Il 26 e 27 aprile il presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato alle camere il Piano nazionale di ripresa e resilienza da inviare a Bruxelles entro la fine del mese.
Draghi ha riassunto il contenuto del documento con pochi passaggi sentimentali e molti numeri. Nell’aula di Montecitorio il lungo elenco è stato accolto da applausi poco appassionati, a macchia, prima da un gruppo parlamentare e poi dall’altro a seconda del gradimento verso la misura illustrata dal premier.
Almeno fino alla fine del discorso, quando l’emiciclo da destra a sinistra si è alzato in piedi in un lungo applauso.
«Sono certo che riusciremo ad attuare questo Piano – ha concluso il presidente del Consiglio – sono certo che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti».
Che cosa c’è nel Pnrr
«Nei programmi che vi presento c’è il destino del Paese». Dopo un inizio solenne, il presidente del Consiglio ha riassunto i contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza per poco più di quaranta minuti: 221,5 miliardi in totale, di cui 191,5 dal Recovery and Resilience Facility (Dispositivo di ripresa e resilienza) e 30 da un fondo complementare nazionale, sei missioni – digitalizzazione, rivoluzione verde, infrastrutture sostenibili, inclusione sociale, istruzione e salute – e tre coordinate trasversali (parità di genere, diseguaglianze territoriali e inclusione giovanile).
L’obiettivo stimato è far crescere il Pil di 16 punti in sei anni. Un obiettivo che impegna il programma non solo dell’attuale governo ma anche dei prossimi, da qui al 2026.
Per questo – quando non ha elencato numeri, percentuali e dati – il discorso di Mario Draghi si è concentrato sull’appello ai partiti: «Sia chiaro che, nel realizzare i progetti – ha detto Draghi in aula – ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite». Tradotto: dal 30 aprile ciò che conta sarà l’attuazione. E niente può metterla a rischio più di una maggioranza competitiva e litigiosa, impantanata nelle «miopi visioni di parte».
L’accoglienza
La presentazione di Draghi a Montecitorio – un po’ fredda, molto concentrata sui dati – ha strappato applausi di certo non calorosi, spesso esitanti, a volte provenienti da destra, a volte da sinistra. Come se i partiti avessero preso il Pnrr «alla carta», ha ironizzato un parlamentare del Pd, parlando con Pagella Politica.
E infatti nelle dichiarazioni successive ogni forza politica ha cercato di intestarsi una parte del Piano. «Nel Pnrr presentato da Draghi c’è la nostra battaglia in Europa, molto del nostro lavoro e un pezzo dell’identità del Pd – ha scritto il vicesegretario del Pd Giuseppe Provenzano su Twitter – Inclusione sociale e transizione ecologica e digitale come grande occasione per creare lavoro per giovani, donne e Sud».
Stessi toni, ma temi diversi al centro della soddisfazione di Forza Italia: «Il nuovo Recovery Plan contiene tutte le riforme proposte da Forza Italia, dal fisco alla burocrazia, dalla pubblica amministrazione alla giustizia, e siamo orgogliosi di aver anche vinto la battaglia sulla proroga al 2023 del superbonus 110 per cento», ha commentato la capogruppo azzurra al Senato Anna Maria Bernini, ponendo l’accento sulla «ripartenza a pieno regime dell’edilizia.
E poi ancora, quasi con le stesse parole, anche la benedizione del Carroccio: nel Pnrr «ci sono tutte le priorità indicate dalla Lega – hanno scritto in una nota i capigruppo del partito Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo – taglio della burocrazia nella pubblica amministrazione e riforma di giustizia e fisco, in primis».
A ognuno la propria bandiera, ma sommate insieme, almeno per ora, un accordo trasversale.
Parlando con Pagella Politica, infatti, i deputati della maggioranza però hanno posto l’accento sul finale delle comunicazioni del presidente del Consiglio: un lungo applauso e tutti in piedi – tranne le poche opposizioni – dalla Lega a Liberi e uguali.
Il tempo riservato al Parlamento
Di opposizioni il governo Draghi ne ha poche, ma si sono fatte sentire all’inizio della seduta alla Camera. Fratelli d’Italia, la componente del gruppo misto “L’alternativa c’è” – ex M5s espulsi per non aver votato la fiducia all’attuale esecutivo – e Nicola Fratoianni per Sinistra italiano hanno lamentato, in particolare, il pochissimo tempo lasciato al Parlamento per esaminare il documento definitivo – 336 pagine – del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
I deputati infatti, il giorno stesso delle comunicazioni del premier a Montecitorio, si sono ritrovati fra le mani una versione del piano aggiornata alle ore 14, appena due ore prima.
Il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Francesco Lollobrigida ha anche chiesto un prolungamento della discussione, insistendo sul fatto che la scadenza del 30 aprile per l’invio a Bruxelles non sia vincolante.
In effetti, la scadenza per la presentazione del piani nazionali, secondo il regolamento del Recovery and resilience facility (art.18, co.3), è stata stabilita «di norma» il 30 aprile 2021. L’espressione lascerebbe intendere una certa flessibilità in caso di ritardi, ma il governo italiano ha intenzione di consegnare il testo entro la fine di aprile, con l’obiettivo di ottenere già in estate la prima tranche di finanziamenti.
«Abbiamo ritenuto fosse molto importante approvare il Piano entro il 30 aprile, il 30 aprile non è una data “mediatica” – ha chiarito il premier nella replica – perché questo ci permette di avere accesso ai fondi europei il prima possibile».
Draghi ha garantito che il ruolo del Parlamento è solo all’inizio e sarà sempre più importante nei prossimi mesi, quando si dovranno mettere in atto riforme fondamentali annesse agli aiuti economici: «Le riforme saranno adottate con strumenti legislativi (disegni di legge, leggi delega e decreti legge), nei cui procedimenti di adozione il Parlamento avrà, com’è ovvio, un ruolo determinante nella discussione e nella determinazione del contenuto», ha promesso il premier.
La governance
Un nodo fondamentale è la gestione della “governance”, il governo del piano: chi si occuperà della gestione, dell’attuazione e del controllo dei progetti.
Su questo – fra i nodi politici che hanno portato alla fine del governo Conte bis – il presidente del Consiglio Mario Draghi è stato ancora vago. Il premier ha anticipato che l’attuazione delle iniziative e delle riforme, nonché la gestione delle risorse finanziarie» saranno «responsabilità dei ministeri e delle autorità locali». Le funzioni di «monitoraggio, controllo e rendicontazione e i contatti con la Commissione europea» saranno in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
L’organismo meno chiaro è la «cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio, con il compito tra l’altro di interloquire con le amministrazioni responsabili in caso di riscontrate criticità nell’attuazione del Piano». Non ci sono ancora dettagli su chi ne farà parte, se le forze politiche o solo tecnici.
Nella replica, il presidente del Consiglio ha insistito sull’importanza dei territori per la realizzazione dei progetti: «Gli enti locali sono chiamati a una grande mole di interventi – ha detto Draghi – sono i veri attuatori del Piano. Devono avere un ruolo centrale perché hanno massima contezza dei bisogni del territorio».
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