Le sfide dell’ex Stalingrado d’Italia sono lo specchio del Paese

Sesto San Giovanni andrà al voto il 12 giugno, dopo i primi cinque anni di governo del centrodestra nella sua storia. I cambiamenti nel comune a nord di Milano riflettono quelli in corso in molte altre zone del Paese
Una parte dell’ex area Falck, a Sesto San Giovanni
Una parte dell’ex area Falck, a Sesto San Giovanni
Nel pomeriggio di sabato 21 maggio due fattorini carichi di pizze si avvicinano a un gazebo organizzato nel giardino di Villa Zorn, nel centro di Sesto San Giovanni. I tavoli sono pieni di volantini e gadget, e poco lontano è posizionato un manifesto con lo slogan “Di Stefano sindaco” e il logo della Lega bene in vista. «Dove le lasciamo?», chiedono a voce un po’ troppo alta, facendo voltare buona parte del pubblico che assiste alla presentazione della lista elettorale del partito. 

Il giorno prima, il vicino Largo Lamarmora era colorato dalle bandiere rosse di Sinistra italiana, e il candidato del centrosinistra Michele Foggetta parlava di riqualificazione edilizia, fondi da spendere, vittorie passate e progetti futuri.
Un evento della campagna elettorale del sindaco Roberto Di Stefano (Lega) – 21 maggio, Giardino di Villa Zorn, foto di Laura Loguercio
Un evento della campagna elettorale del sindaco Roberto Di Stefano (Lega) – 21 maggio, Giardino di Villa Zorn, foto di Laura Loguercio
Come in altri quasi mille comuni italiani, anche a Sesto San Giovanni il 12 giugno i cittadini andranno al voto per eleggere chi amministrerà la loro città per i prossimi cinque anni. Sesto non è un capoluogo di regione e nemmeno una provincia, ma la sua storia la rende un ottimo esempio di come l’Italia stia cambiando: negli ultimi anni infatti la città ha avuto a che fare con enormi progetti di riqualificazione edilizia, differenze culturali e religiose spesso sfociate in labirinti giuridici, e una trasformazione multietnica che rispecchia la vivacità della vicina Milano, ma di cui non tutti sono contenti. 

Il comune si estende per poco meno di 12 chilometri quadrati tra Cinisello Balsamo, Bresso e Cologno Monzese, e separa longitudinalmente le due province di Milano, a sud – a cui appartiene Sesto – e Monza e Brianza, a nord. Nella città corrono tre fermate della metropolitana M1 che arriva fino a piazza Duomo, alla fiera di Rho e alla periferia di Bisceglie, mentre percorrendo viale Monza si raggiunge piazzale Loreto in meno di venti minuti, passando sopra il naviglio della Martesana e attraversando il “nuovo” quartiere di NoLo, pieno di locali spuntati come funghi negli ultimi anni. Con quasi 80 mila abitanti, Sesto San Giovanni è il secondo comune più popoloso della città metropolitana dopo Milano. 

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, a Sesto San Giovanni per decenni ha sempre governato la sinistra. Le amministrazioni si sono alternate tra il Partito comunista e quello socialista, poi il Partito democratico della sinistra, i Democratici di sinistra e infine il Partito democratico, tra il 2012 e il 2017. Cinque anni fa, per la prima volta dalla fine del fascismo, a Sesto ha vinto il centrodestra di Roberto Di Stefano, eletto con Forza Italia ma passato alla Lega nel 2020, mentre era sindaco.

Oggi il mandato è conteso tra sei candidati che rappresentano forze civiche e politiche distanti tra loro, da Rifondazione comunista a Italexit (il partito antieuropeista di Gianluigi Paragone), unite in una fitta rete di alleanze e coalizioni. A prescindere dal colore politico, il prossimo sindaco troverà davanti a sé cinque anni di sfide non facili, che vanno dalla rinascita delle ex aree siderurgiche Falck al prospetto di costruire la moschea più grande del Nord Italia, il tutto dopo due anni di pandemia e con una guerra ancora in corso. Nel suo piccolo, la città sta già vivendo a pieno i cambiamenti che l’Italia intera, forte anche dei fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), dovrà gestire.

Una città che si trasforma

Antonio Pizzinato vive a Sesto San Giovanni dal 1964, quando fu nominato responsabile della sezione locale del sindacato Fiom-Cgil. Era l’inizio di una lunga carriera che lo avrebbe portato a diventare segretario nazionale della Cgil, deputato e senatore del Partito democratico della sinistra, e sottosegretario al Ministero del Lavoro con il primo governo Prodi, tra il 1996 e il 1998. Oggi, a quasi 90 anni, vive ancora a Sesto.

«Quando sono arrivato, la città era il quinto centro industriale del Paese», ha raccontato Pizzinato a Pagella Politica. «La maggioranza dei lavoratori erano occupati in grandi aziende», come le acciaierie Falck, il gruppo Ernesto Breda e le fabbriche Marelli, enormi centri di produzione siderurgica, ferroviaria, bellica ed elettrica. La vocazione industriale, unita a una forte presenza sindacale e ad anni di amministrazione del Partito comunista, fecero guadagnare alla città il soprannome di “Stalingrado d’Italia”.

Oggi però le cose sono cambiate: «Ci sono state, e sono in atto, grandi trasformazioni», ha detto Pizzinato. Complici la recessione economica e la crisi della siderurgia e dell’energia a livello mondiale, tra gli anni Ottanta e Novanta le fabbriche sestesi hanno fermato la produzione, vendendo gli impianti o abbandonandoli in quelli che ancora oggi si presentano come enormi capannoni inutilizzati. Il caso più noto è quello dell’area Falck: uno spiazzo da 1,5 milioni di metri quadrati – più del 12 per cento dell’intero territorio comunale – fermo dal 1995, quando l’azienda ha spento gli ultimi altiforni.

La riqualificazione delle aree Falck

Quasi trent’anni dopo, la riqualificazione dell’ex area Falck è ancora uno dei temi principali di cui si discute in campagna elettorale. A febbraio 2021 l’attuale giunta ha approvato il progetto per la riqualificazione del quartiere “Unione Zero”, dal nome dello storico stabilimento Unione della Falck, e circa un anno dopo sono iniziati gli scavi. Sul sito del comune si legge che una volta ultimato – si parla del 2026 – lo spazio ospiterà la Città della salute e della ricerca, un complesso con strutture sanitarie come l’Istituto dei Tumori e il centro Neurologico Besta, oltre a un ampio viale «attrezzato con attività commerciali di ogni genere». Nei piani dell’amministrazione il quartiere diventerà «una vera e propria città nella città, con appartamenti e negozi in cui vivranno e lavoreranno 20 mila persone». Il progetto include anche un nuovo parco da 14 ettari, 10 mila nuovi alberi, 15 chilometri di piste ciclabili e una nuova stazione a ponte progettata da Renzo Piano che collegherà il tutto con l’attuale stazione ferroviaria e metropolitana di Sesto 1° Maggio.

«Con questa rigenerazione urbana arriveranno in città 3.500 posti di lavoro legati al distretto della salute, 4.800 posti di lavoro tra uffici e attività commerciali, 700 posti letto per studenti, e mille posti letto ospedalieri», ha detto a Pagella Politica il sindaco Di Stefano, in corsa per un secondo mandato, aggiungendo: «I lavori delle aree ex-Falck procedono e noi siamo soddisfatti di aver fatto partire sotto questa amministrazione dei progetti che erano bloccati da anni».
Il cantiere per “Unione Zero” visto da via Acciaierie – 25 maggio, foto di Laura Loguercio
Il cantiere per “Unione Zero” visto da via Acciaierie – 25 maggio, foto di Laura Loguercio
Il piano di riqualificazione delle ex aree Falck, infatti, non è nuovo. «L’amministrazione Di Stefano si è limitata a portare avanti i progetti delle giunte antecedenti», ha detto a Pagella Politica Massimiliamo Rosignoli, candidato sindaco per la coalizione che include Italia viva, Azione e +Europa. Per esempio, dal 2011 almeno altre due amministrazioni hanno lavorato al piano per la Città della Salute, e la costruzione dell’Istituto dei tumori e del centro neurologico Besta era stata decisa già nel 2012 da un’intesa tra l’ex sindaca Monica Chittò (Pd) e l’allora governatore della Lombardia Roberto Formigoni. Le operazioni di bonifica sono iniziate nel 2015, e proseguite a rilento anche a causa di problemi giudiziari tra le società coinvolte. 

Negli ultimi cinque anni la giunta Di Stefano ha ridato slancio ai lavori, terminando la bonifica del primo lotto e avviando i veri e propri cantieri. Non tutti, però, sono entusiasti dell’inizio degli scavi. Secondo Michele Foggetta, candidato sindaco di Sinistra italiana sostenuto dalla coalizione di centrosinistra con Partito democratico, Movimento 5 stelle, Europa Verde e varie liste civiche, il progetto di riqualificazione delle aree Falck «va rivisto insieme alla proprietà e ai cittadini che vivono intorno a quelle aree». Foggetta ha spiegato a Pagella Politica che al momento il piano non prevede la costruzione «dei servizi necessari ad accogliere i nuovi sestesi» che arriveranno nel quartiere, a partire per esempio dalle scuole. Il progetto dovrebbe inoltre «sposarsi con la città che già esiste intorno, un fattore che al momento non è garantito».
Un capannone delle ex aree Falck visto da via Mazzini – 25 maggio, foto di Laura Loguercio
Un capannone delle ex aree Falck visto da via Mazzini – 25 maggio, foto di Laura Loguercio
A pochi mesi dall’inizio dei lavori, i residenti che abitano nelle vie limitrofe agli scavi si sono riuniti nel comitato Residenti Acciaierie Mazzini per protestare contro la mancanza di comunicazione da parte della giunta attuale. «Il progetto è stato pubblicizzato con gli investitori, ma molti cittadini non sanno cosa sta succedendo», ha detto a Pagella Politica Silvia Cesati, rappresentante del Comitato, a margine di un evento sulla riqualificazione delle aree Falck organizzato dalla coalizione di Foggetta. Il gruppo ha richiesto più volte un confronto con l’amministrazione comunale, senza mai ricevere risposta. «L’amministrazione dovrebbe rappresentare gli interessi dei cittadini e dei contribuenti, non quelli dei costruttori», ha continuato Cesati, precisando che il Comitato è sicuramente favorevole alla riqualificazione degli spazi, ma non nei termini decisi dall’amministrazione attuale. Di Stefano ha risposto affermando che la sua giunta ha rispettato le volumetrie disposte da quella precedente, intervenendo poi sul progetto per «razionalizzare, migliorare la distribuzione delle funzioni, ottimizzare le opere pubbliche e l’auto-sostenibilità dei quartieri».

Oggi l’area in cui dovrebbe sorgere il quartiere “Unione Zero” è molto diversa dai rendering che mostrano il progetto finito. Percorrendo a piedi il perimetro della zona un tempo occupata dalle acciaierie Falck si vedono ancora gli scheletri dei capannoni, la centrale termoelettrica, le torri del vecchio acquedotto. Sbirciando tra le transenne che delimitano i cantieri si scorgono macchinari pesanti che scavano, spostano, ricostruiscono. Nel quartiere c’è un via vai continuo di mezzi pesanti, ma i pedoni sono ben pochi: alla vigilia delle elezioni amministrative, insomma, la «città nella città» che dovrebbe in futuro rimpiazzare gli spazi vuoti sembra lontana.
Un rendering del quartiere “Unione Zero” – Fonte: The European House Ambrosetti e Comune di Sesto San Giovanni
Un rendering del quartiere “Unione Zero” – Fonte: The European House Ambrosetti e Comune di Sesto San Giovanni
Inoltre, il quartiere “Unione Zero” – quello attualmente interessato dai cantieri – è solo il primo degli oltre dieci lotti che dovranno essere risanati. Per gli altri esistono progetti sulla carta, alcuni più concreti, come il parco Unione, e altri meno.

Negli ultimi mesi si è parlato anche della possibilità di costruire sui terreni delle ex aree Falck il nuovo stadio delle squadre di calcio di Milano, per rimpiazzare lo storico Meazza. Il tema ha ancora una volta diviso le forze politiche sestesi: secondo il centrodestra di Di Stefano questo sarebbe «il regalo più bello che si possa fare alla città», mentre secondo Foggetta «Sesto ha altre priorità», come la riduzione delle polveri sottili e della cementificazione del suolo. Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel 2020 Sesto San Giovanni era il nono comune più cementificato d’Italia, con un tasso di consumo del suolo del 68,8 per cento.

La “Mecca del Nord Italia”?

Nella “Stalingrado d’Italia” non si parla solo di vecchie fabbriche e nuovi quartieri. Da più di dieci anni le amministrazioni comunali discutono della possibilità di costruire una moschea nel territorio di Sesto San Giovanni, su richiesta del centro culturale islamico della città. Dal 2015 l’associazione ha sede in una struttura provvisoria in via Bernardino Luini, all’estremità nord delle ex aree Falck, costruita appositamente e incastrata tra i binari ferroviari da un lato e una serie di villette a schiera dall’altro.  È un prefabbricato grigio con il tetto spiovente, decorato da nastri e manifesti che accolgono i fedeli. 
Nel 2012 la giunta di Giorgio Oldrini (Democratici di sinistra) ha concesso al Centro culturale islamico i diritti per costruire «edifici e attrezzature destinati al culto, a servizi religiosi e socio-culturali» sui terreni in via Luini. Nel 2013, con la nuova giunta di Monica Chittò (Pd) è stata firmata una convezione che definiva i dettagli per la costruzione della moschea: secondo fonti stampa, questa sarebbe stata finanziata dai fedeli e avrebbe dovuto occupare un’area di 2.450 metri quadrati, quasi quattro volte quella di Segrate, la più grande della città metropolitana, che si estende su 658 metri quadrati.

Nel 2017, non appena entrato in carica, l’attuale sindaco Di Stefano ha fatto decadere gli accordi, annullando i permessi e quindi bloccando la costruzione della moschea, principalmente perché il Centro non aveva iniziato i lavori di bonifica entro i termini stabiliti dalla convenzione del 2013 e aveva nel frattempo maturato un debito da più di 300 mila euro. L’anno successivo il Centro culturale islamico ha vinto il ricorso presentato al Tribunale amministrativo regionale (Tar) della Lombardia, riaprendo la possibilità di costruire la moschea, ma nel 2019 il Consiglio di Stato (l’ultimo grado di giudizio della giustizia amministrativa) ha dato ragione alla giunta Di Stefano, che quindi ha bloccato nuovamente i lavori.  

«I sestesi possono stare tranquilli: a Sesto San Giovanni, con noi, non verrà costruita la moschea», ha detto Di Stefano a Pagella Politica. Durante la campagna elettorale, diversi organi di stampa hanno affrontato il tema della potenziale moschea di Sesto San Giovanni, sostenendo tra le altre cose che il candidato di centrosinistra Foggetta sarebbe favorevole alla sua costruzione, accuse riprese anche da Di Stefano sui propri canali social. 

«La “Grande moschea”, o la “Mecca d’Italia”, come è stata definita, non sarà a Sesto», ha risposto Foggetta, parlando con Pagella Politica, e sottolineando che il progetto presentato nel 2012 è effettivamente stato ritenuto eccessivo rispetto alla realtà sestese. Allo stesso tempo, ha fatto notare il candidato, il Consiglio di Stato ha imposto «di garantire il diritto di culto alla comunità musulmana» e quindi la città «dovrà comunque mettere uno spazio a disposizione dei fedeli». Anche secondo Rosignoli, candidato per Azione, Italia viva e +Europa, il progetto approvato nel 2013 «è esagerato» rispetto alle esigenze della città, ma rimane comunque necessario regolarizzare la struttura provvisoria in via Luini: «Vogliamo mantenere il prefabbricato, o regolarizzare la situazione?», si è chiesto. Contattato da Pagella Politica, l’imam del Centro Culturale Islamico, Tchina Abdullah, ha detto che sarà disponibile per commentare la situazione solo dopo i risultati del voto del 12 giugno. 

La strumentalizzazione politica del dibattito intorno alla costruzione di una moschea, sfociato in ricorsi e intricate vicende giudiziarie, non è esclusiva di Sesto San Giovanni. Da anni una situazione simile si verifica nella periferia di Pisa, dove la comunità islamica locale ha avuto a che fare prima con un sindaco del Pd, che ha approvato il progetto di costruzione del sito, e poi della Lega, che l’ha bloccato. Una vicenda simile è in corso a Umbertide, in provincia di Perugia.

L’emergenza abitativa

Un tema finora rimasto ai margini della campagna elettorale è l’emergenza abitativa, che negli ultimi cinque anni ha coinvolto decine di famiglie sestesi ed è diventata particolarmente complessa. I problemi principali riguardano le procedure di assegnazione delle case popolari, le cui graduatorie sono state ritenute discriminatorie dal Tribunale di Milano. 

Nel 2018 la giunta Di Stefano ha introdotto requisiti aggiuntivi per i soli cittadini stranieri interessati a partecipare ai bandi per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica (Erp), rendendo necessaria la presentazione di un documento, rilasciato dal catasto del Paese d’origine, che attestasse il mancato possesso di proprietà immobiliari all’estero. In seguito a vari ricorsi il Tar ha inizialmente dato ragione al Comune, ma a marzo 2020 il Tribunale ha giudicato discriminatoria questa condotta, chiedendo di modificare il bando (sentenza confermata anche in Appello, a maggio 2020). «Non c’è nulla di più indegno che utilizzare le fragilità e i problemi delle persone per farsi una personale campagna elettorale», ha commentato Di Stefano, aggiungendo che la sua amministrazione «ha sempre vigilato perché gli aiuti e i supporti venissero dati senza discrezionalità».

Un secondo problema riguarda una serie di famiglie in difficoltà a cui la giunta precedente aveva messo a disposizione appartamenti privati, affittati direttamente dal Comune, a fronte del pagamento di una piccola parte delle spese, circa cento euro. La nuova giunta ha ritenuto illegittima questa soluzione, e ha cercato di liberare gli appartamenti in modo anche da eliminare le spese a carico del Comune. 

Tra gli immobili interessati dal problema c’è anche il Residence Puccini, un complesso di 115 appartamenti non troppo lontano dal Centro culturale islamico, dalle ex aree Falck e dalla fermata della metropolitana di Sesto 1° Maggio FS. Qui la precedente giunta Chittò ha collocato in sublocazione sette famiglie, che negli ultimi cinque anni si sono trovate più volte a rischio sfratto. Alcune di queste erano, e sono tutt’ora, in situazioni difficili. «In un nucleo, il marito era stato condannato a 14 anni di carcere, mentre il figlio soffre di distrofia muscolare», ha raccontato a Pagella Politica Gianluigi Montalto, avvocato dell’Unione Inquilini che ha seguito molti di questi casi.
Il Residence Puccini a Sesto San Giovanni – 25 maggio, foto di Laura Loguercio
Il Residence Puccini a Sesto San Giovanni – 25 maggio, foto di Laura Loguercio
Nell’ultimo periodo le cose sono migliorate. A inizio 2022 il Comune ha aperto cinque bandi, dal valore complessivo di un milione di euro, per aiutare i cittadini in difficoltà a causa dell’emergenza abitativa, e a marzo la vicenda del Residence Puccini si è risolta con l’assegnazione alle sette famiglie coinvolte di case popolari gestite dalle Aziende lombarde per l’edilizia residenziale (Aler). 

Sul tema della casa, inoltre, la politica locale sestese si allaccia a quella nazionale. Claudio D’Amico (Lega), assessore, tra le altre cose, alle Politiche abitative, è noto per i suoi legami con la Russia, con il segretario del partito Matteo Salvini e con Gianluca Savoini, ed è stato coinvolto nell’affare “Moscopoli” del 2018.

La campagna elettorale

I risultati delle elezioni del prossimo 12 giugno decideranno il futuro di Sesto San Giovanni almeno per i prossimi cinque anni. Oltre a Di Stefano, Foggetta e Rosignoli, sono in corsa per la carica di sindaco anche Silvio La Corte, esponente di Rifondazione comunista e sostenuto dalla Coalizione della sinistra; Paolo Vino, con la lista civica Giovani sestesi; ed Eleonora Tempesta per Italexit, il partito di Gianluigi Paragone. Indipendentemente da chi diventerà sindaco, la città è già proiettata verso una serie di profonde trasformazioni, che rivoluzioneranno la sua conformazione attuale. 
Un evento della campagna elettorale di Michele Foggetta (Sinistra italiana) - Largo Lamarmora, 20 maggio, foto di Laura Loguercio
Un evento della campagna elettorale di Michele Foggetta (Sinistra italiana) - Largo Lamarmora, 20 maggio, foto di Laura Loguercio
Un secondo mandato di Di Stefano rappresenterebbe una soluzione di continuità con le politiche messe in atto negli ultimi cinque anni, e la riconferma del fatto che le idee politiche della città sono cambiate definitivamente rispetto al suo passato fatto di fabbriche e sindacati. Il reinsediamento di una giunta di centrosinistra dovrebbe invece fare i conti con le decisioni prese finora – alcuni delle quali difficilmente reversibili, come il progetto per Unione Zero – e restare intanto al passo con le esigenze dei cittadini dopo una pandemia e una guerra ancora in corso. 

Secondo Antonio Pizzinato, lo storico sindacalista, la campagna elettorale del 2022 sta riscontrando «grande partecipazione» da parte della cittadinanza. Matteo Salvini e Carlo Calenda hanno già visitato la città per sostenere i rispettivi candidati, attirando centinaia di elettori, ed Enrico Letta sarà a Sesto il 27 maggio. 

Al momento non esistono sondaggi: per conoscere il futuro della Stalingrado d’Italia, conteremo le caselle barrate nelle urne.

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