Il 5 settembre 2019, si è svolta a Palazzo Chigi la cerimonia di insediamento del governo Conte II, sostenuto dalla nuova maggioranza formata Movimento 5 stelle, Partito democratico e Liberi e Uguali.
Tra i 21 ministri scelti dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al dicastero dell’Economia c’è Roberto Gualtieri, dal 2009 europarlamentare del Partito democratico.
«Per la prima volta nella storia della Repubblica un comunista arriva alla scrivania di Quintino Sella», scrive Il Giornale in un articolodel 5 settembre. Sulla stessa linea anche Libero, che il 4 settembre ha pubblicato un articolo online in cui si legge: «Siamo a posto: europarlamentare del Pd, vicinissimo ai poteri forti di Bruxelles, storico con profilo tecnico e… comunista». Altri siti di notizie – come Open – definiscono Gualtieri di «formazione marxista».
È davvero così? Si può dire che Gualtieri sia «un comunista» o «un marxista»? Con ogni evidenza, Gualtieri non intende accentrare i mezzi di produzione nelle mani dello Stato, come prevede la dottrina del filosofo tedesco.
Ma, al di là di questo, c’è almeno un fondo di verità nell’etichetta di marxismo che gli viene rivolta? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza su questa storia, ricostruendo la vita politica e accademica del neoministro.
Il video di Bella Ciao
Dalla nomina di Gualtieri a ministro, è iniziato a circolare molto sui social e sui siti di notizie un video del politico del Pd mentre suona la canzone Bella Ciao con la chitarra, in quello che sembra essere uno studio radiofonico.
Il filmato risale al 16 novembre 2018 nel programma Alta Fedeltà, una web talk in cui gli eurodeputati del Pd si raccontano attraverso una playlist di canzoni, libri o spezzoni di film.
Il video che sta circolando dura poco più di un minuto, ed è utilizzato da alcuni quotidiani (come Libero) a sostegno dell’argomentazione che Gualtieri sia un comunista.
La puntata di Alta Fedeltà in questione (qui visibile per la sua intera durata) è lunga una mezz’ora, e la performance artistica di Gualtieri arriva verso la fine della puntata (min. 22:00). «Bella Ciao è una canzone stupenda: è italiana, europea e mondiale. La conoscono tutti», commenta Gualtieri nel video. «È un patrimonio globale ed è stata cantata dalle donne che marciavano contro Bolsonaro, usata ovunque».
A fine ottobre 2018, infatti, il candidato di destra Jair Bolsonaro è stato eletto presidente del Brasile, scatenando proteste in tutto il Paese. A luglio dello stesso anno, Gualtieri si era invece recato nel carcere di Curitiba, per mostrare il suo sostegno all’ex presidente brasiliano Lula, detenuto con l’accusa di corruzione.
Ad Alta Fedeltà, Gualtieri ha poi aggiunto che Bella Ciao (suonata per l’occasione con un arrangiamento da bossanova) «ci rammenta l’universalità dei valori da cui è nata la nostra democrazia, la nostra Repubblica, che sono un patrimonio italiano, europeo e mondiale».
Nessun riferimento esplicito al marxismo e al comunismo, insomma. Bisogna aggiungere che Bella Ciao è considerato un canto dell’intero movimento partigiano e della Resistenza, e non della sola componente comunista (come invece, per esempio, Fischia il vento).
Ma che cosa ci racconta invece la vita del politico del Pd?
L’attività accademica
Come si legge nel suo curriculum (aggiornato alle ultime elezioni europee di maggio 2019), dal 2000 al 2012 Gualtieri è stato ricercatore in Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, dove attualmente è professore associato (in aspettativa).
Il neoministro si è laureato in Lettere e Filosofia nel 1992 e ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienze storiche, con un tesi dal titolo Commercio estero e sviluppo. La politica commerciale e valutaria italiana e l’integrazione europea.
È stato allievo di due famosi storici marxisti italiani: Franco De Felice e Giuliano Procacci. Quest’ultimo, come scrive lo stesso Gualtieri in una sua breve biografia, «fece parte della vivace generazione di storici di orientamento marxista che, negli anni Cinquanta e Sessanta, ispirarono l’attività della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e della rivista dell’Istituto Gramsci».
Della Fondazione Istituto Gramsci (di cui oggi è membro del Comitato dei garanti), Gualtieri è stato vicedirettore tra il 2011 e il 2016. Come spiega il suo sito ufficiale, questa Fondazione «raccoglie la documentazione relativa all’opera e al pensiero di Antonio Gramsci» e dà «impulso alle ricerche sulla storia del movimento operaio italiano e internazionale». Dal 1994, la Fondazione Gramsci conserva l’Archivio storico del Pci, dal 1921 (anno della costituzione) al 1991 (anno dello scioglimento).
Proprio tra le pubblicazioni della Fondazione, ce ne sono alcune di Gualtieri, tra cui una intitolata Le relazioni internazionali, Marx e la “Filosofia della praxis” in Gramsci, che dimostra l’interesse di ricerca del neoministro sul filosofo ed economista tedesco dell’Ottocento.
Tra gli altri scritti più importanti, segnaliamo anche che Gualtieri ha pubblicato con Carocci Editore nel 2006 il libro L’Italia dal 1943 al 1992: Dc e Pci nella storia della Repubblica e nel 2001 Il Pci nell’Italia repubblicana.
Più che su Marx, le pubblicazioni di Gualtieri si concentrano sulla storia del pensiero comunista in Italia, movimento in cui ha mosso i primi passi politici, per così dire, il neoministro.
L’esperienza “comunista”
Gualtieri «è sempre stato appassionato di politica, anche se l’ha fatta a livello universitario», ha spiegato il conduttore di Alta Fedeltà nella puntata di novembre 2018, introducendo in trasmissione il neoministro dell’Economia.
«È stato addirittura il segretario della Lega dei giovani studenti universitari della Fgci», ha sottolineato il conduttore di Alta Fedeltà.
La Federazione giovanile comunista italiana è stata un’organizzazione del Partito comunista italiana (Pci), fondata nel 1950 e scioltasi alla fine del 1990. Nel 1985 – anno in cui, secondo fonti stampa, Gualtieri prese per la prima volta la tessera della Federazione – in un congresso tenutosi a Napoli, la Fgci decise una sua riorganizzazione interna e una almeno parziale autonomia rispetto al Pci.
«Gualtieri proviene dall’ultima generazione dei quadri della Fgci, la stessa dell’attuale segretario Nicola Zingaretti, ed è l’espressione di quella cultura del Pci che, dalla fine degli anni Ottanta, ha cercato di mantenere un equilibrio difficile tra l’ideale europeo del manifesto di Ventotene, la tecnocrazia di Bruxelles e l’ordoliberalismo tedesco dominante», ha scritto su il quotidiano comunista il manifesto del 5 settembre scorso il giornalista e filosofo Roberto Ciccarelli.
In che modo Gualtieri è riuscito a mantenere questo «equilibrio difficile»?
L’esperienza da europarlamentare
Nel 2009, Gualtieri è stato eletto per la prima volta al Parlamento europeo (rieletto poi nel 2014 e nel 2019), dove ha poi ricoperto ruoli di primo piano, venendo definito quest’anno dal centro studi Vote Watch Europe come il terzo politico più influente dell’istituzione comunitaria.
La battaglia per un Patto di stabilità più flessibile
Nel suo secondo mandato, Gualtieri è stato presidente della Commissione per i problemi economici e monetari (Econ) del Parlamento Europeo, dove è stato tra i principali promotori della modifica del Patto di stabilità in direzione di una sua maggior flessibilità.
Vediamo i dettagli.
Come tutti gli Stati membri, l’Italia deve rispettare le norme comunitarie per garantire la stabilità finanziaria dell’Ue. Secondo il Patto di stabilità, ogni Paese ha un obiettivo di medio termine (Omt) da rispettare per quanto riguarda il saldo di bilancio strutturale, ossia tenendo conto dei cicli economici di crescita e recessione. Secondo le regole, chi non rispetta il proprio Omt deve ridurre il proprio disavanzo (o deficit) strutturale di 0,5 punti percentuali l’anno.
Dal 2012 l’Omt del nostro Paese è identificato con il pareggio di bilancio (nel medio termine le entrate e le uscite strutturali dovranno pareggiarsi), ma ogni anno il governo italiano tratta con l’Ue per concordare un piano di avvicinamento all’Omt più “flessibile”.
A gennaio 2015, la Commissione Ue ha infatti spiegato che i Paesi Ue possono “spendere di più” rispetto a quanto previsto, per deviare dal percorso di raggiungimento del loro Omt. E questo è avvenuto grazie anche all’operato della Commissione Econ, di cui Gualtieri era presidente in quel periodo.
«Sono orgoglioso della battaglia sulla flessibilità», ha detto il neoministro a novembre nella trasmissione Alta Fedeltà. «Abbiamo cambiato in concreto le regole, rendendole più flessibili, superando una stagione di austerità».
La regolamentazione dei mercati finanziari
L’operato del neoministro in Europa si è concentrato anche sulle regolamentazioni dei mercati finanziari.
«È necessario rimettere delle regole, non perché la finanza sia un nemico di per sé, ma perché la finanza deve essere orientata alla crescita sana dell’economia, e non alla ricerca di un profitto speculativo, che spesso si avvita su se stesso e produce delle bolle», ha commentato l’europarlamentare ad Alta Fedeltà.
La nascita del Partito democratico
Dal 2008 Gualtieri è membro della direzione nazionale del Pd, partito a cui ha attivamente collaborato per la sua fondazione. Tra il 2001 e il 2006, è stato membro della segreteria di Roma dei Democratici di Sinistra, mentre tra il 2009 e il 2014 ha fatto parte del comitato di redazione di Italianieuropei, la fondazione di cultura politica dell’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema.
Nel 2006, Gualtieri è stato tra i cosiddetti “12 saggi” che hanno redatto il manifesto del nascituro Partito democratico. Nella relazione Il profilo culturale e programmatico del Partito democratico del 6 ottobre 2006 a Orvieto, Gualtieri ha motivato le ragioni della nascita di un nuovo partito.
Di fronte ai mutamenti dello scorso secolo, scriveva Gualtieri, «tutte le culture politiche del Novecento sono impegnate in un profondo ripensamento». Nel discorso, Marx e il comunismo non vengono menzionati esplicitamente. «Se vorrà essere un organismo vitale e duraturo, il Partito democratico dovrà infatti affondare le sue radici in una nuova cultura politica», aggiungeva Gualtieri.
Ma in che senso “nuova”? Accettando, per esempio, la globalizzazione e le sue conseguenze, come faceva allora il centro-sinistra di governo europeo, di ispirazione socialista o socialdemocratica.
«Il terreno di incontro tra culture politiche differenti […] è una percezione della globalizzazione che si fonda sul riconoscimento del destino comune del genere umano nell’epoca dell’interdipendenza e che per questo è profondamente diversa da quella che caratterizza le forze conservatrici», scriveva Gualtieri nella relazione. «È una visione che riconosce e valorizza le straordinarie opportunità che derivano dalla capacità della mondializzazione del capitalismo di favorire lo sviluppo delle forze produttive».
In conclusione
Il nuovo ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è stato definito da alcuni quotidiani e sui social come un «comunista» o «marxista». In senso stretto, ovviamente non è così: Gualtieri non vuole, per esempio, collettivizzare i mezzi di produzione.
A riprova della descrizione di «comunista», però, è iniziato a circolare un video in cui Gualtieri suona la canzone Bella Ciao. Nel filmato integrale il politico del Pd sosteneva, parlando delle proteste in Brasile contro Bolsonaro, che si trattasse di una canzone universale – simbolo del movimento partigiano, e non comunista – slegandola da giudizi politici sull’Italia o sul marxismo e il comunismo.
È vero però che nella sua carriera da accademico, Gualtieri – allievo di due storici marxisti – si è occupato di Marx e comunismo. In alcune sue pubblicazioni, ha scritto sia del pensiero filosofico del pensatore tedesco, in relazione a quello di Gramsci, sia della storia del Pci.
A livello politico, però, Gualtieri ha fatto parte della Fgci e successivamente è stato uno dei fondatori del Pd. Il Partito Democratico, come inteso allora dal neoministro, doveva andare oltre «tutte le culture politiche del Novecento», con apprezzamenti al capitalismo e alla globalizzazione.
Gualtieri è stato inoltre per diversi anni uno degli europarlamentari più influenti, ricoprendo un ruolo di primo piano nella modifica delle regole comunitarie sulla flessibilità, e non per la loro totale cancellazione.
Insomma, Gualtieri non è sicuramente oggi un marxista o comunista, anche se in passato e nella sua carriera accademica si è occupato sia del pensiero del filosofo tedesco sia del Pci, e in gioventù è stato membro della Fgci.
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