Contro la “shrinkflation” l’Italia rischia una procedura d’infrazione

Il governo ha approvato una misura per limitare gli effetti negativi dell’inflazione, ma ha violato le regole europee
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Dal 1° aprile in Italia diventerà obbligatoria un’etichetta per indicare le confezioni colpite dalla shrinkflation, la pratica che riduce la quantità di prodotti al loro interno senza abbassarne il prezzo. «Ci siamo mossi subito per porre un freno alla shrinkflation. L’Italia, insieme alla Francia, è stata tra i primi in Europa ad aver introdotto una normativa tecnica per arginare il fenomeno. Ancora una volta abbiamo fatto da apripista», ha dichiarato a dicembre il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

C’è però un problema: la misura introdotta dal governo Meloni per tutelare i consumatori rischia di ritorcersi contro l’Italia, dato che l’Unione europea potrebbe aprire una procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese. Il governo, infatti, non ha rispettato le regole dell’Ue da seguire quando si modificano le norme che possono restringere il mercato unico europeo. Questo problema non riguarda invece l’altro Paese citato da Urso, la Francia, che ha rispettato le regole europee.

La norma anti-shrinkflation

Negli ultimi anni, a molti sarà capitato di trovare nei negozi un prodotto che appariva uguale a quello comprato in precedenza, ma che presentava un peso inferiore rispetto a quello abituale. Nella migliore delle ipotesi questo prodotto aveva lo stesso prezzo di prima, nella peggiore di ipotesi un prezzo aumentato. Questa pratica prende il nome di shrinkflation (in italiano è chiamata anche “riporzionamento”): è un termine inglese nato dalla fusione dal verbo shrink (restringere) e dal sostantivo inflation (inflazione), e indica la pratica di ridurre la quantità o la qualità di un prodotto mantenendone invariato il prezzo. Le aziende ricorrono alla shrinkflation per affrontare l’aumento generale dei prezzi senza incrementare direttamente il costo dei prodotti, evitando così di scoraggiare i consumatori.

Per contrastare la shrinkflation, il governo Meloni ha introdotto una misura nella nuova legge annuale per il mercato e la concorrenza, presentata in Parlamento ad agosto 2024 e approvata definitivamente dal Senato il 12 dicembre. La misura, modificata nel corso dell’esame della Camera, è stata introdotta all’interno del Codice del consumo, un decreto legislativo del 2005 che si occupa della tutela dei consumatori. Il nuovo articolo 15-bis del Codice del consumo si intitola “Disposizioni in materia di riporzionamento dei prodotti preconfezionati”: dal 1° aprile, obbliga i produttori che mettono in vendita un bene di consumo la cui quantità è stata ridotta e il cui precedente imballaggio è rimasto inalterato, mentre il prezzo per unità di misura è aumentato, a dare informazione dell’avvenuta riduzione apponendo una specifica etichetta sulla confezione di vendita. 

Questa informazione deve essere collocata sulla parte anteriore della confezione, o su un adesivo, per un periodo di sei mesi decorrente dalla data di immissione in commercio del prodotto interessato, e deve riportare la dicitura: «Questa confezione contiene un prodotto inferiore di X (unità di misura) rispetto alla precedente quantità».

Sul suo sito ufficiale, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha spiegato che questa misura «nasce dall’esigenza di fornire ai consumatori una corretta e trasparente informazione, consentendo loro di operare una scelta di acquisto consapevole». Ma la procedura con cui è stata introdotta questa misura potrebbe creare problemi al governo.

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La procedura di notifica

Il 7 ottobre 2024 il governo italiano ha notificato alla Commissione europea e agli altri Stati membri dell’Ue il meccanismo con cui funzionerà la misura contro la shrinkflation nell’ambito della cosiddetta “procedura TRIS” (un acronimo che sta per Technical Regulation Information System). Questa notifica è prevista da una direttiva europea del 2015 nei casi in cui uno Stato membro vuole introdurre nuove regolamentazioni tecniche che potrebbero limitare la libera circolazione nel mercato unico dell’Ue di prodotti e di servizi della società dell’informazione.

Dal momento della notifica, il percorso normativo della nuova misura deve restare sospeso per tre mesi (questo periodo è chiamato standstill), per consentire alla Commissione europea e agli altri Stati membri di valutare la sua compatibilità con la legislazione dell’Ue. Se emergono profili di contrasto con il diritto europeo, la Commissione europea e gli altri Stati membri possono presentare un parere circostanziato su questi profili. Di conseguenza, la sospensione viene prorogata per altri tre mesi, durante i quali lo Stato interessato deve tener conto del parere circostanziato e rispondere, spiegando gli interventi che intende compiere per conformarsi a esso. Questi interventi possono essere la revoca della misura, la motivazione di averla conservata, oppure la modifica della misura per renderla compatibile con il diritto dell’Ue. Se uno Stato non rispetta queste condizioni, e adotta comunque la norma che ha notificato, può subire una procedura di infrazione, lo strumento con cui l’Unione europea fa rispettare il proprio diritto agli Stati membri. Le tempistiche di un’eventuale procedura sono molto lunghe: nel caso fosse avviata, e l’Italia non riuscisse a sanare la sua posizione, rischierebbe di dover pagare una multa.

Il testo della misura contro la shrinkflation originariamente notificato era soggetto a un periodo di standstill che sarebbe scaduto l’8 gennaio 2025. Ma, dato che la Commissione europea ha espresso un parere circostanziato, questo periodo è stato prorogato fino all’8 aprile 2025. 

Nonostante ciò, l’Italia non solo non ha sospeso l’iter di approvazione fino a questa data, ma ha cambiato la misura contro la shrinkflation rispetto alla versione notificata all’Unione europea. Ciò avrebbe richiesto una nuova notifica, che non è avvenuta. Come anticipato, il 12 dicembre 2024 il Parlamento ha approvato definitivamente la legge che contiene la misura, in violazione delle regole che disciplinano la procedura TRIS, poiché non ha rispettato la prevista sospensione. Questa stessa violazione è stata commessa dal governo italiano anche riguardo alla legge che vieta la carne coltivata, approvata prima della fine del periodo di standstill, come attestato dalla Commissione europea il 29 gennaio 2024.

Dunque, avendo contravvenuto alla legislazione dell’Ue, il testo della norma sulla shrinkflation potrebbe creare barriere alla libera circolazione delle merci in Europa, rendendo l’Italia assoggettabile a procedura di infrazione da parte della Commissione europea. Inoltre, qualora un giudice italiano dovesse ritenere la normativa in contrasto con le norme europee in tema di mercato interno, dovrebbe disapplicare la norma.

È vero che l’Italia ha fatto da «apripista», come ha detto Urso, ma la pista non l’ha aperta nel modo legislativamente più corretto.

La norma francese sulla shrinkflation

Urso ha dichiarato anche che la Francia, come l’Italia, ha introdotto una normativa in tema di shrinkflation, e questo è vero, ma il parallelismo tra le due misure non è del tutto corretto. 

In Francia un decreto del 16 aprile 2024, modificato successivamente da un decreto del 28 giugno, obbliga i soggetti «che operano nel settore della distribuzione dei prodotti di grande consumo» e «gestiscono, direttamente o indirettamente, un negozio a predominanza alimentare la cui superficie di vendita è superiore a 400 metri quadrati» a comunicare ai consumatori quando un prodotto è stato ridotto nelle dimensioni o nel numero di unità, ma il suo prezzo è rimasto invariato o è aumentato. L’indicazione va apposta «direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta attaccata o posta vicino al prodotto, in modo visibile, leggibile e nella stessa dimensione di carattere di quella utilizzata per l’indicazione del prezzo unitario del prodotto» stesso. L’obbligo di informazione si applica per un periodo di due mesi a partire dalla data di messa in vendita del prodotto nella sua quantità ridotta.

Proviamo a verificare alcune differenze rispetto alla normativa italiana. Quest’ultima prescrive che l’informazione ai consumatori debba essere data dai produttori, e non dai distributori, come in Francia, e per tale motivo non rileva l’estensione della superficie del punto vendita. E in Italia non basta, come invece è possibile in Francia, un cartello messo vicino al prodotto, in alternativa all’etichetta apposta sulla confezione, per informare i consumatori circa la riduzione di quantità. È proprio l’obbligo dell’etichetta, senza opzioni diverse, che può creare ostacoli alla libera circolazione del prodotto stesso, ai sensi della normativa Ue.

La differenza essenziale fra Francia e Italia, come accennato, è che la prima ha rispettato la normativa europea in tema di notifica della regolamentazione tecnica idonea a introdurre ostacoli alla libera circolazione dei prodotti nel mercato unico, l’Italia invece no, ed è il motivo per cui quest’ultima rischia la procedura di infrazione o che comunque la normativa sia disapplicata nelle aule giudiziarie.

I pro e i contro

Secondo il governo Meloni, la misura contro la shrinkflation permetterà di aumentare la trasparenza nei confronti dei consumatori e limitare i comportamenti di alcuni produttori ritenuti poco corretti.

Oltre alla questione relativa alla notifica alla Commissione Ue, ci sono altri elementi che fanno dubitare dell’efficacia della misura voluta dal governo italiano. Secondo alcuni critici, la norma contro la shrinkflation non sembra proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, vale a dire la trasparente informazione dei consumatori. Questo obiettivo, infatti, può essere raggiunto con misure meno restrittive e con un impatto minore non solo sui produttori, ma anche sul commercio tra Paesi europei, analogamente a quanto previsto, per esempio, dalle norme francesi.

Inoltre, sembra che il governo sia poco interessato al fatto che, se le confezioni restano invariate a fronte di una riduzione del prodotto che contengono, il risultato è un impatto negativo anche sull’ambiente: gli imballaggi inutilmente grandi richiedono infatti un maggiore consumo di risorse (per esempio carta, plastica, metalli, vetro) e generano più rifiuti del necessario. Ma nessuna disposizione è contenuta nel provvedimento per evitare che ciò accada.

Questa considerazione consente di formularne un’altra connessa: la norma sulla shrinkflation prescrive ai produttori obblighi informativi nei confronti del pubblico a condizione che il precedente confezionamento resti «inalterato». Ciò significa che, se il produttore modificasse anche solo leggermente la confezione di vendita, nonostante la «riduzione della quantità nominale e un correlato aumento del prezzo per unità di misura», l’obbligo risulterebbe non applicabile, limitando la trasparenza verso i consumatori.

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