I problemi dell’Emilia-Romagna dopo le alluvioni non sono solo di soldi

Viaggio tra città e paesi colpiti: procedure burocratiche e mancanza di personale rendono più difficile ripartire
Ansa
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«Vogliamo il ponte», dice una grande scritta in vernice gialla su sottili assi di compensato. È appesa alla recinzione di un’azienda che produce macchinari industriali a tre chilometri dal centro di Modigliana, comune di quattromilatrecento abitanti nella provincia di Forlì-Cesena. Fino al 2023 c’erano due strade per arrivare qui da Faenza: la strada provinciale 20 e via Carlo Alberto Dalla Chiesa, una strada a una corsia che attraversa le colline della Romagna interna, a pochi chilometri dal confine con la Toscana. 

Dopo l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel maggio dell’anno scorso, via Dalla Chiesa non è più agibile. Google Maps la indica ancora come percorso possibile, ma una volta imboccata la strada, dopo meno di un chilometro venendo da Faenza, questa è sbarrata da due transenne e da cartelli con il divieto di proseguire. Pochi metri più avanti c’è un ponte crollato: è così dall’alluvione di un anno e mezzo fa.
Il ponte di via Carlo Alberto Dalla Chiesa crollato a Modigliana, in provincia di Forlì-Cesena – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Il ponte di via Carlo Alberto Dalla Chiesa crollato a Modigliana, in provincia di Forlì-Cesena – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Modigliana è attraversata da tre torrenti che si uniscono nel fiume Tramazzo. Secondo quanto comunicato dalla Protezione civile, a maggio 2023 nel territorio comunale ci sono state – tra piccoli scivolamenti di terra e cadute di massi più importanti – ben 6.962 frane, rendendola uno dei simboli delle tre alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna nell’ultimo anno e mezzo: il 2 e 3 maggio 2023, il 16 e 17 maggio dello stesso anno e l’ultima meno di un mese fa, il 18 e 19 settembre 2024.

Passeggiando per le vie di Modigliana, oggi quasi non ci si accorge delle alluvioni passate, se non guardando il fiume Tramazzo dal ponte di Piazza, quello che collega il centro storico alla vecchia cittadella medievale. Il letto del Tramazzo appare scavato dalla forza dell’acqua, che ha spostato la terra e ha fatto emergere i tubi dell’acquedotto. Le conseguenze delle alluvioni sono ben visibili se ci si sposta fuori dal centro: ci sono semafori che regolano il senso unico alternato perché l’asfalto di una delle due carreggiate ha ceduto e reti di sicurezza per prevenire la caduta di terra e massi dal lato del pendio.
Modigliana vista da uno dei ponti che attraversano la città – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Modigliana vista da uno dei ponti che attraversano la città – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Le alluvioni degli ultimi giorni hanno colpito un territorio in cui la ricostruzione era appena cominciata. Secondo l’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia (Arpae), durante le alluvioni di maggio 2023 in Emilia-Romagna sono esondati 23 fiumi e si sono allagati 540 chilometri quadrati di terreno, causando la morte di 17 persone. Appena un mese dopo, la Regione ha presentato la prima stima dei danni: 8,8 miliardi di euro. L’ufficio stampa della Regione Emilia-Romagna ha confermato a Pagella Politica che al momento il governo ha stanziato 3,8 miliardi di euro per i danni relativi al 2023, di cui 1,3 miliardi destinati ai rimborsi a cittadini e aziende, e 2,5 miliardi alla ricostruzione pubblica gestiti dalla struttura commissariale.

Il 21 maggio 2023, appena due giorni dopo l’alluvione, la presidente Giorgia Meloni aveva annunciato il suo rientro anticipato dal G7 a Hiroshima, in Giappone: «Non riesco più a stare così lontana dall’Italia in un momento tanto complesso, ho bisogno di vedere personalmente e di lavorare in prima persona per dare le risposte che sono necessarie». Il giorno dopo, con gli stivali e l’acqua che arrivava quasi ai polpacci, aveva visitato gli alluvionati nei dintorni di Ravenna, Forlì e Faenza. Il 25 maggio, passati tre giorni, era tornata in quei territori insieme alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. 

A maggio Meloni non era stata l’unica a visitare le zone colpite. Il 28 del mese era stata la volta della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, che aveva visitato il Ravennate, e di Matteo Salvini, a Forlì e a Brisighella, in provincia di Ravenna. I primi soldi sono arrivati sul territorio soltanto mesi dopo, con l’ordinanza numero 6 del generale Francesco Paolo Figliuolo, nominato a giugno dello scorso anno commissario straordinario per la ricostruzione. L’ordinanza in questione è stata pubblicata il 4 settembre 2023, troppo tardi secondo i sindaci del territorio: già nelle settimane successive all’alluvione, infatti, alcuni Comuni avevano anticipato i soldi per eseguire gli interventi urgenti di ricostruzione e messa in sicurezza.

A poco più di un anno di distanza, il 18 settembre 2024 l’Emilia-Romagna è stata colpita da una nuova alluvione, fortunatamente senza morti, ma con molti guasti alle infrastrutture e agli edifici pubblici e privati. Sebbene la stima dei danni sia ancora in corso, l’Arpae ha fatto sapere che l’ultimo evento è stato più intenso dei precedenti: tra il 18 e il 19 settembre sono caduti in alcune zone della regione più di 350 millimetri di acqua, «con picchi massimi nella zona tra Ravenna e Brisighella», mentre nel maggio 2023 si erano registrati «400-450 millimetri d’acqua, ma in due alluvioni». 

«Ci sono vari fattori che determinano il rischio in una determinata area: il cambiamento climatico, la vulnerabilità di un territorio e l’antropizzazione. Questi elementi in Emilia-Romagna ci sono tutti», ha spiegato a Pagella Politica il fisico del clima Antonello Pasini. «A causa del cambiamento climatico, nel Mar Mediterraneo c’è stato un cambio di circolazione: prima avevamo perturbazioni che si spostavano, adesso invece rimangono stazionarie per tanti giorni. L’anno scorso in Emilia-Romagna non solo è piovuto tanto, ma anche per più giorni». Secondo Pasini, dobbiamo «adattarci a questi fenomeni perché continueranno a esserci in futuro, ma è necessario evitare che si arrivi a scenari peggiori perché se la temperatura continuerà a crescere questi fenomeni diventeranno ingestibili».

La presenza politica dopo l’ultima alluvione è stata diversa rispetto a maggio 2023. Meloni non è tornata nelle zone alluvionate, ma il 20 settembre ha partecipato a una riunione in videocollegamento sull’emergenza maltempo. Nemmeno Salvini ha fatto visita a quelle zone, mentre il 23 settembre Schlein è stata nei territori colpiti. Finora un altro grande “assente” è stato il ministro per la Protezione civile e le Politiche del Mare Nello Musumeci, che non ha ancora incontrato le persone alluvionate. Proprio da Musumeci è partita la recente polemica politica: visti i fondi stanziati e l’entità dei danni dopo le alluvioni del 2023, il 19 settembre il ministro ha accusato l’Emilia-Romagna di non aver speso i soldi che il governo aveva messo a disposizione.

Per capire meglio che cosa ha funzionato e che cosa no nella gestione dei fondi, siamo andati in quelle zone e abbiamo parlato con i sindaci e un comitato di persone alluvionate. Amministratori di centrodestra e di centrosinistra hanno evidenziato le stesse difficoltà: tra burocrazia, soldi che non sono arrivati e mancanza di personale, i problemi sembrano andare molto al di là dell’effettiva spesa delle cifre stanziate per l’emergenza.

Personale che manca e ritardi burocratici

Dopo le alluvioni dello scorso anno, Modigliana ha eseguito i lavori cosiddetti “di somma urgenza”, quelli che devono essere svolti nel minor tempo possibile per non mettere a rischio l’incolumità delle persone. Il Comune ha anticipato due milioni di euro, poi riconosciuti dalla struttura del commissario: sono stati fatti interventi per liberare le strade, permettere la viabilità, mettere in sicurezza le frane pericolose e le vie dissestate. «La maggior parte dei lavori urgenti che avevamo eseguito ha retto, nonostante la grande quantità di acqua caduta durante l’alluvione di settembre di quest’anno», ha spiegato a Pagella Politica Giancarlo Jader Dardi, sindaco di Modigliana. 

Dardi ha 70 anni ed è stato riconfermato per un secondo mandato alle elezioni comunali dello scorso giugno con la lista civica di centrosinistra “ViviAmo Modigliana”. Parla dal suo studio in Comune, nella via centrale del paese, a pochi passi dal fiume Tramazzo. È vestito in modo elegante e ha il tono sicuro di chi ormai è abituato a fare interviste. «Abbiamo avuto comunque altri danni: tutto il bacino del fiume è danneggiato, la pioggia ha buttato giù un percorso ciclopedonale che avevamo ricostruito e divelto la rete principale dell’acquedotto».
La terra scavata dall’acqua sul lungofiume nel centro di Modigliana – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
La terra scavata dall’acqua sul lungofiume nel centro di Modigliana – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
A quei due milioni di euro ricevuti da Modigliana, con l’ordinanza pubblicata il 13 novembre 2023 si sono aggiunti altri 108 milioni riconosciuti al Comune dalla struttura del commissario per la ricostruzione e la messa in sicurezza del territorio, che però non sono così facili da gestire. «Il nostro personale è molto ridotto: come Comune non siamo in grado di attivare i 108 milioni che ci sono stati riconosciuti», ha commentato Dardi. 

Nella progettazione e nell’avviamento dei cantieri, il Comune di Modigliana è affiancato dalla Sogesid, una società partecipata dallo Stato fondata nel 1994, con sede a Roma, che ha il compito di progettare, avviare e completare i cantieri. La decisione di affidare la committenza dei lavori di messa in sicurezza del territorio alla Sogesid è disciplinata da una convenzione quadro sottoscritta a inizio gennaio di quest’anno. 

Dei 108 milioni previsti per la ricostruzione, 86 milioni sono stati affidati alla gestione della Sogesid, «ma sempre sotto il controllo del Comune, che quindi si trova in una situazione di straordinaria emergenza con una struttura che era definita per una normale amministrazione», ha continuato il sindaco. Lo staff tecnico del Comune di Modigliana è formato da due persone, più una assunta per tutto il 2025. Con l’ordinanza 34 del 2024, il commissario straordinario ha stabilito nuove modalità di selezione pubblica del personale tecnico e amministrativo a supporto degli enti locali del territorio. 

Secondo il sindaco, servirebbero almeno altre quattro persone per gestire i fondi in modo efficiente, ma è difficile trovare qualcuno che accetti di andare a lavorare in un comune di quattromila abitanti: «Al momento la nostra struttura è inadeguata a far fronte a una situazione del genere. Questo è uno dei grandi problemi che stiamo affrontando e che ha conseguenze sui ritardi della costruzione».
I danni dell’ultima alluvione a Modigliana – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
I danni dell’ultima alluvione a Modigliana – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Un esempio di questi ritardi è proprio il ponte che collega Faenza a Modigliana. «Dopo che è crollato, il 25 maggio 2023 abbiamo incaricato una società di redigere un progetto esecutivo di ricostruzione. Una volta presentato il progetto ha avuto una serie di aggiornamenti, richieste di modifica, è andato in Commissione di valutazione», un organismo che durante la realizzazione di un progetto deve valutare le offerte per l’aggiudicazione della gara. «C’erano continui stop e ritardi. Abbiamo quindi affidato il progetto alla Sogesid perché è un’opera che a questo punto supererà i tre milioni di euro, quindi serve una struttura che sappia gestire quei soldi. Però è un processo davvero lungo», ha detto Dardi.
Il ponte crollato che conduce a Modigliana – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Il ponte crollato che conduce a Modigliana – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Un cartello lungo la strada che porta al ponte crollato – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Un cartello lungo la strada che porta al ponte crollato – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Secondo il sindaco, un altro elemento critico è il commissario straordinario alla ricostruzione, la figura nominata dal governo e dotata di poteri speciali per far fronte a situazioni di emergenza, come era già avvenuto per la pandemia da Covid-19. In questi casi, di solito il commissario straordinario viene scelto tra gli amministratori locali perché conoscono meglio il territorio. Subito dopo le prime due alluvioni dell’anno scorso, in molti si aspettavano che il ruolo di commissario sarebbe stato affidato all’allora presidente della Regione Stefano Bonaccini, ma a fine giugno è stato nominato il generale Figliuolo, già commissario straordinario per l’emergenza Covid-19.

Dardi ha lamentato la distanza del generale rispetto alle zone in cui dovrebbe operare: «Il mancato incarico del presidente della Regione come commissario è stato un errore di prospettiva e strategia. Quella scelta ha penalizzato la qualità della risposta perché la ricostruzione non può essere governata da lontano, ma necessita di una presenza continua sul territorio».

Un’opinione simile è condivisa da Massimiliano Pederzoli, sindaco del comune di Brisighella, borgo medievale di settemila abitanti in provincia di Ravenna, una decina di chilometri a Nord di Modigliana. Pur essendo raggiungibile in una ventina di minuti di auto, il paesaggio è molto diverso: il centro del paese si percorre quasi unicamente a piedi e si sviluppa tra ripide strade di pietra e antichi tratti di cinta muraria. Pederzoli, che ha 64 anni e un passato nella Coldiretti provinciale di Ravenna, è al suo secondo mandato. Come Dardi, è stato riconfermato nelle elezioni del giugno scorso, ma dall’altra parte dello spettro politico: la sua lista civica “Per il buon governo di Brisighella” è sostenuta infatti dal centrodestra.

Anche a Brisighella camminando per le vie del centro storico non ci si accorge dei danni causati dalle alluvioni. Le situazioni più difficili si sono verificate nelle strade attorno al paese, dove ancora oggi sono visibili numerose frane, e a Marzeno, frazione di Brisighella, dove gli abitanti di tre vie sono stati fatti evacuare il 18 settembre in seguito alla piena del fiume Marzeno.

«Io ho accolto con favore la nomina del commissario Figliuolo, ma pensavo che la sede della gestione commissariale fosse qua, non a Roma. Secondo me il commissario straordinario e la sua struttura dovevano stare qua 24 ore su 24», ha detto Pederzoli a Pagella Politica, bevendo un caffè nel bar davanti al Comune, un edificio bianco e austero di quattro piani, affacciato su via Naldi, una delle principali strade del paese. Con l’alluvione più recente, ha spiegato il sindaco, «ci sono state nuove frane, alcune di quelle vecchie si sono ampliate. Anche perché noi abbiamo tolto la terra, ripulito le scarpate ma non abbiamo fatto i consolidamenti perché non sono ancora arrivati i soldi».

A differenza di Dardi, Pederzoli si è esposto più volte sui media locali e nazionali lamentando la mancanza di fondi per svolgere i lavori. Al momento a Brisighella sono stati fatti gli interventi più urgenti, ossia la ripulitura delle strade e la sistemazione delle frane. Il sindaco ha spiegato che in questi casi i soldi sono stati anticipati dal Comune facendo debiti fuori bilancio, poi sanati con i fondi arrivati dal governo. Oltre ai lavori urgenti, ha aggiunto il sindaco, «non abbiamo fatto altro: dovremmo fare delle opere di ricostruzione e di consolidamento, ma siamo ancora in attesa che arrivino i soldi». Oggi l’unico lavoro in corso a Brisighella è il consolidamento di una frana su via Siepi, a pochi minuti di auto dal centro del paese. Questo intervento, ha detto il sindaco mentre guidava per le strade ancora dissestate che portano al cantiere di via Siepi, «è stato fatto utilizzando una donazione nell’ambito del progetto Legacoop pari a 250 mila euro».

Legacoop è una delle principali associazioni di rappresentanza delle imprese cooperative a livello nazionale, che ha un forte radicamento proprio in Emilia-Romagna. Il progetto di Legacoop sull’alluvione è solo una delle numerose raccolte fondi avviate da associazioni locali e dalla Regione in tutta Italia, per sostenere le zone alluvionate più in difficoltà. Per esempio la Regione ha assegnato cinque milioni di euro ottenuti dalle donazioni e li ha distribuiti a 113 Comuni per sostenere persone e famiglie in situazioni di particolare fragilità economica e sociale. Le raccolte fondi non sono state aperte solo dopo le alluvioni del 2023, ma anche dopo quella più recente.
Persone al lavoro nel cantiere lungo via Siepi a Brisighella, in provincia di Ravenna – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Persone al lavoro nel cantiere lungo via Siepi a Brisighella, in provincia di Ravenna – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Nel frattempo, ci sono case ancora in situazioni di pericolo: è il caso di alcune abitazioni in via Farolfi a Brisighella, a pochi passi dal centro città, che hanno alle spalle una montagna franata. La frana è stata ripulita, ma non è stata installata una rete di sicurezza per prevenire eventuali distaccamenti di terra futuri. «Penso ci sia troppa burocrazia: i soldi agli enti locali faticano ad arrivare e lo stesso vale per i privati, che siano cittadini o aziende. Io, oltre a essere il sindaco, sono anche un agricoltore e sono stato gravemente danneggiato, ma non ho ancora visto un centesimo», ha raccontato Pederzoli.
Abitazioni in via Farolfi a Brisighella con alle spalle una collina franata – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Abitazioni in via Farolfi a Brisighella con alle spalle una collina franata – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
I risarcimenti possono essere richiesti da metà novembre 2023 dai cittadini usando la piattaforma Sfinge, sviluppata dalla Regione dopo il terremoto del 2012. Da più parti però sono arrivate critiche relative ai risarcimenti, considerati troppo scarsi e troppo lenti, oltre alla procedura complicata per presentare domanda. I primi cosiddetti “ristori” – come sono stati chiamati dai media e dai decreti governativi i risarcimenti per i danni – hanno iniziato ad arrivare ad aprile di quest’anno e, secondo il presidente del comitato alluvionati di Cesena Mauro Mazzotti, anche a livello burocratico la situazione nel tempo è migliorata. 

Mazzotti è presidente del comitato dalla fine del 2023, dopo che il suo predecessore Marco Giangrandi si è dimesso per candidarsi a sindaco alle elezioni comunali di giugno 2024 a Cesena, sostenuto da alcune liste civiche e da Italia Viva. In quelle elezioni Giangrandi è arrivato terzo, dietro al sindaco uscente Enzo Lattuca, sostenuto dal PD e dal Movimento 5 Stelle, e a Marco Casali, il candidato sostenuto dai partiti di centrodestra. Anche Mazzotti ha partecipato alle elezioni di giugno, come candidato al consiglio comunale nella lista di Fratelli d’Italia; non è stato eletto e poco dopo ha abbandonato la politica, per dedicarsi unicamente al comitato.

«A volte i soldi sono pochi, ma la procedura è diventata più semplice. Resta il fatto che ci sono problemi che bisogna ancora superare, per esempio sarebbe utile incaricare periti e aziende dello Stato per accorciare i tempi delle pratiche. Per dimostrare i danni subiti sono necessarie infatti perizie di tecnici ed esperti», ha spiegato Mazzotti. Una difficoltà è rappresentata anche dagli abusi edilizi. «È capitato che qualcuno avesse in casa una porta in un posto sbagliato: a quel punto prima di richiedere il rimborso deve fare una sanatoria, che comporta dei soldi. Se non ha quei soldi, non può fare la domanda per il rimborso», ha aggiunto Mazzotti, che abbiamo incontrato in un parco a Cesena, a pochi passi da dove il fiume Savio è straripato a causa delle alluvioni dell’anno scorso. «Qui nel 2023 c’era acqua ovunque – dice indicando le case che sorgono accanto agli argini del fiume – quest’anno siamo stati più fortunati ma il letto del fiume dovrebbe essere pulito perché è pieno di alberi, rami e terra».
Il letto del fiume Savio visto da via Pesaro, a Cesena – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Il letto del fiume Savio visto da via Pesaro, a Cesena – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica

Interventi che non bastano

Arrivando a Faenza non ci si accorge subito dei danni causati dall’alluvione più recente, ma basta attraversare uno dei ponti che porta verso i quartieri più periferici per capire che anche questa volta la forza dell’acqua non ha risparmiato alcune abitazioni. Lo scorso anno Faenza è stata duramente colpita dall’alluvione, con case distrutte e automobili da buttare. Sono state pesanti anche le conseguenze sul commercio locale: «Nell’area faentina ci sono state circa 850 imprese coinvolte», ha spiegato a Pagella Politica Francesco Carugati, direttore dell’Associazione del Commercio, del Turismo, dei Servizi e delle PMI (Ascom) di Faenza, un’organizzazione sindacale che fa parte della Confcommercio. 

Tra le imprese faentine associate ad Ascom, «una quindicina ha cessato definitivamente l’attività e una ventina si è delocalizzata, chi a pochi metri di distanza e chi invece è uscito dal centro storico trovando collocazione in periferia». A pagare le conseguenze dell’alluvione non sono state solo le attività colpite direttamente, ma anche quelle che hanno subito l’isolamento dovuto alla chiusura delle strade a causa delle frane e dei dissestamenti. L’alluvione dello scorso settembre, invece, «ha avuto solo in minima parte un impatto sulle attività economiche nostre associate». Aggiunge Carugati: «Ci saranno sicuramente delle ripercussioni, ma in misura minore rispetto al 2023».

I danni più limitati si devono al fatto che non tutta la città è stata colpita come l’anno scorso. Questa volta il centro è stato protetto perché nei mesi scorsi lungo via Renaccio, la strada che costeggia il fiume Lamone dal lato del centro storico, è stato costruito un muro che ha evitato che il fiume straripasse nell’alluvione del 18 settembre.
Il muro costruito lungo l’argine del fiume in via Renaccio, a Faenza – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Il muro costruito lungo l’argine del fiume in via Renaccio, a Faenza – Foto: Micol Maccario/Pagella Politica
Dall’altro lato del fiume invece, lungo via Cimatti è andata in modo diverso. Qui i danni dell’acqua sono ben visibili: l’ultima alluvione ha allagato il quartiere che ancora stava pagando le conseguenze delle alluvioni dell’anno scorso. I cortili delle case sono pieni di calcinacci e terra, le persone armate di pale e secchi lavorano nei propri giardini: qualcuno pulisce, in strada ci sono porte coperte di fango ed elettrodomestici ormai da buttare. «Siamo di nuovo nella stessa situazione», dice con un filo di voce una signora dal proprio cortile mentre con i due figli cerca di sistemare il prato davanti al condominio in cui abita. Per strada non si incontra quasi nessuno, ma si sentono arrivare dalle case rumori di aspirapolveri e idropulitrici. Porte, finestre e portoni dei garage dei piani terra sono spalancati perché le mura interne delle case non sono ancora asciutte.
Sedie ancora sporche di fango lungo via Cimatti, a Faenza – Fonte: Micol Maccario
Sedie ancora sporche di fango lungo via Cimatti, a Faenza – Fonte: Micol Maccario
Nel caso di via Cimatti sono stati costruiti un muro provvisorio e un terrapieno in terra battuta per far fronte a nuove situazioni di emergenza, ma non sono bastati. Il muro è stato alzato la mattina del 18 settembre usando blocchi di cemento ma, a causa della forza dell’acqua, non ha resistito e il quartiere è stato di nuovo allagato. Ora, per far fronte ad altre possibili alluvioni, il terrapieno è stato alzato a due metri e 30 centimetri e sono stati inseriti blocchi di cemento alla base. 

«A Faenza abbiamo un problema strutturale, dove ci sono i due fiumi [il Lamone e il Marzeno, ndr] all’ingresso della città. Quella zona è ritenuta oggetto di intervento, ma non immediato: in una fase tre, cioè quella del Piano speciale per la ricostruzione. Abbiamo chiesto che quell’opera sia realizzata immediatamente e non tra dieci anni», ha spiegato a Pagella Politica il sindaco di centrosinistra Massimo Isola, in carica da settembre 2020.

I lavori a lungo termine

Il Piano speciale per la ricostruzione citato da Isola è il piano di lungo termine studiato per ridurre il rischio idrogeologico e stabilire strategie innovative per far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico. È stato ideato da un gruppo di esperti coordinato dall’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po, come stabilito a giugno dell’anno scorso da un decreto-legge. Nello specifico, la norma prevede la predisposizione di cinque piani speciali tematici: per le opere pubbliche danneggiate, i beni culturali danneggiati, le situazioni di dissesto idrogeologico, le infrastrutture ambientali danneggiate e le infrastrutture stradali e ferroviarie. La versione provvisoria del piano è stata approvata a marzo di quest’anno, ma al momento è ancora in attesa dell’approvazione definitiva. 

Il 19 settembre il ministro Musumeci ha parlato durante una conferenza stampa dei ritardi del piano. «Il piano è fermo da cinque mesi perché credo che lo stiano valutando attentamente nelle strutture del Ministero per l’Ambiente – ha detto Musumeci – perché l’esame sembra essere particolarmente laborioso». Dopo il via libera del Ministero per l’Ambiente, il piano dovrà passare dal Consiglio dei ministri e, dopo l’approvazione, gli interventi previsti potranno essere attuati.

Nei fatti, i lavori si concentreranno sulla costruzione di nuovi argini, canali e sulla pianificazione urbanistica, per un totale stimato dalla Regione Emilia-Romagna in circa 4,5 miliardi di euro. Oltre che sulle tempistiche, rimane un punto di domanda su una parte dei finanziamenti. Al momento la struttura commissariale ha previsto l’arrivo di 2,5 miliardi di euro di fondi, a cui si aggiungono i 375 milioni del Fondo di solidarietà europea, ma per effettuare tutti gli interventi dovranno essere stanziate altre risorse, anche se non è ancora chiaro quale sarà la fonte di finanziamento.

Il 1° ottobre, nel corso di un incontro con il commissario Figliuolo, la presidente facente funzione della Regione Emilia-Romagna Irene Priolo – che a luglio ha sostituito Bonaccini, eletto al Parlamento europeo – ha chiesto che alcune delle opere straordinarie contenute nei piani speciali siano fatte partire subito. L’importanza di agire velocemente è stata sottolineata anche dal fisico del clima Pasini: «È fondamentale che questi piani siano redatti in fretta e che siano calati sui singoli territori. Questo significa che ogni comune deve avere un piano di adattamento ai cambiamenti climatici perché solo chi conosce bene i territori può sapere quali sono le zone critiche».

Dunque, in Emilia-Romagna i problemi legati alle recenti alluvioni non riguardano solo la spesa dei fondi, come aveva detto il ministro Musumeci. Gli amministratori locali di centrodestra e di centrosinistra e i rappresentanti degli alluvionati lamentano intoppi burocratici, che variano a seconda che si tratti di interventi urgenti o a lungo termine. In gioco non ci sono solo responsabilità di gestione dei soldi, ma anche difficoltà causate proprio da procedure burocratiche lunghe, rimpalli di responsabilità ed enti locali in molti casi inadeguati a sostenere situazioni di emergenza. Senza dimenticare che, come ha sottolineato Pasini, eventi alluvionali come quelli che hanno colpito l’Emilia-Romagna continueranno in futuro. Ma sul come e quando saranno gestiti siamo ancora lontani da avere tutte le risposte.

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