Prima di capire che cosa dicono i numeri, ripassiamo brevemente che cos’è l’accordo di Malta (
chiamato anche “patto di Malta”). Questo patto
è stato siglato a La Valletta il 23 settembre 2019 – quando da pochi giorni era in carica in Italia il secondo governo Conte – dai ministri dell’Interno di Italia, Germania, Francia e Malta. L’intesa era una dichiarazione comune di intenti per introdurre un meccanismo temporaneo di ricollocamento dei richiedenti asilo (un meccanismo simile
è stato in vigore nell’Ue tra il 2015 e il 2017) e superare il metodo applicato dall’ex ministro Matteo Salvini, che concedeva gli sbarchi alle navi Ong solo dopo aver trattato i ricollocamenti con i vari Paesi Ue.
L’accordo
prevedeva la ridistribuzione, entro quattro settimane, dei migranti sbarcati in Italia e a Malta e salvati dalle navi militari o delle Ong, ma non includeva quelli arrivati autonomamente con altre imbarcazioni. All’epoca non furono introdotte quote precise di redistribuzione tra i Paesi perché si sperava che altri Stati avrebbero aderito di lì a breve all’iniziativa.
In realtà le cose
non andarono come sperato: nel giro di pochi giorni l’accordo fu accolto in maniera positiva da pochi Stati membri, tra cui Portogallo, Irlanda e Lussemburgo.
Nei mesi successivi alla firma dell’intesa
sono stati attivati alcuni voli per ricollocare i migranti sbarcati dalle navi Ong verso altri Paesi, come la Germania. Ma nel 2020 l’emergenza coronavirus ha di fatto bloccato un processo già di per sé precario, che
è ripreso a partire dallo scorso agosto.
A livello europeo la situazione non è cambiata rispetto a quella di due anni fa. «Siamo in una situazione di stallo, molti Stati membri si oppongono ad ogni forma di
relocation obbligatoria»,
ha detto la stessa Lamorgese nell’intervista a
La Repubblica del 24 marzo.
Ma di quanti ricollocamenti stiamo parlando da quando è stato firmato l’accordo? La cifra è cruciale per verificare la dichiarazione di Lamorgese.