La CGIL sta spendendo molto sui social per i referendum

Il sindacato ha investito quasi 230 mila euro in un mese per invitare le persone a votare
Ansa
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Mancano pochi giorni ai referendum dell’8 e 9 giugno, quando le elettrici e gli elettori saranno chiamati a votare su quattro referendum sul lavoro e uno sulla cittadinanza. A differenza delle elezioni, in cui i partiti si impegnano per convincere gli elettori a votare per loro, nei referendum abrogativi i soggetti politici che di solito fanno campagna elettorale sono quelli schierati per il Sì. Oltre al risultato, infatti, è fondamentale raggiungere il quorum, ossia la partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto, pena la non validità del referendum, indipendentemente dal risultato della votazione.

Per questo motivo il comitato promotore dei referendum e i partiti che li sostengono stanno facendo campagna elettorale in modi diversi, dai volantini, ai manifesti, ai videomessaggi pubblicitari, senza escludere i social network. In quest’ultimo ambito, secondo le verifiche di Pagella Politica, tra il 4 maggio e il 2 giugno il sindacato CGIL – principale promotore dei referendum sul lavoro – ha speso quasi 230 mila euro per sponsorizzare i propri contenuti su Facebook e Instagram, piattaforme di proprietà di Meta. 

In media, la CGIL ha speso oltre 7 mila euro al giorno in contenuti sponsorizzati dedicati ai referendum, una cifra che sale a quasi 16 mila al giorno se si considera solo l’ultima settimana. La somma investita dal sindacato supera di gran lunga quella spesa da tutti gli altri soggetti e partiti che sostengono i referendum, e rappresenta l’investimento economico più grosso fatto da qualsiasi altra organizzazione italiana nello stesso periodo sui social network.
Per analizzare le spese delle varie forze politiche nella loro campagna sui social network abbiamo usato Ad Library, la piattaforma di Meta dove sono pubblicamente disponibili le spese per inserzioni su Facebook e Instagram. Nella nostra analisi abbiamo considerato le sponsorizzazioni fatte dalle pagine ufficiali dei partiti, dei comitati e dei sindacati che sostengono uno o tutti i quesiti referendari, e da quelle dei loro leader.

Nella sola settimana dal 27 maggio al 2 giugno la CGIL ha speso 109 mila euro, una cifra molto superiore all’importo speso da organizzazioni internazionali come Unicef Italia (40 mila euro) ed Emergency (16 mila euro), che fanno da sempre grossi investimenti sui social network e negli ultimi mesi hanno iniziato una campagna di sensibilizzazione sulla situazione umanitaria nella striscia di Gaza.

Il sindacato guidato da Landini è su un altro piano rispetto agli altri soggetti coinvolti nel referendum. Per esempio, nell’ultimo mese il comitato “Referendum cittadinanza” ha speso meno di 4 mila euro per sponsorizzare i suoi contenuti su Facebook e Instagram, mentre il Partito Democratico (33 mila euro) e Più Europa (24 mila euro) hanno investito cifre più alte, ma comunque inferiori alla CGIL. Va sottolineato che i due partiti, a differenza del sindacato, in questo mese non hanno sponsorizzato solo contenuti relativi ai referendum, ma anche post per convincere gli elettori a donare a loro il 2 per mille, il contributo che i cittadini italiani possono dare ai partiti con la dichiarazione dei redditi.

Per quanto riguarda gli altri partiti o leader favorevoli in tutto o in parte ai quesiti referendari, le spese social sono state minime o nulle.

Per avere un ordine di grandezza, alle elezioni europee del 2024 solo Fratelli d’Italia aveva pagato sui social network una cifra paragonabile a quella della CGIL. Nell’ultimo mese di campagna elettorale, tra l’11 maggio e il 9 giugno 2024, il partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva speso circa 200 mila euro su Facebook e Instagram. Nella settimana prima del voto, però, Fratelli d’Italia aveva speso 61 mila euro, mentre il sindacato negli ultimi sette giorni per cui sono disponibili i dati ha già investito circa 110 mila euro. 

E per la pubblicità “classica”? Anche sul fronte della cartellonistica, dei manifesti e dei volantini CGIL è stata molto attiva. Tra i partiti, invece, Alleanza Verdi-Sinistra ha organizzato banchetti in molte città italiane per promuovere le ragioni del Sì ai cinque quesiti. Fonti di Alleanza Verdi-Sinistra hanno riferito a Pagella Politica che i due partiti che compongono l’alleanza – Sinistra Italiana ed Europa Verde – hanno speso circa 20 mila euro ciascuno per stampare e distribuire i manifesti e i volantini che chiedono “5 Sì”, oltre alla realizzazione del video promozionale in cui i due leader, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, invitano i cittadini a votare.

Una parte dei costi sostenuti dalla CGIL per la campagna sui social potrebbe essere rimborsata, se fosse raggiunto il quorum e vincessero i Sì. La legge, infatti, prevede un rimborso pari a «un euro per ogni firma valida» ottenuta durante la raccolta firme per i referendum, a condizione che i quesiti siano prima ammessi dalla Corte Costituzionale e poi che la partecipazione al voto sia stata superiore al 50 per cento degli elettori. In pratica, se tutti e cinque i referendum dovessero raggiungere il quorum, i comitati referendari otterrebbero circa 2,5 milioni di euro come rimborso per le spese sostenute durante la campagna elettorale.
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