Il 4 ottobre la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, in un’intervista con La Stampa, ha parlato della situazione delle scuole italiane dopo la riapertura.

Abbiamo sottoposto quattro affermazioni di Azzolina al nostro fact-checking. Tre risultano corrette e una invece sbagliata. Andiamo a vederle una per una.

I numeri dei contagi nelle scuole

«I contagi registrati a scuola sono molto bassi: si parla dello zero virgola»

La dichiarazione di Azzolina è stata confermata il 5 ottobre dai dati ufficiali del ministero dell’Istruzione. Nelle prime due settimane di lezioni, dal 14 al 26 settembre, il Miur ha monitorato la situazione nelle scuole, «con la collaborazione dei dirigenti scolastici». Secondo i primi risultati, «il personale docente che risulta contagiato è lo 0,047 per cento del totale (349 casi di positività), si parla dello 0,059 per cento (116 casi) per il personale non docente, per gli studenti la percentuale è dello 0,021 per cento (1.492 casi)».

La percentuale dei contagi è ottenuta dal rapporto con il totale degli studenti nelle scuole pubbliche italiane. Secondo il Ministero dell’Istruzione, le studentesse e gli studenti iscritti all’anno scolastico 2020/2021 sono circa 8,3 milioni, di cui 7,5 milioni nelle scuole statali e 860 mila nelle paritarie. I 1.492 casi raccolti dal Miur corrispondono di fatto allo 0,020% della popolazione scolastica, senza considerare le scuole private (7,5 milioni, come abbiamo detto).

La ministra Azzolina ha quindi sostanzialmente ragione a dire che si tratta di numeri ancora «molto bassi, dello zero virgola». Vale tuttavia la pena notare che questi dati non ci dicono se siano state contagiate altre persone al di fuori degli edifici scolastici, per esempio i genitori, e quante persone siano finite in isolamento per il contatto stretto con uno dei positivi individuati in ambito scolastico.

Chi decide se chiudere in caso di contagio

«Sono i Comuni o le Asl a decidere se chiudere un istituto»

La ministra Azzolina riporta un’informazione corretta. Nella sezione “Domande e risposte” del ministero dell’Istruzione, al quesito «Chi prescrive la quarantena agli studenti di una classe e/o la chiusura di una scuola o parte di essa?», si legge che, nel caso di alunni o lavoratori positivi al Covid-19 all’interno di una struttura scolastica sarà «il Dipartimento di prevenzione» a valutare l’obbligo di quarantena per gli studenti della stessa classe e per il personale scolastico in stretto contatto con i contagiati e la necessità di «chiudere una scuola o una parte di essa». I Dipartimenti di prevenzione (DdP) sono strutture operative delle autorità sanitarie locali incaricate, tra le altre cose, del controllo delle malattie infettive.

La risposta riassume di fatto quanto stabilito dal documento ministeriale Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia del 21 agosto 2020: «La chiusura di una scuola o parte della stessa dovrà essere valutata dal DdP in base al numero di casi confermati e di eventuali cluster e del livello di circolazione del virus all’interno della comunità».

Anche i sindaci, a prescindere dalla pandemia, in caso di emergenza di varia natura possono poi chiudere le scuole emanando un’apposita ordinanza, sulla base di due articoli del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Il primo è l’articolo 50, secondo cui «in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco». Il secondo, quasi speculare, è l’articolo 54, il quale stabilisce che: «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini». Fra questi provvedimenti può rientrare la chiusura delle scuole.

Quando tenere la mascherina in classe

«Se c’è il metro di distanza, la mascherina al banco si può tenere abbassata»

Anche qui, l’affermazione della ministra è sostanzialmente corretta. Secondo le indicazioni del Comitato tecnico scientifico (Cts), riportate in un verbale del 31 agosto 2020, «nell’ambito della scuola primaria, per favorire l’apprendimento e lo sviluppo relazionale, la mascherina può essere rimossa in condizione di staticità (i.e. Bambini seduti al banco) con il rispetto della distanza di almeno metro e l’assenza di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (es.canto)». La raccomandazione è ripetuta negli stessi termini per la scuola secondaria.

È dunque vero, come dice Azzolina, che gli studenti seduti ai propri banchi e distanziati almeno un metro – come tra l’altro avevamo già spiegato in passato – non sono tenuti a indossare la mascherina (salvo situazioni particolari, come una lezione di canto).

Il tasso occupazionale di chi si diploma in un istituto tecnico

«Il 90 per cento di chi li frequenta [gli istituti tecnici, ndr] trova un’occupazione dopo il diploma»

Parlando delle risorse del Next Generation Ue – il piano europeo per stimolare la ripresa economica dopo la crisi causata dalla pandemia – Azzolina ha sostenuto che in futuro sia necessario «valorizzare gli istituti tecnici» perché «vengono snobbati» ma il «90 per cento di chi li frequenta trova un lavoro dopo il diploma». Al di là del giudizio sulla necessità o meno di agire sugli istituti tecnici, verifichiamo la percentuale citata dalla ministra.

AlmaDiploma, associazione che raccoglie dati sulle scuole secondarie italiane, conduce ogni anno un’indagine sulla situazione dei diplomati a un anno e a tre anni dalla conclusione degli studi.

Secondo il rapporto 2020, sulla base di dati Istat, il tasso occupazionale fra chi ha frequentato un istituto tecnico è del48,8 per cento a un anno dal diploma e al 59,8 per cento a tre anni dal diploma. La percentuale fornita da Azzolina, il 90 per cento, è quindi errata.

Azzolina ha forse fatto confusione con gli istituti tecnici superiori (Its) i cui diplomati nel 2017, secondo il Monitoraggio nazionale 2019 di Indire – l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa –, hanno trovato un’occupazione entro un anno dalla conclusione degli studi nell’80 per cento dei casi (una percentuale comunque inferiore a quella riferita dalla ministra).

Questi Its però sono molto diversi dagli istituti tecnici: se i secondi sono scuole secondarie, i primi, come spiega il Miur, fanno parte della «formazione terziaria professionalizzante non universitaria». Per accedere a un Its, insomma, è necessario aver prima ottenuto un diploma di scuola secondaria superiore (o un diploma quadriennale di istruzione e formazione professionale, a cui va però aggiunto un corso annuale di Istruzione e formazione tecnica superiore).

Dunque l’affermazione di Azzolina, che fa riferimento a chi «trova un’occupazione dopo il diploma», resta sbagliata.

In conclusione

Abbiamo verificato quattro dichiarazioni della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina in un’intervista del 4 ottobre a La Stampa: tre risultano corrette e una errata. Partiamo da quelle corrette.

Secondo Azzolina i contagi nelle scuole sono ancora molto bassi, ovvero «si parla dello zero virgola». Le parole della ministra trovano conferma nei dati forniti dal ministero dell’Istruzione il 5 ottobre. Nelle due settimane successive alla riapertura delle scuole, dal 14 al 27 settembre, i contagi all’interno degli istituti sono stati, tra studenti, insegnanti e personale non docente, inferiori allo 0,1 per cento.

Azzolina ha ragione anche sulla catena di comando per la chiusura delle scuole: le linee guide del ministero dell’Istruzione prescrivono che la decisione spetti ai Dipartimenti di prevenzione, strutture interne alle autorità sanitarie locali. Allo stesso tempo, questo potere rimane anche in mano ai sindaci, autorizzati a emanare ordinanze straordinarie in caso di emergenza sanitaria.

In base delle indicazioni del Cts, è poi corretto dire che gli studenti seduti ai propri banchi, se distanziati almeno un metro, non siano tenuti a indossare la mascherina, a meno che non ci siano situazioni di particolare rischio di diffusione aerea del virus (ad esempio una lezione di canto).

Veniamo ora allo sbaglio di Azzolina.

La ministra sostiene infine che il 90 per cento di chi frequenta un istituto tecnico trovi lavoro dopo la conclusione del percorso scolastico. Questo dato è errato. Secondo l’elaborazione di AlmaDiploma sulla base di dati Istat, il tasso occupazionale di chi ha un diploma tecnico è circa di circa il 50 per cento a un anno e al 60 per cento a tre anni dal termine degli studi. Azzolina, come abbiamo scritto, si è forse confusa con gli Istituti tecnici superiori (Its), che però sono parte dell’educazione terziaria post-diploma e non di quella secondaria (e anche relativamente ad essi la percentuale del 90 per cento sarebbe comunque esagerata, seppure in misura minore).