Il 3 ottobre, ospite ad Agorà su Rai3, il leader della Lega Matteo Salvini ha detto (min. -8:31) che «quest’anno si pagheranno 4 miliardi di euro in meno di interessi sul debito».

Secondo l’ex ministro dell’Interno, quindi, «costa di meno il debito pubblico italiano, con il governo di cui eravamo parte».

Lo stesso giorno, in un’intervista al Corriere della Sera, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha invece dichiarato che «il risparmio in interessi grazie alla caduta dello spread con il nostro governo è già di sei miliardi».

Ma i conti tornano? E chi ha ragione nel prendersi il merito di un eventuale calo della spesa per interessi?

In breve: Salvini parla del presente, mentre Gualtieri fa fa riferimento alla fine del prossimo anno. Entrambi però citano cifre imprecise e si prendono meriti eccessivi. Vediamo perché.

Che cosa dicono i numeri

La guerra dei numeri è cominciata dopo la presentazione del primo importante documento sui conti dello Stato da parte del governo Conte II. Infatti, il 30 settembre 2019 il Consiglio dei ministri ha approvato la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef) per il 2019. La Nadef aggiorna sia le previsioni economiche e di finanza pubblica del Def di aprile scorso, fatte dal precedente governo, sia gli obiettivi programmatici, stabiliti dal nuovo esecutivo Pd-M5s.

La Nadef prevede che a fine 2019 – l’anno a cui fa riferimento Salvini – la spesa in interessi sul debito pubblico sarà scesa: dai circa 64,7 miliardi di euro del 2018 a oltre 61,3 miliardi di euro. Una differenza di circa 3,4 miliardi di euro (-5,2 per cento), che il leader della Lega riporta per eccesso come «4 miliardi».

Perché Gualtieri parla invece di «sei miliardi» già risparmiati? La chiave sta nel periodo a cui si riferisce. La risposta ce l’ha data lo stesso Gualtieri, nella conferenza stampa di presentazione della Nadef del 30 settembre.

«Dopo la formazione del nuovo governo noi – e non è una stima ottimistica, è un dato oggettivo – individuiamo come minor costo del debito pubblico già nel prossimo anno 6 miliardi», aveva detto in quell’occasione Gualtieri.

Quindi i risparmi di cui parla Gualtieri non sarebbero già avvenuti – come lascia intendere l’intervista al Corriere – ma sono quelli stimati nel 2020.

In effetti, Nadef alla mano, il governo prevede che a fine del prossimo anno i miliardi di euro spesi in interessi sul debito scenderanno dai quasi 64,7 miliardi del 2019 a circa 59,2 miliardi. Un possibile risparmio di 5,5 miliardi di euro (“arrotondati” da Gualtieri a sei).

Un appunto: secondo Gualtieri questo è un «dato oggettivo», ma come spiega una Nota metodologica della stessa Nadef, il calcolo di queste stime è complesso e tiene conto di numerosi fattori che potrebbero cambiare in futuro. Rimane dunque una stima, seppure metodologicamente fondata, ma non un risparmio da prendere per certo.

Se alla fine di quest’anno e del prossimo, al nostro Paese costerà effettivamente meno finanziare il proprio debito, di chi sarà il merito? Del governo con Salvini, rimasto in carica fino agli inizi di settembre 2019, o dell’arrivo del Conte-bis?

Ce l’ha chiesto l’Europa

Una parziale risposta viene data dallo stesso Gualtieri nella conferenza già citata, dove il ministro aveva detto che «un significativo miglioramento del costo del finanziamento del debito pubblico […] è già stato avviato quando è stata evitata la procedura [d’infrazione]».

In sostanza, nella conferenza stampa del 30 settembre il ministro dell’Economia aveva riconosciuto nell’abbassamento del costo del debito un ruolo anche del precedente governo (cosa non avvenuta nell’intervista al Corriere).

In effetti, se guardiamo l’andamento del Btp italiano a 10 anni – quello utilizzato per calcolare lo spread, per intenderci – il rendimento dei titoli italiani è iniziato a calare nello stesso momento in cui si è chiuso lo scontro con l’Europa il 3 luglio 2019.

In particolare, il rendimento è passato dal 2,64 per cento del 29 maggio 2019 (quando la Commissione ha inviato all’Italia una richiesta di correzione dei conti a causa delle politiche del governo Lega-M5s) al 1,58 per cento del 3 luglio 2019 (giorno in cui la Commissione ha dichiarato di non voler aprire una procedura contro l’Italia).

La mancata apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia è però solo una delle ragioni che hanno portato al calo del rendimento dei titoli di Stato italiani.

La Bce cambia rotta

Alle vicende del nostro Paese bisogna poi aggiungere gli sviluppi registrati negli ultimi mesi sui mercati finanziari internazionali.

Come ha sottolineato Il Sole 24 Ore il 3 luglio 2019, tra le principali cause del calo dei rendimenti dei titoli di Stato italiani – ma non solo – c’è infatti la decisione della Banca centrale europea (Bce) di rivedere la sua politica dei tassi di interesse.

Se il 10 aprile 2019 il Consiglio direttivo della Bce aveva dichiarato di voler mantenere i tassi invariati per tutto l’anno, il 18 giugno 2019 il governatore Mario Draghi si era detto invece pronto ad adottare «stimoli aggiuntivi» per l’economia. Il cambio di rotta si è poi manifestato nella sua interezza il 12 settembre 2019, quando la Bce ha dichiarato di voler ricominciare operazioni di acquisto dei titoli sui mercati finanziari.

Le decisioni hanno portato a un calo del rendimento di tutti i titoli di Stato nei Paesi europei, rendendo di conseguenza i titoli con un rendimento più alto della media (come quelli italiani) più appetibili per gli investitori.

Il merito del risparmio dei titoli di Stato non è quindi solamente di chi stava al governo, gialloverde o giallorosso che sia.

Per scendere bisogna salire

Abbiamo visto che il calo dei rendimenti dei titoli di Stato italiani è iniziato quando il governo Lega-M5s era ancora in carica, sia per meriti dell’esecutivo (anche se la procedura era stata minacciata proprio per le politiche gialloverdi) sia per ragioni esterne all’Italia.

Ci sono però altri due elementi che giocano a sfavore della dichiarazione di Salvini.

Il primo elemento è che la tendenza al ribasso è stata momentaneamente interrotta dalla crisi di governo causata dalla stessa Lega lo scorso agosto. Durante questo periodo il rendimento dei titoli di Stato e lo spread sono cresciuti in poco tempo, per poi scendere di nuovo con l’annuncio della nascita del nuovo governo Pd-M5s.

Il secondo elemento è che il costo di finanziamento del debito pubblico (quindi gli interessi che lo Stato deve pagare agli investitori) è aumentato nella seconda parte del 2018, proprio a seguito della nascita del governo Conte I, con un peso sulle casse dello Stato per i prossimi anni.

In conclusione

Sia Salvini che Gualtieri commettono alcuni errori nelle loro dichiarazioni. È vero che alla fine del 2019 l’Italia pagherà circa 3,3 miliardi di euro (e non 4, come dice Salvini) in meno di spesa di interessi sul debito. Cifra che scenderà – ma è comunque una stima – a circa 5,5 miliardi (e non 6, come dice Gualtieri) a fine 2020.

In generale, entrambi i politici esagerano i meriti dei loro esecutivi.

Salvini si dimentica di dire che il costo del debito pubblico era aumentato nella seconda parte del 2018, mentre Gualtieri, nell’intervista al Corriere, sbaglia nel dire che il calo dello spread è limitato all’azione del «nuovo governo».

È vero però che, nella conferenza stampa di presentazione del Def, il neoministro dell’Economia aveva riconosciuto che il calo del costo degli interessi sul debito era già iniziato mesi fa, con Conte a Palazzo Chigi sostenuto da Lega e Movimento 5 stelle.