Giovedì 27 febbraio, durante la direzione nazionale del Partito Democratico, la segretaria Elly Schlein ha detto che la linea del suo partito è di votare a favore dei referendum contro il Jobs Act. La data del voto non è ancora stata decisa, ma è prevista in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno. In totale, i quesiti dei referendum abrogativi su cui si voterà sono cinque: quattro – promossi, tra gli altri, dal sindacato CGIL – riguardano il mercato del lavoro, mentre uno riguarda la legge che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri.
Nello specifico, due referendum chiedono di cancellare alcune norme introdotte dal Jobs Act, un’espressione che fa riferimento ad alcuni provvedimenti approvati tra il 2014 e il 2016 dal governo di Matteo Renzi, all’epoca segretario proprio del Partito Democratico.
Il primo quesito sul Jobs Act vuole eliminare il decreto legislativo n. 23 del 2015, che ha introdotto il contratto di lavoro a tutele crescenti. Con questo contratto, l’azienda che licenzia illegittimamente un lavoratore non è più tenuta a reintegrarlo, ma solo a garantirgli un indennizzo economico basato sull’anzianità in azienda. Eliminando l’intero decreto-legislativo, il referendum punta a tornare alla situazione precedente al Jobs Act.
L’altro quesito chiede di eliminare alcuni commi dell’articolo 19 e dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 81 del 2015, che riguarda la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato. Il quesito vuole cancellare la possibilità per i datori di lavoro di sottoscrivere contratti a termine della durata di un anno, come previsto oggi dalla legge, portando in ogni caso la durata massima a due anni. In più, il referendum esclude la possibilità di stipulare un contratto a termine per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva dell’azienda e obbliga il datore di lavoro a comunicare sempre per iscritto le motivazioni del contratto a termine, non solo al momento di un eventuale rinnovo.
Gli altri due quesiti referendari sul lavoro riguardano l’indennità nei licenziamenti e sulla sicurezza dei lavoratori.
Nello specifico, due referendum chiedono di cancellare alcune norme introdotte dal Jobs Act, un’espressione che fa riferimento ad alcuni provvedimenti approvati tra il 2014 e il 2016 dal governo di Matteo Renzi, all’epoca segretario proprio del Partito Democratico.
Il primo quesito sul Jobs Act vuole eliminare il decreto legislativo n. 23 del 2015, che ha introdotto il contratto di lavoro a tutele crescenti. Con questo contratto, l’azienda che licenzia illegittimamente un lavoratore non è più tenuta a reintegrarlo, ma solo a garantirgli un indennizzo economico basato sull’anzianità in azienda. Eliminando l’intero decreto-legislativo, il referendum punta a tornare alla situazione precedente al Jobs Act.
L’altro quesito chiede di eliminare alcuni commi dell’articolo 19 e dell’articolo 21 del decreto legislativo n. 81 del 2015, che riguarda la durata dei contratti di lavoro a tempo determinato. Il quesito vuole cancellare la possibilità per i datori di lavoro di sottoscrivere contratti a termine della durata di un anno, come previsto oggi dalla legge, portando in ogni caso la durata massima a due anni. In più, il referendum esclude la possibilità di stipulare un contratto a termine per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva dell’azienda e obbliga il datore di lavoro a comunicare sempre per iscritto le motivazioni del contratto a termine, non solo al momento di un eventuale rinnovo.
Gli altri due quesiti referendari sul lavoro riguardano l’indennità nei licenziamenti e sulla sicurezza dei lavoratori.