Nelle ultime settimane in molti hanno sostenuto, in particolare in riferimento al green pass italiano, che una norma dell’Unione europea vieterebbe qualsiasi discriminazione dei non vaccinati. Tra i diffusori di questa tesi possiamo citare diversi politici – ad esempio il senatore Armando Siri della Lega, il senatore ex M5s Gianluigi Paragone ora di Italexit o il deputato ex M5s, e ora di l’Alternativa c’è, Paolo Giuliodori – e anche alcune sigle sindacali (qui un comunicato della Rsu di Leonardo a Torino di Fim-Fiom-Uilm).
A vietare le discriminazioni, secondo loro, sarebbe in particolare dell’«articolo 36» del regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Ue del 14 giugno 2021, che disciplina l’EU Digital COVID Certificate – detto comunemente “Green pass europeo” – relativamente in particolare alla libertà di circolazione dei cittadini Ue.
Abbiamo verificato ed è falso. In primo luogo non esiste alcun articolo 36 del regolamento in questione: gli articoli sono in totale 17 e il «36» è un “considerando” che non ha valore di norma, come vedremo meglio tra poco. In secondo luogo la “non discriminazione” di cui si parla ha una portata definita e limitata sotto diversi punti di vista.
Ma andiamo a vedere i dettagli.
Che cosa dice il considerando n. 36
Il considerando n.36 stabilisce che «è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate», per motivi medici, pratici o per scelta. Dunque «il possesso di un certificato di vaccinazione (…) non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione» o per l’utilizzo di «servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri», come ad esempio linee aeree, treni, pullman, traghetti e via dicendo. Infine, si legge, «il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati».
Per completezza ricordiamo che su questo considerando c’era stato un errore di traduzione nella prima versione italiana, di cui avevano dato conto i nostri colleghi di Facta, per cui mancava il riferimento a chi non fosse vaccinato per scelta. In ogni caso l’errore è stato corretto e il testo è quello appena visto.
Il testo sembra in apparenza chiaro ed è forse proprio questo che ha tratto in errore numerosi politici e non solo. Vediamo allora perché in realtà le cose stanno diversamente.
Perché non ha l’effetto di vietare le discriminazioni previste dal green pass italiano
Non è una norma
Come anticipato, bisogna per prima cosa chiarire che il n.36 non è un articolo ma un “considerando”. I considerando, come spiega chiaramente questa guida alla redazione dei testi normativi Ue, servono a motivare le norme contenute nei testi legislativi ma, a differenza degli articoli, «non contengono enunciati di carattere normativo».
Come ci ha confermato Vincent Couronne, docente di diritto pubblico ed europeo e co-fondatore del sito di fact-checking legale Les Surligneurs, «i considerando non hanno effetti vincolanti» e al massimo possono essere utilizzati in caso di dubbio interpretativo sulle norme vere e proprie contenute nel testo.
Una verità, questa, di recente riconosciuta (seppure dopo alcuni errori iniziali) anche da Claudio Borghi, deputato della Lega fortemente contrario al green pass.
Si parla di libertà di circolazione, non di altro
Ricordiamo che il diritto comunitario prevale sui diritti nazionali, dunque una norma italiana in contrasto con una europea sarebbe destinata a soccombere. Perché allora questo non accade col divieto di discriminazione nei confronti dei non vaccinati?
Come già detto, il n.36 non è una norma ma un considerando e dunque non ha la possibilità di prevalere sulle norme nazionali. Ma, anche al di là di questo, il considerando n.36 è riferito a un documento europeo specifico, l’EU Digital COVID Certificate, che ha uno scopo ben delimitato. Come si legge all’articolo 1, il regolamento ha lo «scopo di agevolare l’esercizio del diritto di libera circolazione durante la pandemia di Covid-19» da parte dei titolari del green pass europeo e «contribuisce inoltre ad agevolare la revoca graduale delle restrizioni alla libera circolazione poste in essere dagli Stati membri».
Dunque se uno Stato decide di imporre un proprio green pass nazionale, eventualmente anche diverso da quello europeo, ad esempio per accedere ai ristoranti, ai cinema, ai luoghi di lavoro o alle scuole, il regolamento non c’entra. Ma anche per quanto riguarda i trasporti, che hanno invece a che fare con la libertà di circolazione, bisogna fare almeno due considerazioni.
In che senso “non discriminazione”
In primo luogo, la non discriminazione (circa la libertà di circolazione) di cui parla il considerando n.36 – ci ha confermato ancora Couronne – va intesa nel senso che anche un non vaccinato, ma che abbia un tampone negativo recente o un test recente che attesti l’avvenuta guarigione, ha diritto a ottenere il green pass europeo. Non nel senso che un non vaccinato senza green pass deve avere gli stessi diritti di chi ce l’ha. Il regolamento infatti consente la discriminazione di chi non ha il green pass europeo (quindi – al netto di chi non ha fatto ancora richiesta – di chi non è vaccinato, o non ha un tampone negativo o un certificato di guarigione recente).
Agli Stati resta la facoltà di imporre restrizioni ulteriori
In secondo luogo, l’articolo 11 del regolamento prevede esplicitamente che gli Stati possano imporre restrizioni ulteriori alla libertà di circolazione «per motivi di salute pubblica».
Queste restrizioni devono essere motivate e comunicate agli altri Stati e alla Commissione, ma sono legittime.
In conclusione
Per riassumere: non esiste un articolo n. 36 del regolamento europeo sul cosiddetto green pass ma solo un considerando n. 36, che non ha effetti giuridici vincolanti.
Anche al di là di questo, il regolamento si occupa di libertà di circolazione e dunque un’eventuale non discriminazione dei non vaccinati andrebbe considerata limitatamente a questo ambito.
Ma anche nell’ambito della libertà di circolazione, la non discriminazione di cui tratta il considerando n. 36 è quella secondo cui un non vaccinato con tampone negativo recente o prova recente di avvenuta guarigione ha diritto al green pass europeo. Non quella secondo cui il non vaccinato senza tampone negativo o attestato di recente guarigione deve essere trattato come chi il green pass ce l’ha.
Infine, in presenza di motivi di salute pubblica, secondo il regolamento Ue gli Stati possono comunque imporre con norme nazionali ulteriori restrizioni alla libertà di circolazione, anche per chi fosse dotato di green pass europeo.
Economia
Il fact-checking di Giorgia Meloni ad Atreju