Il 21 aprile, durante l’informativa alla Camera del presidente del Consiglio Giuseppe Conte per l’emergenza coronavirus, è nato uno scontro a distanza tra la capogruppo di Forza Italia Mariastella Gelmini e il capogruppo del Partito democratico Graziano Delrio.
Secondo Gelmini, il governo Conte II «ha spolverato di nuovo una patrimoniale, la “Covid tax”, sul ceto medio», mentre per l’ex ministro delle Infrastrutture le cose non stanno così.
«Noi non abbiamo proposto nessuna patrimoniale, immagino che sappiate distinguere tra patrimonio e reddito, sono due cose leggermente diverse», ha risposto Delrio nel suo discorso. «Peraltro, è la cosa che propose e approvò il Governo Berlusconi nel 2011. Approvò esattamente la stessa misura».
Ma su che cosa hanno dibattuto i due deputati? È giusto parlare di “patrimoniale” o no? E che cosa fece nel 2011 il centrodestra al governo?
Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.
Perché si è parlato della “Covid tax”
Il 10 aprile Delrio, insieme con il capogruppo del Pd in Commissione Bilancio alla Camera Fabio Melilli, ha proposto in una nota di emendare in Aula il testo del decreto “Cura Italia” – approvato in prima battuta dal Senato lo scorso 9 aprile – introducendo quella che la stampa ha subito ribattezzato con il nome di “Covid tax”.
Secondo Delrio e Melilli, «il gruppo del Pd della Camera, in piena sintonia con il Partito», riteneva opportuno introdurre nel “Cura Italia” «un contributo di solidarietà a carico dei redditi più elevati, da destinare a tutti coloro che versano in situazioni di povertà a causa della crisi o in situazioni di grave difficoltà per la perdita completa del reddito come i giovani lavoratori autonomi».
In base alla proposta, avrebbero dovuto versare il contributo, previsto per gli anni 2020 e 2021, i «cittadini con redditi superiori ad 80.000 euro [lordi, ndr]», incidendo «sulla parte eccedente tale soglia».
«La somma versata, rispettando i criteri di progressività sanciti dalla nostra Costituzione, sarà deducibile – spiegava la nota di Delrio e Melilli – e partirà da alcune centinaia di euro per le soglie più basse fino ad arrivare ad alcune decine di migliaia di euro per i redditi superiori al milione».
Nello specifico, oltre gli 80 mila euro lordi di reddito Irpef annui si applicherebbe un’aliquota del 4 per cento, oltre i 100 mila il 6 per cento, e via così fino all’8 per cento per i redditi annui lordi oltre il milione di euro.
Secondo i calcoli di Delrio e Melilli, un contributo di questo tipo porterebbe un gettito pari a circa un miliardo e 300 milioni di euro annui e coinvolgerebbe circa 800 mila contribuenti (poco meno del 2 per cento del totale contribuenti Irpef).
La proposta però aveva subito sollevato le opposizioni del Movimento 5 stelle, di Italia Viva e di alcuni esponenti del Pd e al momento alla Camera non c’è nessun emendamento al “Cura Italia” su questo tema.
Pagella Politica ha contattato l’ufficio stampa del Pd, che ha infatti spiegato come la proposta – «una riflessione» di Delrio e Melilli, e non un’idea di tutto il partito dunque – sia finita in un nulla di fatto.
Il capogruppo del Pd alla Camera ha comunque ragione quando dice che non si sarebbe trattato di una tassa patrimoniale, come invece sostenuto da Gelmini, dal momento che il contributo di solidarietà sarebbe stato un tributo non commisurato sul patrimonio del singolo contribuente, ma sul suo reddito, ossia sulla ricchezza prodotta durante l’anno.
Passiamo ora alla seconda questione: è vero che nel 2011 l’allora governo Berlusconi approvò una misura simile alla proposta – per ora archiviata – della “Covid tax”?
Che cosa fece Berlusconi nel 2011
Il 13 agosto 2011, in piena crisi economica, l’allora governo Berlusconi IV – di cui Gelmini era ministra dell’Istruzione – approvò un decreto-legge intitolato “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”.
L’articolo 2 del decreto introdusse un «contributo di solidarietà», giustificato dall’«eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea».
Il contributo, anch’esso deducibile dal reddito complessivo come la Covid tax, entrava in vigore per gli anni 2011, 2012 e 2013 e corrispondeva al 5 per cento sulla parte eccedente i redditi tra 90 mila euro lordi annui e i 150 mila euro, e del 10 per cento sulla parte eccedente i 150 mila euro.
La conversione in legge del decreto arrivò poi il 14 settembre 2011, con l’approvazione definitiva della Camera, dove le allora deputate del Popolo della libertà Mariastella Gelmini e Giorgia Meloni – oggi molto critica verso la Covid tax, ribattezzata «la reddimoniale» – votarono a favore.
Durante l’esame del Parlamento, il contributo di solidarietà cambiò però forma rispetto alle intenzioni iniziali, andando a interessare solo i redditi superiori ai 300 mila euro annui con un’aliquota del 3 per cento sulla parte eccedente questo importo.
Anche nel testo definitivo rimanevano però le ragioni indicate dal decreto per l’introduzione di un contributo simile (poi rinnovato nella legislatura successiva fino al 2017), ossia l’«eccezionalità della situazione economica internazionale» e «le esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea».
In conclusione
Secondo la capogruppo di Forza Italia alla Camera Mariastella Gelmini, il governo Conte II «ha spolverato di nuovo una patrimoniale, la “Covid tax”», per fare fronte all’emergenza coronavirus, mentre secondo il capogruppo del Pd Graziano Delrio parlare di «patrimoniale» è sbagliato. Anzi, per l’ex ministro una specie di “Covid tax” era stata approvata anche dal governo Berlusconi nel 2011.
Da un lato, Gelmini è imprecisa quando dice che il governo ha preso in considerazione l’idea di approvare una patrimoniale. La cosiddetta “Covid tax” è stata proposta da Delrio e dal gruppo del Pd alla Camera, ma non dall’intero Pd o dall’esecutivo, e la sua introduzione è stata accantonata nell’arco di pochi giorni. Inoltre, questo contributo di solidarietà sarebbe stato calcolato sulla base dei redditi superiori agli 80 mila euro lordi, e non sul patrimonio dei contribuenti.
Dall’altro lato, è vero come dice Delrio che il governo Berlusconi nel 2011 – anche con il voto di Gelmini – approvò una tassa simile all’attuale “Covid tax”, ossia un contributo di solidarietà vista la crisi economica di quel periodo, ma alla fine dell’iter parlamentare la platea degli interessati era stata poi molto inferiore a quella proposta negli ultimi giorni dall’ex ministro delle Infrastrutture.
Droga
Tra Vasco e Salvini, chi ha ragione sul nuovo Codice della strada