La carica dei 208: dati alla mano, così i tecnici sono saliti al potere dell’Italia

Ansa
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I “governi tecnici” sono una particolarità tutta italiana, almeno per quanto riguarda i grandi Paesi europei. Germania, Francia, Spagna e Regno Unito non hanno infatti mai avuto esecutivi composti o guidati per lo più da non politici. Se si considera l’Ue nel suo complesso, dal 1945 al 2021 i governi tecnici sono stati invece una trentina: non solo in Italia, ma anche in stati come Romania, Grecia e Repubblica Ceca, solo per citarne alcuni.

Definire chi è un “tecnico”, come abbiamo spiegato in passato, non è però semplice. Tecnici sono, per esempio, quelle persone che ricoprono incarichi di governo senza appartenere a un partito politico e in virtù di competenze specifiche legate all’incarico. A questi si contrappongono, almeno nella vulgata giornalistica, i “politici”, sebbene la storia italiana dimostri come questa distinzione sia più sfumata.

Al di là di questa osservazione, chi e quanti sono i tecnici che hanno fatto parte dei governi come ministri o sottosegretari? Com’è cambiata la rappresentanza dei tecnici nei governi della Repubblica italiana?

Abbiamo analizzato che cosa dicono i numeri e, dal dopoguerra ad oggi, 208 incarichi di governo – considerando ministri e sottosegretari – sono stati occupati da tecnici (Grafico 1).
Grafico 1. Ministri e sottosegretari tecnici e politici all'insediamento dei governi – Fonte: I governi italiani ai raggi X

Che cosa è successo durante la prima Repubblica

I governi della prima Repubblica sono stati composti prevalentemente da membri di partiti politici. Ciò non escludeva però che i partiti reclutassero tra le proprie file figure indipendenti di riconosciute competenze tecniche. Ne sono esempi, tra gli altri, i democristiani Guido Carli e Beniamino Andreatta o i socialisti Giorgio Ruffolo e Giuliano Amato.

I primi tecnici

A questi tecnici prestati ai partiti si affiancarono tuttavia anche tecnici puri, ossia figure indipendenti talvolta vicine ai partiti politici pur senza farne parte in maniera organica. Nei primi anni della Repubblica, per esempio, entrarono a far parte del governo come tecnici gli economisti Gustavo Del Vecchio e Costantino Bresciani Turroni.

L’emblema dei tecnici in politica in quegli anni fu però Cesare Merzagora. Due volte ministro per il Commercio Estero e presidente del Senato tra il 1953 e il 1967, Merzagora venne eletto come indipendente nelle liste della Democrazia cristiana (Dc) pur senza mai iscriversi al partito e al gruppo parlamentare. Negli anni Sessanta, l’opzione di un governo a guida Merzagora emerse come soluzione alle guerre tra correnti nella Dc.

La seconda generazione

Negli anni Settanta l’opzione dei tecnici diventò sempre più accattivante anche nel dibattito politico. Sono gli anni in cui, riporta il giornalista Filippo Ceccarelli, diversi esponenti politici avanzano l’idea di un governo «al di sopra delle parti», anche detto «degli onesti e dei capaci», secondo la formulazione del segretario del Partito comunista italiano Enrico Berlinguer.

E alcuni di questi entrarono effettivamente al governo, a volte eletti come indipendenti nelle file della Dc. Fu il caso dei professori Francesco Paolo BonifacioGaetano StammatiRomano ProdiRinaldo Ossola e Siro Lombardini, che ricoprirono vari incarichi di governo alla fine degli anni Settanta.

Bettino Craxi aprirà poi le porte del Partito socialista italiano (Psi) a diversi tecnici prestati alla politica, come l’economista Franco Reviglio e il giurista Antonio La Pergola.

Il governo Fanfani VI

Il primo tentativo di formare un governo tecnico fu quello messo in atto da Amintore Fanfani nel 1987, quando nominò sei ministri indipendenti in un governo altrimenti composto da soli democristiani. I tecnici chiamati al governo includevano, tra gli altri, l’ex presidente della Corte Costituzionale Livio Paladin, il segretario generale del Senato Gaetano Gifuni e il direttore generale del Tesoro Mario Sarcinelli (oltre all’affascinante figura dell’entomologo Mario Pavan, di cui avevamo già parlato).

Pur nato con l’aura di “super partes” e con lo scopo di portare il Paese alle elezioni, il governo non riuscì a ottenere la fiducia alla Camera (a mancare furono i voti della stessa Dc), costringendo Fanfani a presentarsi dimissionario al Quirinale il pomeriggio stesso.

La fine della prima Repubblica e l’era dei governi tecnici

A partire dal primo governo Amato (1992-1993) i tecnici sono diventati una componente organica di tutti gli esecutivi successivi. Alcuni di questi governi saranno infatti guidati o composti esclusivamente da membri non politici.

Il primo presidente del Consiglio tecnico

Nel 1993 il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi diventa il primo presidente tecnico del Consiglio. Ciampi non solo non era espressione di alcun partito politico, oltre a non essere parlamentare, ma di lui non si conoscevano neppure le simpatie politiche (a eccezione di una militanza giovanile nel Partito d’azione).

Di quel governo, oltre a Ciampi, facevano parte altri sette ministri tecnici: gli economisti Paolo BarattaPiero BarucciPaolo Savona; l’ex deputato indipendente del Partito comunista Luigi Spaventa; i giuristi Sabino Cassese e Giovanni Conso; e l’intellettuale di area repubblicana Alberto Ronchey.

In seguito alle dimissioni di quattro ministri, dopo il voto contrario della Camera all’autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi, entreranno a far parte del governo altri quattro tecnici considerati vicini al presidente del Consiglio.

I governi tecnici

Dopo la breve parentesi del primo governo Berlusconi (1994-1995) spetterà al ministro del Tesoro uscente Lamberto Dini formare un nuovo governo, questa volta interamente composto da tecnici. Ai tanti docenti universitari dell’esecutivo si affiancavano anche diplomatici, magistrati, prefetti e altri funzionari pubblici – classe di cui lo stesso Dini, già direttore generale della Banca d’Italia, era espressione.

Quindici anni più tardi, il governo Monti sarà il secondo esecutivo interamente composto da ministri tecnici dopo quello guidato da Lamberto Dini. Contrariamente a Ciampi, Dini e Amato – presidenti del Consiglio non parlamentari – Mario Monti era invece stato nominato senatore a vita da Napolitano pochi giorni prima di ricevere l’incarico di governo. Un’altra differenza con il governo Dini fu la scelta di nominare alcuni sottosegretari politici, che suscitò qualche critica tra i partiti.

C’è chi ci ha preso gusto

Non sono rari i casi in cui i tecnici si sono affezionati alla politica. Molti dei ministri del governo Dini entreranno successivamente in politica, aderendo a Rinnovamento italiano, il partito centrista fondato da Dini nel 1996, o a Forza Italia (questo fu il caso dei ministri Filippo Mancuso e Franco Frattini e del sottosegretario Giuseppe Vegas).

Anche Mario Monti dichiarerà l’intenzione di presentarsi come candidato premier alle elezioni del 2013 alla guida di Scelta Civica, partito fondato assieme ad altri ministri del suo governo.

Tecnici sì, ma anche politici

A partire dagli anni Novanta ai tecnici sono stati affidati numerosi incarichi di rilievo, fino ad arrivare all’attuale legislatura, dove tutti e tre gli esecutivi sono finora stati guidati da un non parlamentare, scelto direttamente o approvato dal presidente della Repubblica: Giuseppe Conte e Mario Draghi, anche se il primo è accostabile come schieramento politico al Movimento 5 stelle.

Negli ultimi anni al Ministero dell’Economia e delle Finanze sono finiti alcuni autorevoli tecnici come Domenico SiniscalcoTommaso Padoa SchioppaVittorio Grilli e, più recentemente, Giovanni Tria e Daniele Franco.

Prima di loro fu il turno di Carlo Azeglio Ciampi e Giuliano Amato, quest’ultimo un tecnico prestato al centrosinistra con un passato nel Psi. Dell’attuale governo Draghi fanno parte, oltre al presidente del Consiglio, otto ministri e tre sottosegretari non affiliati ad alcun partito.

Con il sempre più frequente ricorso a governi di coalizione, e dunque a lunghe trattative tra i partiti, il ruolo dei tecnici è cresciuto sensibilmente. Questo tuttavia pone alcuni problemi di natura politica. Per fare solo un esempio, secondo un editoriale recente del politologo Salvatore Vassallo pubblicato su Domani il ricorso ai governi tecnici accresce il ruolo politico del Quirinale e contribuisce a deresponsabilizzare i partiti politici di fronte agli elettori.
Grafico 2. Ministri e sottosegretari tecnici nei governi della Repubblica – Fonte: I governi italiani ai raggi X

In conclusione

Tra i grandi Paesi europei, l’Italia è l’unica ad aver avuto governi tecnici, che però sono stati nominati anche in altri Stati del continente, in particolare nell’Europa centro-orientale.

Fino ad oggi 208 incarichi di governo – considerando oltre ai ministri anche i sottosegretari – sono stati ricoperti da tecnici.

Durante la prima Repubblica i tecnici hanno sporadicamente occupato incarichi di governo, ma dall’inizio degli anni Novanta sono saliti alla ribalta nella guida del nostro Paese, prima con i governi Ciampi e Dini, poi con Monti e Draghi.

Per alcune figure la distinzione “tecnico-politico” è sfumata: ci sono stati tecnici saliti al potere con collegamenti a specifici partiti, o tecnici che dopo essere stati al governo ci hanno preso gusto, per così dire, presentandosi poi alle elezioni.




Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti per fotografare, dati alla mano, l’evoluzione dei governi italiani dal 1946 ad oggi. Le statistiche utilizzate provengono dal progetto “I governi italiani ai raggi X”, sviluppato da Il Sole 24 Ore e Pagella Politica, sulle elaborazioni di Andrea Carboni, ricercatore alla University of Sussex.

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