Il 22 dicembre, durante un vertice in Finlandia con alcuni leader europei, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha commentato la recente sentenza della Cassazione che riguarda la lista dei Paesi considerati “sicuri” dal governo, da cui provengono i richiedenti asilo. «Mi pare che la Corte di Cassazione ha sostanzialmente dato ragione al governo italiano sul fatto che è diritto dei governi stabilire quale sia la lista dei Paesi sicuri», ha dichiarato Meloni. La presidente del Consiglio ha aggiunto che, in base alla sentenza della Cassazione, «i giudici possono entrare nel merito del singolo caso in rapporto al Paese, ma non disapplicare in toto» la lista stilata dal governo.
La sentenza della Cassazione, pubblicata il 19 dicembre, si inserisce nel dibattito sul trattenimento dei migranti provenienti da Paesi sicuri in appositi centri, tra cui quelli costruiti in Italia dall’Albania (come vedremo, in realtà la sentenza riguarda un caso diverso). Tra ottobre e novembre, in due occasioni il Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei migranti in questi centri, sulla base di una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Vari esponenti del governo e dei partiti che lo sostengono avevano criticato i giudici, dicendo che non possono sindacare il potere del governo di decidere quali sono i Paesi sicuri e, di conseguenza, quali migranti possono essere trattenuti nei centri in Albania.
Secondo Meloni, ora la Cassazione avrebbe «dato ragione al governo», ma questa lettura è fuorviante per vari motivi. Nessun giudice, infatti, ha messo in dubbio che spettasse al governo definire la lista dei Paesi sicuri. La direttiva europea del 2013 (chiamata “direttiva Procedure”) stabilisce che gli Stati membri dell’Ue «possono mantenere in vigore o introdurre» una norma per «designare a livello nazionale Paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale». Questo punto non è stato l’oggetto della controversia davanti ai giudici.
In più, nessuna autorità giudiziaria ha mai sostenuto che i giudici dei tribunali potessero disapplicare erga omnes, ossia in modo generale, il decreto con la lista dei Paesi sicuri. Questa cosa, infatti, non è mai avvenuta: i giudici si sono limitati esclusivamente alla sua disapplicazione in merito a singoli casi concreti di richiedenti asilo, sottoposti al loro vaglio. Questo è avvenuto anche perché ai tribunali, in base al nostro ordinamento, è precluso andare al di là della specifica controversia su cui sono chiamati a esprimersi. Solo la Corte Costituzionale può invalidare erga omnes una norma.
In estrema sintesi, la Cassazione ha stabilito che il «potere di accertamento» dei giudici su una richiesta d’asilo «non può essere limitato dalla circostanza che uno Stato sia incluso nell’elenco di Paesi da considerare sicuri sulla base di informazioni vagliate unicamente» dal governo. Al governo spetta valutare quali Paesi possano definirsi sicuri, ma ai giudici compete vagliare la legittimità di tale valutazione, ed eventualmente disapplicare il relativo decreto nel caso sia sottoposto al loro esame.
Procediamo con ordine per capire che cosa ha stabilito più nel dettaglio la sentenza della Cassazione.
La sentenza della Cassazione, pubblicata il 19 dicembre, si inserisce nel dibattito sul trattenimento dei migranti provenienti da Paesi sicuri in appositi centri, tra cui quelli costruiti in Italia dall’Albania (come vedremo, in realtà la sentenza riguarda un caso diverso). Tra ottobre e novembre, in due occasioni il Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei migranti in questi centri, sulla base di una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Vari esponenti del governo e dei partiti che lo sostengono avevano criticato i giudici, dicendo che non possono sindacare il potere del governo di decidere quali sono i Paesi sicuri e, di conseguenza, quali migranti possono essere trattenuti nei centri in Albania.
Secondo Meloni, ora la Cassazione avrebbe «dato ragione al governo», ma questa lettura è fuorviante per vari motivi. Nessun giudice, infatti, ha messo in dubbio che spettasse al governo definire la lista dei Paesi sicuri. La direttiva europea del 2013 (chiamata “direttiva Procedure”) stabilisce che gli Stati membri dell’Ue «possono mantenere in vigore o introdurre» una norma per «designare a livello nazionale Paesi di origine sicuri ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale». Questo punto non è stato l’oggetto della controversia davanti ai giudici.
In più, nessuna autorità giudiziaria ha mai sostenuto che i giudici dei tribunali potessero disapplicare erga omnes, ossia in modo generale, il decreto con la lista dei Paesi sicuri. Questa cosa, infatti, non è mai avvenuta: i giudici si sono limitati esclusivamente alla sua disapplicazione in merito a singoli casi concreti di richiedenti asilo, sottoposti al loro vaglio. Questo è avvenuto anche perché ai tribunali, in base al nostro ordinamento, è precluso andare al di là della specifica controversia su cui sono chiamati a esprimersi. Solo la Corte Costituzionale può invalidare erga omnes una norma.
In estrema sintesi, la Cassazione ha stabilito che il «potere di accertamento» dei giudici su una richiesta d’asilo «non può essere limitato dalla circostanza che uno Stato sia incluso nell’elenco di Paesi da considerare sicuri sulla base di informazioni vagliate unicamente» dal governo. Al governo spetta valutare quali Paesi possano definirsi sicuri, ma ai giudici compete vagliare la legittimità di tale valutazione, ed eventualmente disapplicare il relativo decreto nel caso sia sottoposto al loro esame.
Procediamo con ordine per capire che cosa ha stabilito più nel dettaglio la sentenza della Cassazione.