Schlein ha la memoria corta su Meloni e la riforma di Dublino

La segretaria del PD accusa la leader di Fratelli d’Italia di non aver partecipato ai negoziati per riformare il regolamento sull’immigrazione. Ma nel 2016 e 2017 il partito della presidente del Consiglio non aveva parlamentari europei
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Lunedì 19 giugno si è riunita la direzione nazionale del Partito Democratico, l’organismo in cui si discute la linea politica del partito, dove ha parlato la segretaria Elly Schlein. Nel suo discorso Schlein ha criticato, tra le altre cose, la gestione dell’immigrazione del governo di Giorgia Meloni, accusando alcuni suoi membri di non aver partecipato in passato ai tentativi di cambiare le regole europee sui flussi migratori. «Meloni e i suoi sodali, quando erano all’opposizione, non hanno mai partecipato ai negoziati sulla riforma di Dublino di qualche anno fa per non disturbare Orbán», ha dichiarato Schlein. 

In questa dichiarazione della segretaria del PD c’è qualcosa che non torna, più nello specifico il riferimento all’attuale presidente del Consiglio.

Il tentativo di cambiare Dublino

Il regolamento di Dublino III, entrato in vigore nel 2014, stabilisce il modo in cui va individuato lo Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri dell’Unione europea. Una delle norme di questo regolamento che penalizza di più l’Italia è il criterio del cosiddetto “primo ingresso”: salvo alcune eccezioni, generalmente lo Stato competente per l’esame di una richiesta di asilo è quello in cui il richiedente asilo ha varcato per la prima volta la frontiera. 

Tra il 2016 e il 2017, quando Schlein era parlamentare europea eletta nelle liste del PD, è stato avviato un percorso per riformare il regolamento di Dublino. A maggio 2016 la Commissione Ue ha presentato la sua proposta di riforma, in cui si chiedeva di introdurre un sistema di ricollocamento dei richiedenti asilo tra i vari Paesi Ue in caso in cui uno Stato membro dovesse affrontare flussi migratori insostenibili. La proposta della Commissione è poi passata al Parlamento europeo, dove è stata approvata con alcune modifiche a novembre 2017, dando il via alle trattative con il Consiglio dell’Ue, l’altro organo legislativo dell’Ue. Tra le altre cose il testo approvato dal Parlamento Ue prevedeva l’eliminazione del criterio di primo ingresso e l’introduzione di un meccanismo permanente e obbligatorio sulla base del quale ripartire le domande dei richiedenti asilo tra tutti i Paesi Ue. Alla fine il percorso della riforma è poi finito in un nulla di fatto.

Il ruolo della Lega

Già in passato, come abbiamo verificato nel 2018 proprio a partire da una dichiarazione di Schlein, la futura segretaria del PD aveva accusato i parlamentari europei della Lega di non aver partecipato ai negoziati nel Parlamento Ue per cambiare il regolamento di Dublino. In breve: in base alle nostre verifiche, è vero che nel 2017 i parlamentari europei del partito di Matteo Salvini – che in quell’anno era parlamentare europeo – non avevano preso parte alle trattative all’interno della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe), che si era occupata di esaminare il testo prima che fosse votato dall’aula del Parlamento Ue. La scelta di non partecipare ai negoziati da parte della Lega e del suo gruppo parlamentare Europa delle Nazioni e delle Libertà Nazionali (Enf), in cui c’era anche il Rassemblement National francese di Marine Le Pen, era stata una decisione politica e di strategia parlamentare. 

Ad agosto 2018, quando era ministro dell’Interno, Salvini ha dichiarato che la revisione del regolamento di Dublino non era più una «priorità», partecipando a una conferenza stampa con il primo ministro ungherese Viktor Orbán (da qui il riferimento di Schlein nel discorso alla direzione nazionale del PD). All’epoca il governo italiano, il primo guidato da Giuseppe Conte, era vicino alle posizioni del cosiddetto “gruppo di Visegrad”, formato da Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, il cui obiettivo era quello di chiudere le frontiere esterne, impedendo ai migranti di arrivare in Europa, e non di introdurre un meccanismo automatico di redistribuzione dei richiedenti asilo.

E Fratelli d’Italia?

Nel 2016 e 2017 Fratelli d’Italia non aveva membri all’interno del Parlamento Ue. Alle elezioni europee del 2014 il partito di Meloni – che all’epoca era deputataaveva preso il 3,6 per cento dei voti, di poco sotto la soglia di sbarramento del 4 per cento, non riuscendo a eleggere nessun parlamentare europeo. Dunque durante le trattative per riformare il regolamento di Dublino Fratelli d’Italia non aveva esponenti che potessero partecipare ai negoziati. Da qui l’errore di Schlein, che infatti nelle sue dichiarazioni passate sul tema ha criticato la Lega e non Fratelli d’Italia. 

A novembre 2018 Stefano Maullu, eletto al Parlamento europeo con Forza Italia, è passato a Fratelli d’Italia, partito a cui hanno aderito poco prima delle elezioni europee del 2019 anche altri due parlamentari europei di Forza Italia, Innocenzo Leontini ed Elisabetta Gardini. Tutti e tre sono entrati a far parte del gruppo parlamentare dei Conservatori e Riformisti europei, di cui ancora oggi fanno parte gli esponenti del partito di Meloni. Alle elezioni europee del 2019 Fratelli d’Italia ha invece eletto cinque parlamentari europei, prendendo il 6,4 per cento dei voti. 

Nel suo programma elettorale per le elezioni europee del 2014 il partito di Meloni aveva parlato del regolamento di Dublino. «Fratelli d’Italia si batte per l’introduzione di meccanismi vincolanti per la redistribuzione dei richiedenti asilo e rifugiati tra gli Stati dell’Ue e per la revisione della regolamentazione di Dublino affinché sia cambiato il principio secondo cui l’accoglienza dell’immigrato spetta esclusivamente allo Stato di primo approdo», si legge nel programma. Nel programma elettorale del 2019 le posizioni di Fratelli d’Italia sono cambiate, diventando più dure. «Vogliamo affermare un principio chiaro: in Europa non si entra illegalmente», recita il programma. «Controllo militare delle frontiere esterne e missione europea per un blocco navale così da impedire ai barconi di partire dal Nord Africa e fermare così le morti in mare. Chi entra illegalmente in Europa va trattenuto in centri sorvegliati e rimpatriato».

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