Il Senato discute la legge sulle lobby senza trasparenza

Le modifiche al testo, che regola le attività dei gruppi di pressione, saranno decise da un comitato ristretto, i cui lavori non saranno pubblici
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Da circa tre mesi è all’esame del Senato la proposta di legge per regolamentare le attività di lobby, ossia di quelle persone che, pur senza avere un potere politico, possono influenzare le decisioni di governo e Parlamento. Il termine “lobby” è spesso utilizzato con un’accezione negativa per indicare grandi gruppi aziendali o compagnie con risorse economiche importanti, ma in realtà include anche fondazioni, associazioni non-profit ed enti del terzo settore che tutelano i diritti dei cittadini e delle minoranze. 

Per rendere più rapido il processo di revisione del testo, approvato lo scorso 12 gennaio dalla Camera, la Commissione Affari costituzionali del Senato ha deciso di costituire una sorta di “comitato ristretto”, formato solo da alcuni dei suoi membri, che lavorerà su eventuali modifiche da introdurre nella proposta. Secondo diverse associazioni, questa decisione rischia però di compromettere la trasparenza delle discussioni su alcuni punti del testo, ritenuti fondamentali per regolamentare al meglio i lobbisti.

Le critiche principali sostengono infatti che l’attuale proposta tuteli alcuni interessi più di altri. Fosse approvata nella forma in cui è scritta ora, la legge non si applicherebbe, tra gli altri, alle organizzazioni sindacali, come la Cgil, e a organizzazioni imprenditoriali, come Confindustria.

Quali sono le novità in arrivo

La proposta di legge sulle attività di lobbying è il risultato dell’unione di tre proposte precedenti, presentate tra il 2018 e il 2019, rispettivamente dai deputati Maria Anna Madia (Partito democratico), Silvia Fregolent (al tempo Pd, oggi in Italia viva) e Francesco Silvestri (Movimento 5 stelle).

La novità principale è la creazione (art. 4), presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), di un “registro per la trasparenza dell’attività di rappresentanza di interessi”, pubblicamente consultabile, a cui tutti i soggetti che svolgono attività di lobbying sono tenuti a iscriversi. 

Al registro è strettamente collegata l’agenda degli incontri (art. 5), che i lobbisti devono aggiornare con cadenza settimanale per dare conto di tutti i loro incontri con membri del governo e del Parlamento, e delle autorità locali, come sindaci, assessori e consiglieri comunali. Per ogni incontro, il lobbista deve indicare i partecipanti e l’ora e il luogo di svolgimento, oltre a fornire una sintesi degli argomenti trattati. 

Inoltre, i decisori pubblici che intendono proporre o adottare atti normativi possono decidere di aprire – ma non sono obbligati a farlo, come vedremo – una procedura di consultazione, dandone notizia nel registro, in modo da coinvolgere le associazioni di lobby interessate. La consultazione deve rimanere aperta per almeno 20 giorni, o cinque giorni in caso di «motivata urgenza». 

I rappresentanti di interessi che non si iscrivono al registro, non aggiornano l’agenda o forniscono informazioni false rischiano una multa tra i 5 mila e i 15 mila euro. 

Il problema della trasparenza

Come detto, la proposta di legge sarà ora esaminata da una sorta di “comitato ristretto”, formato da alcuni membri della Commissione Affari costituzionali del Senato, generalmente uno per gruppo. Questo comitato ristretto ha il compito di approfondire l’argomento in esame e preparare un testo da sottoporre poi al volo dell’aula del Senato. 

L’idea del comitato ristretto è stata promossa soprattutto dai senatori del M5s Danilo Toninelli e Gianluca Perilli. Il senatore Nazario Pagano (Forza Italia) si è opposto, sostenendo che il tema richieda un dibattito completo, mentre il  leghista Luigi Agussori ha proposto di formare il comitato ristretto solo dopo la presentazione degli emendamenti in commissione. 

«Il comitato ristretto non è una novità», ha replicato a Pagella Politica Perilli. «È un ambito informale di discussione, che serve per sciogliere i nodi politici e arrivare a una sintesi da presentare in commissione: non sostituisce la commissione, ma è uno strumento di dialogo a latere».

Secondo Fabio Rotondo, policy officer per The Good Lobby e coordinatore della campagna #Lobbying4Change – di cui fanno parte 35 organizzazioni non profit che puntano a rendere i processi pubblici decisionali più trasparenti e inclusivi – la scelta di costituire un comitato ristretto «è positiva, perché le cose vanno avanti spedite», ma rischia anche di rendere poco trasparenti le decisioni del Parlamento. «Questo è un paradosso visto la legge che si discute», ha commentato Rotondo a Pagella Politica

In base alle regole del Senato, le riunioni dei comitati ristretti «sono prive di ogni pubblicità»: non prevedono dunque la pubblicazione dei riassunti dei lavori come accade per le normali commissioni. Durante la discussione in Commissione Affari costituzionali, Perilli ha sottolineato che nel comitato ristretto sono comunque rappresentati tutti i gruppi, e quindi «non c’è il rischio di una compressione del dibattito». 

Nonostante il testo sia passato alla Camera senza alcun voto contrario, la sua approvazione non è scontata: diverse associazioni ne hanno sottolineato i punti critici, che sperano possano essere risolti proprio nel corso della revisione in Senato. 

Chi rimane escluso dagli obblighi di trasparenza

Tra i punti maggiormente contestati c’è l’esclusione dagli obblighi di trasparenza decisi per i lobbisti delle «atti­vità svolte da esponenti di organizzazioni sindacali e imprenditoriali». Di fatto, enti come la Cgil o Confindustria rimangono escluse dalla legge, e non devono quindi iscriversi al registro o compilare l’agenda degli incontri. Sono esclusi, tra gli altri, anche i giornalisti, i rappresentanti di gruppi religiosi, gli enti pubblici e i partiti o movimenti politici. 

Durante la discussione alla Camera, il deputato Francesco Forciniti (ex M5s, ora nel gruppo Misto con Alternativa) ha presentato un emendamento che proponeva di includere nell’ambito di applicazione della legge anche le organizzazioni imprenditoriali, ma questo ha ricevuto parere contrario sia dalla Commissione Affari costituzionali della Camera che del governo, ed è poi stato bocciato dall’aula con 350 voti contrari e 20 favorevoli. «Come si fa anche solo a pensare di fare un testo sulla rappresentanza di interessi e tenere fuori le organizzazioni imprenditoriali, che spesso sono quelle che premono di più, dal loro punto di vista anche legittimamente, sul decisore politico?», ha chiesto Forciniti alla Camera nel corso della votazione sugli emendamenti. 

Nella stessa occasione la deputata Silvia Fregolent (Iv), tra i promotori del testo, aveva spiegato che «le formazioni sindacali e imprenditoriali hanno un interesse più ampio e collettivo rispetto alle singole imprese e alle singole società di portatori di interessi, e anche la formazione dei loro vertici avviene attraverso modalità più simili a quelle delle forme politiche tradizionali». Secondo Fregolent, quindi, è «obbligatorio» escludere queste associazioni perché, a differenza delle aziende private, già oggi presentano dei processi decisionali basati anche su «congressi, con votazioni e con un dibattito pubblico».

Durante le audizioni informali organizzate al Senato, diversi esperti o associazioni hanno chiesto che il testo venga modificato per includere anche alcune categorie oggi lasciate fuori, come i giornalisti – che spesso ricoprono ruoli di ufficio stampa o di addetti alle pubbliche relazioni – e le organizzazioni imprenditoriali. 

«Queste esclusioni non hanno senso, e lo abbiamo sottolineato alle audizioni. Le organizzazioni imprenditoriali sono tra le principali a fare attività di lobby», ha detto Rotondo a Pagella Politica, confermando poi che finora Confindustria non ha commentato il testo e non ha partecipato alle audizioni informali organizzate dal Parlamento. 

Gli altri punti da risolvere

Altro elemento contestato della proposta di legge è l’eccessivo carico di lavoro che questo pone sui rappresentanti di interessi, al punto da risultare «punitiva», secondo Rotondo. Un esempio è l’agenda degli incontri, che va compilata ogni settimana in modo dettagliato dai lobbisti stessi. «Le aziende si troverebbero a fare i conti con una mole importante di lavoro burocratico, un onere problematico», ha detto in un’audizione in Senato Davide Burani, responsabile delle attività di advocacy e public affairs per la Camera di commercio americana in Italia. 

Inoltre, la compilazione di agende separate da parte di tutti i portatori d’interesse coinvolti rischia di creare una situazione dispersiva, dove gli incontri di ogni singolo ministro sono sparsi nelle agende delle varie società. «Se le istituzioni avessero una sola agenda, la consultazione sarebbe più semplice, mentre così sarà necessario cercare sui siti di tutti gli enti coinvolti», ha spiegato Rotondo a Pagella Politica. «Questo complica il lavoro di chi fa analisi e ricerca».

Già oggi il Ministero per lo Sviluppo economico (Mise) pubblica un “calendario incontri con i portatori di interesse”, dove dovrebbero essere registrati gli incontri del ministro, dei viceministri e dei dirigenti. Nel 2019 però il sito Openpolis aveva sottolineato alcuni problemi relativi alla trasparenza e al mancato aggiornamento dell’agenda. Al 12 aprile 2022, le ultime attività registrate risalgono al dicembre 2021.  

La campagna #Lobbying4Change punta anche a rendere obbligatorie le consultazioni pubbliche tra decisori e lobbisti, che al momento secondo la legge rimangono a discrezione del decisore. «Chi è iscritto al registro dovrebbe avere il diritto di essere ascoltato», dice Rotondo.

Una volta approvato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato – e dal suo “comitato ristretto” – il testo passerà all’aula per il voto finale. Secondo Rotondo, «c’è la possibilità che alcuni cambiamenti vengano approvati», come l’inclusione di Confindustria e il principio di reciprocità tra i doveri dei lobbisti e degli amministratori. I tempi però sono stretti: eventuali cambiamenti apportati dal Senato dovrebbero essere approvati nuovamente anche dalla Camera entro la fine della legislatura in corso, nel 2023.

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