Open Arms: che cosa manca nella ricostruzione di Salvini

Sostiene che secondo il procuratore generale della Corte di Cassazione «non c’è reato»: abbiamo controllato se è davvero così
ANSA/CIRO FUSCO
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Il 9 dicembre, ospite a Dritto e Rovescio su Rete 4, il leader della Lega Matteo Salvini è tornato (min. 9:00) sul processo “Open Arms”, in attesa della decisione della Corte di Cassazione prevista per l’11 dicembre, successiva all’assoluzione ottenuta a dicembre 2024 dal Tribunale di Palermo. Salvini ha sostenuto che la Procura generale presso la Cassazione avrebbe concluso che nel suo operato non vi sia stato alcun reato. «La pubblica accusa, che teoricamente è quella che dovrebbe dire: “Salvini è colpevole”, dice: “Non c’è reato”», ha dichiarato il leader della Lega. 

La memoria depositata dal procuratore generale in vista dell’udienza, però, contiene valutazioni più articolate rispetto a quanto lascia intendere Salvini.

I fatti

Per comprendere il contesto, è utile ricordare i passaggi principali del processo. Salvini è stato accusato di sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio per aver impedito nell’agosto 2019, quando era ministro dell’Interno, lo sbarco dei migranti soccorsi dalla nave della ONG spagnola Open Arms. 

A dicembre 2024 il Tribunale di Palermo lo ha assolto con la formula “il fatto non sussiste”. Secondo i giudici di primo grado, Salvini non aveva l’obbligo giuridico di indicare un porto sicuro (il place of safety, POS); aveva agito nell’ambito delle sue funzioni istituzionali e senza dolo; e la permanenza dei migranti a bordo non configurava una privazione della libertà personale penalmente rilevante. Quanto ai minori non accompagnati, il Tribunale ha ritenuto che i tempi di sbarco fossero coerenti con quelli prevedibili secondo la normativa nazionale e non avessero raggiunto una durata “apprezzabile” per configurare il reato di sequestro.

Contro questa decisione di assoluzione, la Procura di Palermo ha fatto ricorso, scegliendo quello per saltum. Si tratta di uno strumento che consente di saltare il secondo grado di giudizio, quello in Corte di appello, per rivolgersi direttamente alla Cassazione, contestando soltanto violazioni di legge. Il pubblico ministero ha sostenuto che il Tribunale di Palermo abbia applicato in modo scorretto la normativa sullo sbarco, ritenendo inesistente l’obbligo di consentirlo una volta che la nave era entrata nelle acque territoriali italiane. 

La Cassazione, chiamata a valutare il ricorso, deve dunque esprimersi solo su questioni di diritto, ed è proprio in questo quadro che si inserisce la memoria del procuratore generale.

Il primo punto

Il procuratore generale presso la Cassazione non decide sul caso specifico – compito che spetta alla Corte – ma assicura la corretta applicazione del diritto, analizzando i motivi del ricorso e formulando le proprie conclusioni.

Nella memoria per l’udienza dell’11 dicembre, il procuratore ha reputato «corretta e fondata» la critica del pubblico ministero alla sentenza di primo grado. Secondo il procuratore, i giudici del Tribunale di Palermo hanno «escluso la sussistenza di una violazione di legge nella condotta di proibire lo sbarco dei migranti soccorsi dalla Open Arms», mentre questa violazione esiste ed è riconducibile all’esercizio di diritti fondamentali, in particolare del diritto di asilo, tutelato dall’articolo 10 della Costituzione. Questo riconoscimento, però, rappresenta solo il primo punto della memoria.

Il procuratore generale ha chiarito infatti che la violazione di legge, da sola, non basta per attribuire all’imputato il reato di sequestro di persona. Occorre dimostrare anche tutti gli altri elementi del reato, compreso il dolo, e secondo il procuratore il ricorso non offre «alcuna prospettazione (…) degli ulteriori elementi costitutivi del reato». 

La mera illegittimità dell’atto, quindi, non implica automaticamente l’intento di privare qualcuno della libertà personale. Il procuratore ha precisato che un soggetto può agire in modo illegittimo nell’esercizio delle funzioni istituzionali senza essere animato dalla volontà di usare il proprio potere come mezzo di coercizione. Il dolo «non può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dalla (sola) accertata violazione di legge» – si legge nella memoria – soprattutto quando la violazione si fonda su interpretazioni normative elaborate successivamente ai fatti.
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Il secondo punto

Da qui deriva il secondo snodo della memoria: il principio di prevedibilità della norma penale. 

Nel suo ricorso, la Procura di Palermo si richiama all’ordinanza delle Sezioni Unite civili sul caso Diciotti, che nel 2025 ha riconosciuto obblighi precisi allo Stato costiero in presenza di naufraghi, tra cui la tutela del diritto di asilo. Il procuratore generale ha rilevato però che quella interpretazione è «sopravvenuta» rispetto ai fatti del 2019 e che, prima di tale intervento, vi erano «obiettive condizioni di incertezza» sulla portata degli obblighi dello Stato.

Secondo questo principio, non si può condannare qualcuno sulla base di un obbligo che, al momento dei fatti, non era chiaramente definito nella giurisprudenza. A ciò si aggiunge che resta controverso individuare chi fosse, in concreto, il titolare della posizione di garanzia rispetto allo sbarco: se il ministro, l’autorità marittima o altri soggetti coinvolti nelle operazioni SAR (sigla che sta per Search and rescue, in italiano “ricerca e soccorso”).

L’accusa di omissione di atti d’ufficio

Il procuratore generale ha affrontato poi il tema dell’omissione di atti d’ufficio. La Procura di Palermo contesta a Salvini il mancato rilascio del place of safety tra il 14 e il 20 agosto 2019, qualificandolo come un atto «dovuto senza ritardo». 

Secondo il procuratore generale, però, in quella fase la nave era già nelle acque territoriali italiane, e la concessione del POS riguarda la fase precedente, quella SAR in mare aperto. Una volta nelle acque territoriali italiane, ciò che importa è il dovere di permettere lo sbarco per l’esercizio del diritto di asilo, non il rilascio del POS. 

Per questa ragione, secondo il procuratore, l’atto indicato come omesso non può essere considerato, in senso stretto, un atto dovuto e immediato, con la conseguenza che non si configura il reato di omissione di atti d’ufficio.

I minori non accompagnati

Infine, nella sua memoria il procuratore generale si è soffermato sui minori non accompagnati a bordo della Open Arms. 

Pur riconoscendo una violazione di legge nel non aver consentito lo sbarco dei migranti, e dunque anche dei minori, il procuratore ha osservato che il ricorso non chiarisce l’elemento psicologico del reato. In concreto, il ricorso non spiega perché Salvini avrebbe agito con la consapevolezza di commettere un illecito, e non, invece, nella convinzione – pur discutibile – di adempiere a un dovere istituzionale. 

A sostegno di questa lettura, il procuratore generale ha richiamato lo scambio di messaggi tra Salvini e la Presidenza del Consiglio, all’epoca guidata da Giuseppe Conte, dove l’allora ministro dell’Interno esponeva le proprie posizioni, accettando di non opporsi allo sbarco dei minori su richiesta di Conte. Secondo il procuratore, questo comportamento viene interpretato come indicativo dell’assenza di una volontà di trattenere i minori a bordo a titolo di sequestro.

Ricapitolando: la memoria del procuratore generale riconosce che nel caso Open Arms vi fu una violazione di legge, legata in particolare al diritto di asilo, ma ritiene che questa violazione non sia sufficiente a fondare una responsabilità penale. Secondo il procuratore, il ricorso della Procura di Palermo non dimostra il dolo né chiarisce chi, in concreto, fosse titolare degli obblighi giuridici relativi allo sbarco, e richiama inoltre il principio di prevedibilità della norma penale, che impedisce di applicare retroattivamente interpretazioni giurisprudenziali maturate negli anni successivi ai fatti. Per questo motivo la memoria non sostiene, come affermato da Salvini, che non ci sia reato in senso assoluto, ma segnala che, sulla base degli elementi presentati nel ricorso, non vi sono le condizioni giuridiche per affermare la responsabilità penale dell’imputato.

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