Le università italiane hanno un problema con le violenze di genere




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Questo articolo è uscito il 13 maggio nella newsletter Politica di un certo genere
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Nel 2022 un ex direttore di dipartimento dell’Università di Bologna ha patteggiato un anno e otto mesi per molestie e violenza sessuale su tre studentesse che frequentavano le sue lezioni. Nel 2024 un professore dell’Università di Genova è stato indagato per aver usato l’intelligenza artificiale per “spogliare” e diffondere le foto di alcune studentesse. Sempre nel 2024 dall’Università di Torino sono partite alcune segnalazioni di molestie. In pochi giorni quelle denunce si sono estese a tutti i principali atenei d’Italia al grido di «non parlate di mele marce». Sembrava l’inizio di una rivoluzione, tanto che qualcuno l’aveva chiamato il “me too delle università italiane”. Ancora, dopo i femminicidi di fine marzo delle studentesse universitarie Sara Campanella e Ilaria Sula, il tema delle violenze in ambito universitario ha riaperto il dibattito sulla sicurezza in università e sugli strumenti per prevenire e contrastare le violenze, primi tra tutti i centri antiviolenza di ateneo (cav).

Al di là dei casi di cronaca più noti, quantificare il fenomeno delle violenze nel contesto accademico non è facile. Alcune indicazioni arrivano dal report Misure di prevenzione e contrasto ad abusi, molestie e violenze di genere negli atenei italiani pubblicato dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI). Secondo l’indagine, aggiornata al 4 novembre 2024, da marzo a novembre di quell’anno, la CRUI ha rilevato 243 segnalazioni di molestie (sessuali, psicologiche, fisiche, online), stalking, mobbing e un non meglio specificato “altro” nelle università. In media quasi una al giorno.

Altri dati arrivano dal questionario La tua voce conta, lanciato dall’associazione studentesca Unione degli Universitari (UDU) dopo i casi di molestie dell’Università di Torino dell’anno scorso. Il questionario, che è ancora attivo e nel tempo è stato ampliato, ha l’obiettivo di comprendere meglio il fenomeno, capendo quali misure possono essere introdotte nelle università per contrastare e prevenire i fenomeni di violenza di genere. Da uno studio statistico svolto sulla ricerca di UDU è emerso che il 38 per cento di chi ha risposto reputa gli spazi degli atenei non sicuri. «Tutto questo è coerente con il fatto che gli episodi di violenze o molestie noti non possono essere considerati episodi singoli e isolati. Per questo bisogna agire in modo complessivo, sistemico, con percorsi», ha spiegato a Pagella Politica Sabrina Loparco, responsabile questioni di genere per UDU nazionale. «A noi spetta il compito di capire come strutturarli, a braccetto con il mondo accademico».

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Nell’ultimo anno in molte università italiane ci sono stati scioperi per chiedere interventi strutturali di contrasto alla violenza di genere, l’apertura di centri antiviolenza universitari e, più di recente, tavoli permanenti per indagare su come prevenire le violenze. A queste richieste la politica ha risposto con uno stanziamento a favore dei centri antiviolenza di ateneo. Il 7 marzo 2025, nella conferenza stampa dopo il consiglio dei ministri, la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini ha detto di aver stanziato «8 milioni e mezzo di euro dedicati al contrasto alla violenza di genere attraverso sportelli antiviolenza» e «assistenza per supportare le persone che subiscono le conseguenze di una violenza di genere». Leggendo il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale però emerge che quegli 8,5 milioni non sono tutti dedicati al finanziamento degli sportelli antiviolenza di ateneo, ma riguardano più in generale «attività di promozione del “benessere”», il contrasto di «fenomeni di disagio psicologico ed emotivo degli studenti universitari», di cui fanno parte anche «misure di prevenzione della violenza di genere». Al momento comunque non sono noti ulteriori dettagli in merito a come saranno distribuiti e usati i soldi stanziati.

Al di là dei finanziamenti del Ministero dell’Università, alcuni atenei avevano aperto sportelli antiviolenza già prima del 7 marzo ma, come vedremo tra poco, non sono diffusi ovunque e da soli non bastano per contrastare la violenza di genere.
La prima università a dotarsi di uno sportello antiviolenza è stata l’Università di Torino, nell’ottobre 2019. Negli anni successivi poi gli sportelli dell’ateneo piemontese sono diventati quattro, due gestiti grazie alla collaborazione con i centri antiviolenza E.m.ma. e due con Telefono Rosa Piemonte Torino. «Questi sportelli offrono supporto gratuito a tutte le donne della comunità universitaria, comprese studentesse, ricercatrici, docenti, personale tecnico-amministrativo e lavoratrici di ditte esternalizzate, nonché a tutte coloro che ne abbiano necessità», ha spiegato a Pagella Politica Paola Maria Torrioni, docente e referente, insieme alla docente Joelle Long, degli sportelli antiviolenza dell’Università di Torino. Dal 2019 al 2024, oltre cento persone si sono rivolte solo al primo sportello aperto a Torino per chiedere ascolto e supporto.

Torino non è l’unico ateneo dotato di uno sportello antiviolenza. Le Università di Bari e Perugia ce l’hanno dal 2020, l’Università della Calabria e quella di Pisa dal 2022. Tra le ultime, ci sono l’Università degli Studi di Padova che ha lo sportello attivo da luglio 2024, la Statale di Milano da qualche mese e la sede di Vicenza dell’Università di Padova che l’ha aperto a maggio. Secondo l’indagine della CRUI, al 4 novembre 2024 in Italia circa il 25 per cento degli atenei aveva un centro antiviolenza. Ci sono poi atenei, come l’Università di Catania, che non hanno un centro proprio, ma forniscono servizi al corpo studentesco collaborando con altre associazioni del territorio. E c’è anche chi, come l’Università di Bolzano, propone strumenti di contrasto alla violenza di genere, ma senza uno sportello dedicato.
«Gli sportelli antiviolenza rappresentano uno spazio fondamentale per garantire sostegno e sicurezza poiché anche se solo una donna avesse bisogno di aiuto, la loro presenza sarebbe già giustificata», ha aggiunto Torrioni. «Tuttavia, per garantire la continuità e l’espansione di questi servizi, è essenziale far conoscere la loro esistenza, così da poter rispondere, nel tempo, a una domanda che spesso rimane sommersa». Queste iniziative infatti esistono, ma sono poco conosciute anche tra la stessa popolazione studentesca. «A volte la comunicazione non è molto efficace e non arriva nemmeno a noi rappresentanti», ha commentato Loparco. Secondo l’indagine statistica svolta sul questionario di UDU, il 62 per cento delle persone che ha risposto non conosce le politiche di prevenzione o di riparazione dell’ateneo e del territorio. «Questo ci dice che o non esistono politiche o, laddove esistono, non è stato fatto un lavoro corretto di sensibilizzazione e pubblicizzazione», ha aggiunto Loparco.

Resta poi il fatto che gli sportelli antiviolenza da soli non bastano. «La violenza di genere è un fenomeno complesso, radicato nelle disuguaglianze strutturali e culturali della società», ha detto Torrioni. «Per affrontarlo efficacemente, è necessario un approccio integrato che coinvolga interventi legislativi e politici, collaborazione interistituzionale, percorsi formativi che promuovano il rispetto fin dalle prime fasi dell’educazione e aiuti concreti per le donne che cercano di liberarsi dalla violenza».
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