Nelle ultime settimane si è parlato molto di uno studio, realizzato da tre economisti, secondo cui i lockdown non avrebbero di fatto alcun effetto nel contenere la diffusione del coronavirus, riducendo la sua mortalità soltanto dello 0,2 per cento.
La ricerca in questione ha però una serie di punti deboli. E il resto della comunità scientifica è giunto in larga parte a conclusioni diverse. L’idea che le restrizioni non funzionino è uno dei tanti luoghi comuni che tornano a ogni ondata di contagi, nonostante non abbia solide basi scientifiche.
Che cosa non torna
Dove è stato pubblicato lo studio
Lo studio è stato scritto da Jonas Herby e Lars Jonung, due professori della Lund University in Svezia, e da Steve H. Hanke, professore di economia applicata alla Johns Hopkins University di Baltimora, negli Stati Uniti.
La ricerca non è stata pubblicata su una rivista scientifica e quindi non è stata sottoposta a peer review, il processo attraverso cui altri scienziati analizzano lo studio e ne identificano eventuali problemi.
Quali prove sono prese in considerazione
La ricerca viene presentata come una «meta analisi», un tipo di studio in cui si analizzano in modo sistematico le ricerche pubblicate su un certo argomento. In questo caso, i tre economisti sono partiti da un gruppo di 18,6 mila studi che si sono occupati di Covid-19, ne hanno identificati mille che parlavano di lockdown e mortalità, ne hanno ritenuti validi 117 e poi ne hanno inclusi solo 24 nella loro analisi.
Le scelte fatte per decidere quali studi andavano inclusi o meno sono però opinabili. Per esempio, tutti gli studi basati sui cosiddetti “modelli controfattuali” (quelli che provano a confrontare due scenari simili tra loro, tranne che per poche variabili) sono stati esclusi, scelta che ha determinato la conseguente esclusione di quasi tutte le ricerche condotte da epidemiologi. In questo modo, come ha sottolineato anche l’epidemiologo Gideon Meyerowitz-Katz, l’analisi dei tre economisti finisce per non essere rappresentativa del totale delle ricerche condotte negli ultimi due anni sugli effetti dei lockdown nel contenere la pandemia.
Nello specifico, Herby, Jonung e Hanke hanno stimato il tasso di riduzione nella mortalità causata dalla Covid-19 utilizzando solo sette studi, che sono arrivati a conclusioni molto diverse tra loro. Secondo uno studio, i lockdown avrebbero ridotto la mortalità del virus fino al 35 per cento, secondo un altro ci sarebbe stato addirittura un aumento, pari allo 0,1 per cento.
Questi studi hanno dato risultati diversi perché, tra le altre cose, si basano su assunzioni e metodi molto diversi tra loro e non sono direttamente confrontabili. Quando si cerca di quantificare se una misura restrittiva funzioni o meno, infatti, entrano in gioco molti fattori, come il livello di diffusione dell’epidemia o la fiducia della popolazione nel governo.
Che cosa dice la letteratura scientifica
Al di là della pubblicazione in questione, negli ultimi due anni sono state fatte molte ricerche sull’efficacia dei lockdown e, più in generale, delle misure restrittive per contenere l’epidemia. La conclusione più diffusa è che le chiusure funzionano, sebbene abbiano evidenti alti costi dal punto di vista economico e sociale.
Uno studio pubblicato a dicembre 2020 su Science ha per esempio mostrato che limitare gli assembramenti a meno di dieci persone, chiudere i posti ad alto rischio, scuole e università sono misure efficaci nel rallentare la diffusione del coronavirus. Una ricerca pubblicata a novembre 2020 su Nature Human Behaviour ha evidenziato come non esista una misura universale che funziona in tutti i casi contro l’epidemia, ma che misure come i lockdown, i coprifuoco e le chiusure dei posti più rischio siano tra le misure più efficaci.
A conclusioni simili sono arrivati altri studi, pubblicati su Pnas e Nature Communications. Proprio in quest’ultimo caso, i ricercatori della Fondazione Bruno Kessler (Fbk) – un ente di ricerca di interesse pubblico con sede a Trento – e dell’Istituto superiore di sanità (Iss) hanno quantificato che a novembre 2020 il sistema a colori delle regioni in Italia abbia ridotto le ospedalizzazioni del 36 per cento, evitando 25 mila ricoveri.
Più di recente, una ricerca uscita a maggio 2021 e basata su circa 350 studi condotti nel primo anno di pandemia ha concluso che «i tentativi di modellazione mostrano in modo unanime l’importanza e l’efficacia degli interventi non farmaceutici nel rallentare la diffusione della Covid-19» e che «i Paesi che hanno agito in anticipo rispetto alla diffusione locale hanno avuto il maggior successo nel controllo della diffusione riportando un numero di vittime sensibilmente inferiore».
In conclusione
La ricerca circolata molto negli ultimi giorni secondo cui i lockdown sono inutili ha diversi problemi: non è stata pubblicata su una rivista scientifica e si basa su una selezione piuttosto arbitraria degli studi in materia.
Negli ultimi due anni gran parte della letteratura scientifica ha mostrato che i lockdown sono efficaci nel rallentare la diffusione del coronavirus e nel prevenire il collasso del sistema sanitario.
Queste evidenze non significano necessariamente che i lockdown siano la migliore strategia possibile per contenere la diffusione del virus, considerando gli alti costi in termini socio-economici che comportano.
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