Dal Ramadan agli studenti stranieri: il fact-checking di Salvini sulla scuola

Leggi alla mano, abbiamo analizzato due dichiarazioni che il leader della Lega ha fatto in tv, ospite di Porta a Porta
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
Il 27 marzo il leader della Lega Matteo Salvini è stato ospite di Porta a Porta su Rai 1. Tra le altre cose, Salvini ha parlato di scuola e della presenza di studenti stranieri nelle classi. Da un lato, il vicepresidente del Consiglio ha criticato la scuola di Pioltello, vicino a Milano, che ha deciso di rimanere chiusa il 10 aprile, giorno della fine del Ramadan. Dall’altro lato, ha detto che bisognerebbe introdurre la soglia del 20 per cento di studenti stranieri nelle classi per migliorare la qualità didattica. 

Punto per punto e norme alla mano, vediamo che cosa non torna nelle dichiarazioni che Salvini ha fatto a Bruno Vespa.

Il caso Pioltello

Sul caso della scuola “Iqbal Masih” di Pioltello, che ha previsto la sospensione delle lezioni per il giorno della festa di fine Ramadan, Salvini ha dichiarato (min. 21:35): «È giusto spiegare ai bambini di ogni etnia, di ogni religione, quanto è bello conoscerci. Però siamo in Italia. Quindi occorre la reciprocità: non penso che in nessun Paese islamico chiudano per il Santo Natale o per la Santa Pasqua». «Finché l’Islam non si darà una struttura e non riconoscerà la parità tra uomo e donna, chiudere la scuola mi sembra un pessimo segnale», ha aggiunto Salvini, secondo cui chiudere per il Ramadan è «un segnale di cedimento e di arretramento».

Riassumendo la sua posizione, Salvini ha spiegato la chiusura della scuola in termini religiosi, come se la scuola stessa avesse voluto istituire una nuova giornata di festa in aggiunta a quelle già previste dal calendario scolastico. Questa spiegazione però appare forzata per una serie di motivi.

Ogni anno il Ministero dell’Istruzione, con un’ordinanza, definisce il calendario delle festività nazionali, che vengono rispettate da tutte le scuole di ogni ordine e grado (in particolare si veda l’articolo 74 del decreto legislativo n. 297 del 1994). L’unica festività di tipo locale è quella del Santo Patrono, differente per ogni comune. Allo svolgimento delle lezioni sono assegnati almeno 200 giorni per garantire la validità dell’anno scolastico. L’ordinanza stabilisce anche la data di svolgimento della prova nazionale inserita nell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo (ossia alla fine delle medie), comprese le sessioni suppletive, nonché la data di inizio degli esami di Stato conclusivi del secondo ciclo di istruzione (ossia alla fine delle superiori). 

Posti questi limiti, la medesima normativa prevede che le Regioni definiscano un proprio calendario scolastico, in cui vengono individuate la data di inizio delle lezioni, la data di termine delle lezioni, i giorni di chiusura per le festività natalizie e pasquali, altri eventuali giorni di sospensione delle attività didattiche. 

A propria volta, ai sensi del regolamento (DPR 275/1999) attuativo della legge sull’autonomia scolastica (legge n. 59 del 1997), le istituzioni scolastiche possono, sulla base del calendario scolastico della Regione di appartenenza, definire degli «adattamenti», quindi anticipare o posticipare la data di inizio delle lezioni, o individuare altri giorni di sospensione delle attività didattiche. Questo può essere fatto garantendo comunque l’effettuazione di almeno 200 giorni di lezione e rispettando le date delle festività fissate a livello statale, come detto.

Dunque, a differenza di quanto sostiene Salvini, la scuola di Pioltello ha adottato la decisione della chiusura della scuola nell’ambito del quadro giuridico riconosciuto dall’ordinamento. L’istituto scolastico ha definito il calendario delle lezioni in relazione a esigenze concrete della propria comunità scolastica e senza introdurre una festività ulteriore rispetto a quelle fissate a livello centrale. Tra l’altro, la decisione di sospendere le lezioni per un giorno era stata presa a maggio 2023, in vista del seguente anno scolastico, ma è diventata poi una notizia solo in questi giorni. Dopo le polemiche, la decisione è stata confermata il 26 marzo dal Consiglio d’istituto. 

Le conclusioni appena viste sono in linea con quanto ha dichiarato la stessa scuola di Pioltello in un comunicato stampa: «Le motivazioni che hanno portato alla delibera di tali giornate di sospensione delle lezioni sono esclusivamente di carattere didattico ed educativo, in coerenza con quanto previsto dal DPR 275/99 e dal D.lgs. 297/94». Infatti, la sospensione stessa è stata decisa «alla luce del tasso di assenza» che compromette «l’efficace svolgimento delle attività didattiche ed educative programmate».

Nei giorni scorsi il preside della scuola di Pioltello Alessandro Fanfoni ha detto che nell’istituto «i bambini di fede islamica sono la maggioranza», che il 43 per cento degli studenti è straniero e che gli anni passati molti alunni non venivano a scuola il giorno della fine del Ramadan, rendendo impossibile il regolare svolgimento dell’attività didattica.

Il limite di studenti stranieri

Ospite di Porta a Porta, il leader della Lega ha poi rilanciato una proposta che aveva già fatto alcuni anni fa: stabilire per legge che gli alunni stranieri in una classe non possano essere più del 20 per cento del totale. «Ma quando gli italiani sono loro il 20 per cento di bimbi in classe, come fa una maestra a spiegare l’italiano, la matematica, la storia e la geografia?», si è chiesto Salvini in tv.

In realtà un limite per il numero degli alunni stranieri a scuola è in vigore già dal 2010. In quell’anno, durante il quarto governo Berlusconi, la ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini ha firmato una circolare in base alla quale il numero di alunni stranieri con una «ridotta conoscenza della lingua italiana» non deve superare il 30 per cento degli iscritti in ogni classe e in ogni scuola. 

All’epoca Gelmini aveva chiarito il fondamento di questa regola, rispondendo in qualche modo alle obiezioni sollevate in questi giorni – quindi oltre 14 anni dopo – dal ministro Salvini. «La scuola deve essere il luogo dell’integrazione. La presenza di stranieri nella scuola italiana, spesso concentrati in alcune classi, non è certo un problema di razzismo ma un problema soprattutto didattico», aveva dichiarato la ministra dell’Istruzione. «Stabilire un tetto del 30 per cento di alunni stranieri per classe è un modo secondo me utile per favorire l’integrazione, perché grazie a questo limite si evita la formazione di “classi ghetto” con soli alunni stranieri». «Oltre al tetto – aveva aggiunto Gelmini – è fondamentale prevedere classi di inserimento di durata limitata per poter insegnare la nostra lingua a chi è appena arrivato in Italia a un livello sufficiente per non sentirsi in difficoltà con i coetanei. Questi momenti di inserimento si svolgeranno sia la mattina che il pomeriggio, mentre nella scuola media una parte di ore della seconda lingua potrà essere usata per lo studio dell’italiano».

Quanto detto da Gelmini non era un mero auspicio. Da tempo, infatti, esistono norme che concretizzano quanto affermato dall’allora ministra. «Il collegio dei docenti definisce, in relazione al livello di competenza dei singoli alunni stranieri il necessario adattamento dei programmi di insegnamento; allo scopo possono essere adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni per facilitare l’apprendimento della lingua italiana, utilizzando, ove possibile, le risorse professionali della scuola», stabilisce l’articolo 45 del decreto del presidente della Repubblica n. 394 del 1999, in tema di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. «Il consolidamento della conoscenza e della pratica della lingua italiana può essere realizzato altresì mediante l’attivazione di corsi intensivi di lingua italiana sulla base di specifici progetti, anche nell’ambito delle attività aggiuntive di insegnamento per l’arricchimento dell’offerta formativa». 

Inoltre, una circolare ministeriale approvata nel 2007 dispone che «in via ordinaria gli alunni stranieri soggetti all’obbligo di istruzione sono iscritti d’ufficio alla classe corrispondente all’età anagrafica». «I collegi dei docenti possono definire comunque le modalità generali dell’assegnazione dell’alunno straniero alla classe inferiore o superiore a quella corrispondente all’età» tenendo conto di alcuni criteri, tra cui l’ordinamento scolastico del Paese di provenienza, l’accertamento delle competenze possedute, il corso di studi seguito, e il titolo di studio posseduto. Questi criteri sono espressamente previsti dal già citato articolo 45 del DPR 394/1999.

Sempre ai sensi della circolare del 2007, le verifiche e gli accertamenti preliminari all’assegnazione dell’alunno straniero a una certa classe sono affidati «a un gruppo di docenti, appositamente individuato dal collegio e preposto all’accoglienza, che dia attuazione ai criteri di assegnazione e che ne segua inizialmente l’inserimento, al fine di fornire al dirigente scolastico ogni utile elemento per l’assegnazione alle classi». Con riguardo allo specifico problema della lingua, la circolare prevede che i collegi dei docenti possano «valutare altresì la possibilità che l’assegnazione definitiva alla classe sia preceduta da una fase di alfabetizzazione strumentale e di conoscenza linguistica in intergruppo e/o interclasse finalizzata a favorire un efficace inserimento». Infine, con riferimento alle iscrizioni degli alunni con cittadinanza straniera che avvengono in corso d’anno, la circolare raccomanda «l’adozione di particolari forme di accoglienza che possano facilitare, fin dai primi contatti, un’efficace azione di integrazione degli alunni stranieri».

Dunque l’applicazione di queste regole, finalizzate a colmare eventuali divari linguistici e culturali tra alunni originari di Paesi diversi, è volta proprio a scongiurare i rischi evidenziati dal ministro Salvini nelle sue dichiarazioni.

Deroghe alla soglia del 30 per cento

Possono esserci comunque deroghe alla predetta soglia del 30 per cento di alunni stranieri nelle classi. Per esempio questo limite può essere alzato da un Ufficio scolastico regionale a fronte della presenza di studenti stranieri che si ritenga abbiano adeguate competenze linguistiche. «In nessun caso, comunque, le scuole possono rifiutare l’iscrizione di un minore in ragione del superamento di una determinata percentuale di iscritti di origine migratoria», sottolinea un rapporto del Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Salvini ha proposto di introdurre un limite al 20 per cento, quindi più basso di quello al momento in vigore. Non mancano i rischi di una proposta di questo tipo. Un limite più restrittivo, infatti, potrebbe obbligare gli alunni stranieri a doversi recare in località diverse da quelle in cui vivono, perché le scuole più prossime hanno raggiunto la percentuale prevista, e ciò potrebbe essere un ostacolo insuperabile per famiglie che si trovano in situazioni economiche non agiate. Pertanto, i genitori di minori stranieri destinati alle scuole più lontane dal loro domicilio potrebbero non ottemperare all’obbligo di istruzione per i propri figli. Nei casi peggiori, c’è il rischio che i minori stessi siano avviati precocemente al lavoro minorile o sfruttati in forme di accattonaggio. Tale rischio, peraltro, era già prospettato nella citata circolare del 2007. 

Secondo i dati più aggiornati del Ministero dell’Istruzione e del Merito (anno scolastico 2021/2022), quasi il 7 per cento delle classi in Italia supera la soglia del 30 per cento, tra cui la scuola “Iqbal Masih” di Pioltello. Le percentuali cambiano molto a seconda del grado scolastico e delle regioni. Il limite è infatti superato in oltre l’11 per cento delle classi nelle scuole elementari, percentuale che scende sotto il 3,1 per cento nelle scuole superiori. «Va tenuto conto che i dati comprendono gli studenti di origine migratoria nati in Italia», ha sottolineato il ministero. «Escludendo questi alunni, le classi con oltre il 30 per cento di alunni con cittadinanza non italiana nati all’estero si riducono allo 0,5 per cento, con un picco in Liguria (1,1 per cento) cui seguono Lombardia (0,9 per cento), Piemonte (0,8 per cento) ed Emilia-Romagna (0,7 per cento).

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