorità «sono tante».

I promotori, nello specifico, puntano all’abrogazione del comma 1, lettera c) dell’articolo 274 del codice di procedura penale che prevede l’applicazione della custodia cautelare in carcere in caso di pericolo di reiterazione del reato.

Abrogazione della legge “Severino”

Il quarto quesito chiede di abrogare la cosiddetta legge “Severino”, ovvero il “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo” dopo una condanna definitiva.

Il decreto legislativo prevede una serie di automatismi fra la sentenza di condanna e l’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza per l’imputato. I proponenti vogliono eliminare gli automatismi e lasciare ai giudici la facoltà di decidere, caso per caso, se applicare anche l’interdizione dai pubblici uffici.

Abolizione raccolta firme lista magistrati

Un magistrato si può candidare al Csm, oggi, raccogliendo le firme – e dunque il supporto – di almeno 25 colleghi (magistrati “candidatori”). Con il quinto quesito Lega e Radicali vorrebbero abrogare l’obbligo di presentare le firme, che porta generalmente alla necessità di iscriversi a una corrente. L’elezione verrebbe ripristinata alla normativa del 1958, in base alla quale tutti i magistrati potevano proporsi come membri del Csm semplicemente presentando la propria candidatura.

La valutazione dei magistrati

Il sesto quesito di Lega e Radicali riguarda i Consigli giudiziari, gli organi, istituiti in ogni distretto di corte d’Appello, che hanno come compito principale quello di valutare l’operato dei magistrati. Possono essere composti sia da avvocati che da magistrati, ma i primi non hanno il diritto di voto. I proponenti voglio modificare la norma sui consigli giudiziari per dare la possibilità ai membri “laici”, gli avvocati e i professori universitari membri di questi “mini Csm” distrettuali, di esercitare il diritto di voto sulle valutazioni professionali dei magistrati.