«Sulla durata dei processi il governo si gioca tutto il Recovery, non solo la parte legata alla giustizia». Il 10 maggio, in un incontro con i capigruppo della commissione Giustizia alla Camera, la Guardasigilli Marta Cartabia ha riassunto con queste parole l’importanza delle riforme che entro la fine dell’anno dovranno cambiare il sistema giudiziario italiano.
L’appello è rivolto all’ampia maggioranza del governo Draghi, in cui convivono partiti più “giustizialisti” e più “garantisti” che finora hanno sempre fatto della giustizia un terreno di scontro fra i più accesi. Ora il pericolo è che le divisioni mettano a rischio i fondi europei, secondo la ministra: «Se opporremo resistenze ai cambiamenti – ha detto Cartabia – mancheremo gli obiettivi che la Commissione ci richiede quanto alla durata dei processi, e quindi l’Italia dovrà restituire quella imponente cifra che l’Europa sta per immettere nella vita economica e sociale del paese».
Cartabia ha definito «titanica» l’impresa di riforma della giustizia che governo e Parlamento hanno davanti perché nei prossimi cinque anni, su richiesta della Commissione europea, l’Italia si è impegnata a ridurre del 40 per cento la durata dei processi civili e del 25 per cento quella dei processi penali.
Oltre al «fattore tempo», su cui Cartabia ha particolarmente insistito, tre risultati andranno centrati «prima ancora dell’obiettivo finale dei cinque anni», ovvero già entro la fine del 2021: la riforma del processo penale, del processo civile e la riforma del Consiglio superiore della magistratura.
Come si cercherà di arrivare alle riforme
Dal punto di vista legislativo, tutte e tre le riforme erano state già presentate dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Si tratta di tre diverse leggi delega, con cui il Parlamento incarica l’esecutivo di legiferare su un argomento sulla base di precise indicazioni. Il governo Draghi ha deciso di continuare l’esame sulla base dei testi già esistenti, che verranno però rivisti durante l’iter parlamentare con le modifiche proposte dai partiti e anche dall’esecutivo (nello specifico dal ministero della Giustizia).
In queste ultime settimane, però, sulla riforma del processo penale e della prescrizione che si è riacceso lo scontro parlamentare. La situazione ha portato la ministra a fare un appello all’unità: «Non possiamo guardarci come avversari. Ci confronteremo, ma l’obiettivo è un’impresa corale, richiede la condivisione di tutti».
Vediamo meglio i dettagli.
1. La riforma del processo penale
A fine aprile, in commissione Giustizia alla Camera è iniziato l’esame del disegno di legge di riforma del processo penale, anche noto come ddl Bonafede. Il provvedimento era stato presentato infatti durante il governo Conte bis dall’allora ministro Alfonso Bonafede.
Il testo di partenza, molto denso, ha lo scopo di velocizzare il procedimento penale con tre interventi. Il primo capo riguarda una serie di misure per rendere più efficiente il sistema giudiziario (comunicazioni telematiche, revisione della durata delle indagini preliminari, maggiore utilizzo dei riti alternativi e più brevi), i criteri per la presentazione dell’appello, nonché l’introduzione dei termini di durata del processo penale e della responsabilità disciplinare del magistrato nel caso questi non vengano rispettati.
È il secondo capo, invece, a contenere la mela avvelenata che ha diviso i partiti di maggioranza in tutti e tre gli ultimi governi: la prescrizione, a cui dedicheremo un capitolo a parte. Il terzo capo, infine, introduce nuove misure per le corti d’appello.
La discussione parlamentare si preannuncia difficile. Ora che il Parlamento ha rimesso mano alla riforma — con una maggioranza molto allargata e composte da sensibilità diverse sul tema – in commissione Giustizia alla Camera sono stati riversati sul testo una valanga di emendamenti: al 4 maggio ne risultavano depositati 718. In prima linea Forza Italia con un pacchetto di 183 modifiche, 127 dalla Lega, 126 da Italia Viva e 96 da FdI. Fra le proposte, la distanza maggiore si è registrata proprio sulla prescrizione, di cui parleremo fra poco.
Nel frattempo, poco dopo l’insediamento, Cartabia ha istituito al ministero quattro gruppi di lavoro per elaborare le proposte del governo su quattro diverse riforme, fra cui le tre che stiamo qui analizzando: sul processo penale, civile e sull’elezione del Csm. Un’altra riguarderà i magistrati onorari.
Le proposte della commissione di esperti
La commissione sul processo penale – presieduta dall’ex presidente della Consulta Giorgio Lattanzi – ha terminato il proprio lavoro e ne ha presentato i risultati in una serie di relazioni – di cui Pagella Politica ha preso visione – illustrate il 10 maggio nel corso di un incontro con i capigruppo della commissione Giustizia alla Camera e la ministra Cartabia. Sulla base di queste proposte – ma anche facendo una sintesi delle posizioni in maggioranza – il governo depositerà i propri emendamenti (che a differenza di quelli dei parlamentari non hanno una scadenza e possono essere presentati in qualsiasi momento).
Le proposte più significative della commissione riguardano tre punti. Il primo è l’appello (la possibilità di rivedere il primo grado di giudizio). Il pubblico ministero, secondo questa proposta, non potrebbe appellare le sentenze né di condanna né di assoluzione. L’imputato invece potrà fare appello solo sulla base di motivazioni specifiche previste dal codice (non è ancora chiaro quali). Viene in più previsto un maggiore controllo del giudice per le indagini preliminari (il gip) su eventuali inerzie del pubblico ministero nella decisione su archiviazione e giudizio.
Un altro intervento è previsto sul tempo a disposizione per le indagini. Verrebbe previsto il limite di un anno per la durata massima delle indagini per le contravvenzioni e lo stop all’abuso delle proroghe (il pm ne potrebbe chiedere solo una).
Da ultimo, la commissione ha presentato due diverse ipotesi sulla prescrizione. Sul tema però è necessario fare qualche passo indietro e ricordare cosa prevede la legge attuale, cosa prevedeva il ddl Bonafede e quali sono gli orientamenti in campo.
Il nodo da sciogliere: la prescrizione
L’ultima riforma della prescrizione è entrata in vigore il 1° gennaio 2020 con la cosiddetta legge “Spazzacorrotti”, fra i cavalli di battaglia del Movimento 5 stelle. Il provvedimento prevede lo stop della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, indistintamente che si tratti di condanna o di assoluzione.
Il ddl Bonafede – adesso di nuovo all’esame della commissione Giustizia – sulla prescrizione introduceva il cosiddetto “lodo Conte-bis” (proposto dal deputato di Leu Federico Conte, non dall’ex premier) ovvero un compromesso fra centrosinistra e Movimento 5 stelle per rivedere la norma dello “Spazzacorrotti”. Il testo prevede che la prescrizione possa continuare a decorrere per gli assolti ma venga invece sospesa per chi ha ricevuto una sentenza di condanna.
Ora che l’esame del ddl Bonafede è ricominciato, tutti i gruppi hanno presentato emendamenti sulla prescrizione in direzioni diametralmente opposte. Il M5s ha proposto di cancellare l’accordo con il Pd per tornare alla versione originale dello “Spazzacorrotti”, e così pure la Lega. Anche il Pd, a sua volta, ha presentato proposte che modificherebbero il Lodo Conte, chiedendo il ripristino della prescrizione se si sforano i tempi del processo in appello e Cassazione. Una ulteriore frattura si è registrata all’interno del centrodestra: Forza Italia vorrebbe ripristinare la prescrizione a come era prima della “Spazzacorrotti”, mentre, come abbiamo visto, anche la Lega difende la norma approvata dal primo governo Conte di cui facevano parte.
A queste ipotesi si è aggiunto il lavoro della commissione ministeriale presieduta da Lattanzi, su cui, come abbiamo visto, dovrebbero basarsi gli emendamenti del governo. Due le strade delineate: la prima proposta prevede di sospendere il corso della prescrizione per due anni, dopo la condanna in primo grado, e per un anno, dopo la condanna in appello. A questo si aggiungerebbe la possibilità di uno sconto di pena in caso di irragionevole durata del processo.
La seconda strada prevede di interrompere la prescrizione con l’inizio dell’azione penale, ovvero quando il pubblico ministero chiede al giudice di procedere (oggi avviene con l’inizio delle indagini) ma il processo penale, nel suo complesso, non potrebbe durare più di nove anni.
I partiti hanno accolto positivamente le proposte della commissione, tutti tranne il Movimento 5 stelle che si vedrebbe “cancellata” la riforma introdotta con la “Spazzacorrotti”. Gli emendamenti del governo – previsti per metà maggio – dovranno trovare una sintesi fra tutte queste diverse ipotesi.
2. La riforma del processo civile
Anche la riforma del processo civile è una legge delega presentata dall’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede durante il governo Conte bis. Attualmente è all’esame della commissione Giustizia al Senato. Nello specifico, il testo delega il governo ad attuare misure «per l’efficienza del processo civile» e per ottimizzare la «disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie», ovvero far arrivare un carico minore di contenziosi ai tribunali.
Il testo prevederebbe, fra le altre novità, la riduzione dei tre riti (giudice di pace, monocratico ordinario, monocratico sommario) a un solo rito per tutti i processi e nuove norme per scoraggiare le cosiddette querele temerarie, le querele – spesso indirizzate ai giornalisti – che hanno lo scopo di spaventare il querelato con la minaccia stessa del processo (e il peso economico che comporta).
L’iter del provvedimento non è ancora entrato nelle fase in cui i gruppi parlamentari presentano i propri emendamenti per cambiarlo. Anche sul processo civile il ministero ha istituito un gruppo di lavoro che sta elaborando le proprie proposte di modifica.
3. La riforma del Csm
Resa più urgente dai recenti scandali, anche la riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm) è fra le priorità del governo.
Il testo della riforma dovrà decidere un nuovo metodo di elezione per i componenti del Csm (per limitare i poteri delle correnti), valutare quanti debbano essere i membri laici (non magistrati) e quanti i membri togati (magistrati).
Per ora la legge delega – anche questa presentata dall’ex Guardasigilli Bonafede e all’esame della Camera – prevede una nuova legge elettorale per i componenti eletti del Csm, che torneranno ad essere 30 (20 saranno i “togati”, i magistrati eletti da altri magistrati, e 10 saranno i “laici”, eletti dal parlamento). L’elezione sarebbe non sarebbe più nazionale ma basata su una suddivisione in collegi uninominali, con un sistema a doppio turno, agevolando (questo dovrebbe essere l’obiettivo) l’elezione anche di magistrati a cui viene riconosciuto un buon lavoro a livello locale, ma che siano estranei alle dinamiche correntizie. Ci sarebbero inoltre dei meccanismi per rispettare la parità di genere, sia tra i candidati sia tra gli eletti.
Anche su questo ddl l’esame, in commissione Giustizia, non è ancora entrato nel vivo, ma si prospetta come un probabile terreno di scontro fra i diversi partiti della maggioranza.
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