Che cosa sappiamo sul carceriere libico rilasciato dall’Italia

Il capo della polizia giudiziaria libica Almasri, accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, è stato arrestato e scarcerato in pochi giorni per un presunto errore procedurale
ANSA / FAWASELMEDIA.COM
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Domenica 19 gennaio è stato arrestato a Torino Njeem Osama Almasri Habish, noto anche come Almasri, capo della polizia giudiziaria libica e responsabile della prigione di Mitiga, a Tripoli. Su di lui pende un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, ma martedì 21 gennaio è stato rilasciato e ha fatto ritorno in Libia, dove è stato accolto da grandi festeggiamenti.

Sulla vicenda rimangono ancora molti punti di domanda, motivo per cui ieri nel tardo pomeriggio le opposizioni hanno tenuto una conferenza stampa in cui hanno chiesto le dimissioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio e alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni di riferire in aula per fare chiarezza sulla questione. Al momento, Meloni non ha commentato la vicenda. Oggi, in un question time al Senato, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha detto che farà chiarezza sul caso di Almasri in un’informativa al Parlamento la prossima settimana.

Partiamo quindi dall’inizio per vedere che cosa sappiamo fino a oggi di questa storia, che presenta diversi punti poco chiari.

Di chi stiamo parlando

Innanzitutto, è bene capire chi è Njeem Osama Almasri Habish. Almasri è stato nel 2011 il fondatore della cosiddetta “Rada”, ossia le Forze speciali di deterrenza libiche, una milizia controllata dal Ministero dell’Interno del governo di unità nazionale della Libia e svolge sostanzialmente operazioni speciali contro il terrorismo e il crimine organizzato. Allo stesso tempo, Almasri è anche il capo della polizia penitenziaria libica e responsabile di centri di detenzione come quello di Mitiga, a Tripoli, dove sono spesso trattenuti i migranti che cercano di partire dalle coste libiche verso altri Paesi come l’Italia. Come hanno documentato varie organizzazioni non governative e umanitarie, nelle carceri libiche i migranti sono sottoposti a trattamenti inumani e a detenzioni arbitrarie. Proprio per il suo ruolo di capo della prigione di Mitiga, Almarsi è stato accusato dalla Corte penale internazionale «di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra, compresi omicidi, torture, stupri e violenze sessuali, presumibilmente commessi in Libia a partire dal febbraio 2015». In base a questi capi d’accusa, il 18 gennaio Corte penale internazionale ha formulato un mandato di cattura internazionale nei confronti di Almasri. La Corte penale internazionale è un tribunale per crimini internazionali che ha sede a L’Aia, nei Paesi Bassi, e ha il compito di perseguire le persone accusate dei crimini più gravi a livello internazionale, il genocidio e i crimini di guerra.

Come si legge sul sito ufficiale, la Corte penale internazionale non possiede una propria forza di polizia e per questo «si basa sulla cooperazione con i Paesi di tutto il mondo per ottenere sostegno, in particolare per effettuare arresti, trasferire gli arrestati al centro di detenzione della Corte penale a L’Aia, bloccare i beni degli indagati ed eseguire le sentenze».

L’arresto e la scarcerazione

Almasri è stato arrestato domenica 19 gennaio a Torino dalla Digos ed è stato tenuto in custodia in attesa dello svolgimento dei procedimenti relativi al suo arresto e alla sua consegna alla Corte penale internazionale. Nel frattempo, spiega la stessa Corte, «la Corte ha continuato a impegnarsi con le autorità italiane per garantire l’effettiva esecuzione di tutte le misure richieste», ricordando alle autorità italiane che nel caso avessero riscontrato problemi avrebbero dovuto consultare «senza indugio la Corte al fine di risolvere la questione».

Qui tenere conto delle tempistiche diventa importante. Come abbiamo detto, Almasri è stato arrestato il 19 gennaio, ma solo il 21 gennaio, ossia due giorni dopo, il Ministero della Giustizia ha fatto sapere che stava valutando il caso. Secondo quanto previsto dalla legge che disciplina la cooperazione dell’Italia con la Corte penale internazionale, spetta infatti al Ministero della Giustizia eseguire «le richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole al procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma». In seguito, la Corte d’Appello di Roma esegue la richiesta delegando il giudice per le indagini preliminari. 

Sempre il 21 gennaio, però, senza che la Corte penale internazionale fosse avvisata, Almasri è stato rilasciato dalle autorità italiane e portato in Libia. «Il procuratore generale chiede che codesta Corte dichiari l’irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, a oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito. Per l’effetto non ricorrono le condizioni per la convalida», si legge nell’ordinanza con cui la Corte d’Appello di Roma ha rilasciato Almasri. Infatti, sempre secondo quanto riportato dall’ordinanza, Almasri è stato arrestato dalla polizia giudiziaria e non seguendo la procedura prevista dalla legge 237 del 2012, secondo cui «i rapporti tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale sono curati in via esclusiva dal Ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito». 

In altre parole, il motivo del rilascio di Almasri sarebbe la mancata comunicazione di decisioni sull’arresto da parte del Ministero della Giustizia al procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, come stabilito dalla legge. Il caso è comunque aperto, visto che, in un comunicato stampa pubblicato il 22 gennaio, la Corte penale internazionale ha fatto sapere che «sta cercando, e deve ancora ottenere, la verifica delle autorità sulle misure che sarebbero state adottate» sul caso del carceriere libico. 

Le proteste delle opposizioni e il ruolo del governo 

La notizia della scarcerazione di Almasri ha generato proteste da parte di tutti i partiti all’opposizione al governo Meloni, che hanno chiesto le dimissioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio e a Meloni di riferire in Parlamento sulla vicenda. «Le opposizioni insieme chiedono a Giorgia Meloni di smettere di nascondersi dietro i suoi ministri», ha detto ieri durante la conferenza stampa delle opposizioni la segretaria del PD Elly Schlein. Al momento però la presidente del Consiglio non ha commentato i fatti riguardanti il carceriere libico e anche il ministro Nordio ieri ha evitato le domande dei giornalisti.

Non è ancora chiaro perché non sia stato convalidato l’arresto di Almasri. Tra le ipotesi sul tavolo ci sarebbe una possibile minaccia da parte delle autorità libiche nei confronti dell’Italia. Secondo fonti stampa, dopo l’arresto di Almasri le autorità della Libia avrebbero minacciato di far aumentare le partenze dei migranti dalle coste libiche. La Libia è uno degli Stati del nordafrica con cui da tempo i governi italiani stanno intrattenendo rapporti per cercare di bloccare l’arrivo di migranti nel nostro Paese. Già nel 2017, durante il governo Gentiloni, l’Italia ha sottoscritto con la libia un memorandum di intesa per la cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, che prevede da parte del nostro Paese il sostegno diretto alle autorità libiche per quanto riguarda il contenimento delle partenze di migranti. Il trattato, della durata di tre anni, si è rinnovato automaticamente nel 2019 e poi nel 2022 ed è ancora in vigore. Da quando è al governo, ossia dal 22 ottobre 2022, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha intrattenuto relazioni dirette con il governo di unità nazionale libico guidato dal primo ministro Abdel Hamid al-Dabaiba, che ha incontrato in varie occasioni sia a Roma sia a Tripoli.  

In ogni caso, per capire meglio la vicenda di Almasri sarà necessario attendere l’informativa del ministro dell’Interno in programma la prossima settimana, ma la cui data non è ancora stata ufficializzata. Durante il question time di oggi al Senato, Piantedosi ha detto soltanto che l’espulsione di Almasri verso la Libia è stata decisa dallo stesso ministro dell’Interno «per urgenti ragioni di sicurezza, vista la pericolosità del soggetto» dopo la sua scarcerazione. 

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