Davvero il latino “apre la mente”?

Secondo il ministro Valditara, studiare latino alle medie aiuta a capire «la lingua italiana e il significato delle parole», ma diversi studi scientifici hanno sollevato dubbi 

ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
Il 15 gennaio, in un’intervista a Il Giornale, il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha annunciato una serie di cambiamenti significativi per la scuola italiana, suscitando un vivace dibattito nel mondo accademico e nell’opinione pubblica. Tra i cambiamenti più discussi ci sono la reintroduzione del latino a partire dalla seconda media come opzione curricolare, una maggiore attenzione alla storia italiana ed europea rispetto a quella di altre culture, la valorizzazione della letteratura già dalla scuola primaria, con accenni a «epica classica, mitologia greca e orientale ma anche saghe nordiche» e il ritorno delle poesie da imparare a memoria.

Le nuove “Indicazioni nazionali per il curricolo”, ossia il regolamento con cui il Ministero dell’Istruzione e del Merito fissa gli obiettivi generali dei programmi scolastici dei singoli istituti, entreranno in vigore con l’anno scolastico 2026-27. Nel corso dell’intervista, Valditara ha affermato che le novità inserite nelle nuove Indicazioni Nazionali prendono «il meglio della nostra tradizione per una scuola capace di costruire il futuro». Valditara ha inoltre sottolineato che «studiare il latino vuol dire andare alle radici della lingua italiana e del significato delle parole», aggiungendo che l’obiettivo è costruire «una scuola seria, proiettata verso il futuro e attenta all’educazione critica dei nostri ragazzi».

Abbiamo esaminato diversi studi per valutare se la proposta di Valditara sia supportata da evidenze scientifiche. In breve: il latino può contribuire allo sviluppo del vocabolario nella lingua madre di una persona, ma gli effetti sull’apprendimento delle lingue straniere o il potenziamento delle capacità analitiche rimangono poco chiari.

Le lingue classiche rendono infelici?

Uno studio condotto da quattro ricercatori italiani e pubblicato a marzo 2023 dall’Institute of labor economics (IZA) ha esaminato gli effetti del liceo classico, dove è previsto lo studio sia del latino sia del greco, sulla personalità e sugli esiti occupazionali degli studenti. 

Per sviluppare la loro analisi, intitolata Do Classical Studies Open Your Mind?, i ricercatori si sono basati sui dati dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP), cercando di capire se la preparazione classica accresca o meno negli studenti caratteristiche come la responsabilità e l’apertura mentale. I risultati mostrano però che l’impatto su questi aspetti è modesto e non statisticamente significativo, ossia non restituisce prove solide per affermare che il liceo classico eserciti un’influenza marcata su tratti come, per l’appunto, la responsabilità e l’apertura mentale. Al contrario, lo studio evidenzia che i diplomati del liceo classico mostrano un incremento del 4 per cento nel livello di nevroticismo rispetto ai loro coetanei del liceo scientifico, suggerendo una maggiore predisposizione all’ansia e all’instabilità emotiva. Inoltre, questi studenti hanno il 20 per cento circa di probabilità in più di dichiararsi infelici.

Al netto dei possibili svantaggi sul piano emotivo, secondo lo studio i diplomati al liceo classico hanno il 4,5 per cento di probabilità in più di completare gli studi universitari rispetto agli altri diplomati. In ogni caso, va detto che questo studio non riguarda nello specifico lo studio della lingua latina, ma la frequentazione del liceo classico rispetto agli altri istituti superiori.

Lo sviluppo del vocabolario

Un altro studio, condotto da due ricercatori inglesi e pubblicato su The Language Learning Journal nel 2017, ha esaminato più nel dettaglio l’impatto dello studio del latino sugli studenti. 

In particolare, in questo caso i ricercatori si sono concentrati sull’apprendimento del latino da parte degli studenti della scuola primaria e di quella secondaria, analizzando oltre un secolo di dati provenienti principalmente dagli Stati Uniti. Lo studio si è concentrato sugli effetti del latino nello sviluppo della lingua madre, nell’apprendimento di lingue straniere moderne e nello sviluppo cognitivo generale della persona. Secondo i risultati dell’indagine, visionati da Pagella Politica, il latino ha un impatto significativo e positivo sullo sviluppo del vocabolario e della comprensione della lingua madre (in questo caso l’inglese), confermando quindi l’idea di Valditara secondo cui lo studio del latino aiuti a capire «il significato delle parole». 

L’impatto dello studio del latino nella capacità di apprendimento di lingue straniere moderne è invece meno definito. E anche per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo generale le evidenze sono limitate.

L’apprendimento delle lingue straniere

Riguardo l’apprendimento delle lingue straniere, un terzo studio, pubblicato nel 2003 dal Journal of Educational Psychology e condotto da due ricercatori tedeschi, ha analizzato quale lingua tra il latino o il francese sia meglio studiare come preparazione allo studio di una terza lingua, in questo caso lo spagnolo. Nello specifico, i ricercatori hanno selezionato 50 studenti universitari tedeschi, di cui una metà aveva studiato latino come seconda lingua alle scuole superiori, mentre l’altra metà il francese, e hanno fatto fare loro un test di traduzione in spagnolo. I risultati hanno mostrato che gli studenti con una formazione in francese hanno commesso molti meno errori grammaticali rispetto a quelli con una formazione in latino e leggermente meno errori di vocabolario. Secondo lo studio, questi risultati suggeriscono che il latino potrebbe non essere la scelta ottimale per preparare gli studenti all’apprendimento di una lingua moderna.

L’analisi degli errori grammaticali ha evidenziato che gli studenti con una preparazione in latino tendevano a fare errori specifici, come l’omissione di preposizioni o verbi ausiliari, e talvolta utilizzavano forme grammaticali errate influenzate direttamente dal latino. Questo fenomeno, definito “trasferimento negativo”, suggerisce che somiglianze superficiali tra il latino e le lingue romanze moderne possono confondere gli studenti, portandoli a utilizzare strutture inappropriate. Al contrario, gli studenti con una formazione in francese sembrano beneficiare di una maggiore somiglianza grammaticale con lo spagnolo, il che faciliterebbe il loro apprendimento.

In termini più generali, lo studio mette in discussione l’idea secondo cui il latino offra vantaggi significativi per l’apprendimento di altre lingue. Sebbene il latino possa migliorare alcune abilità linguistiche, come la sensibilità alla grammatica, secondo lo studio l’apprendimento di lingue moderne, più direttamente correlate nella struttura e nell’uso, potrebbe essere più efficace nel preparare gli studenti a padroneggiare ulteriori lingue romanze.

Un quadro complesso

Le dichiarazioni di Valditara sollevano comunque una questione importante sul rapporto tra tradizione e innovazione nel sistema educativo italiano. Sebbene le proposte mirino a valorizzare la ricchezza culturale del passato per preparare i giovani alle sfide del futuro, le evidenze scientifiche disponibili offrono un quadro complesso. L’introduzione del latino alle scuole medie potrebbe avere un valore simbolico e culturale significativo, ma i dati non supportano pienamente l’idea che questa materia promuova in modo significativo lo sviluppo cognitivo o il miglioramento generale delle competenze linguistiche e personali.

In particolare, gli studi analizzati mostrano che il latino può contribuire positivamente allo sviluppo del vocabolario nella lingua madre, specialmente in contesti scolastici primari, ma gli effetti su altre dimensioni, come l’apprendimento delle lingue straniere o il potenziamento delle capacità analitiche, rimangono poco chiari.

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