Dopo gli scontri di Roma del 9 ottobre, dove la manifestazione contro il green pass è sfociata in violenze e devastazioni, il Partito democratico ha presentato l’11 ottobre una mozione per chiedere lo scioglimento di Forza nuova, l’organizzazione di estrema destra accusata di essere uno dei responsabili delle proteste e i cui leader sono stati arrestati la notte del 10 ottobre con le accuse di violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Lo stesso giorno hanno presentato una mozione simile anche Italia viva e il Partito socialista italiano.

In entrambe le mozioni, Forza nuova è definita come «un’organizzazione politica che si ispira al fascismo», che come tale viola i principi della «Costituzione antifascista nata nel 1948».

Al di là delle valutazioni politiche sulla vicenda, quali sono le regole che possono giustificare lo scioglimento di un partito in Italia? Ci sono stati dei casi del genere in passato? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza sul tema.

Che cosa dice la legge

Come accennato in precedenza, la mozione di scioglimento avanzata dal Pd fa riferimento prima di tutto alla Costituzione, nello specifico al titolo XII delle “disposizioni transitorie e finali” che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

Tale disposizione è stata attuata nel 1952 con la cosiddetta “legge Scelba”, dal nome del ministro dell’Interno autore del testo, Mario Scelba. In base a questa legge, la «riorganizzazione del partito fascista» si ha ogni volta che «un’associazione persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista». A questo proposito, la legge Scelba ha introdotto il reato di apologia del fascismo, che punisce con la reclusione fino a due anni chiunque «pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del partito fascista».

L’articolo 3 della suddetta legge stabilisce inoltre che «qualora con sentenza risulti accertata la riorganizzazione del partito fascista, il ministro dell’Interno ordina lo scioglimento e la confisca dei beni e del movimento». Nei casi straordinari però, definiti «di necessità e urgenza», il governo «adotta il provvedimento di scioglimento mediante decreto-legge».

La manifestazione violenta del 9 ottobre potrebbe quindi rientrare in quelle circostanze straordinarie in base alle quali il governo potrebbe direttamente sciogliere Forza nuova, con un decreto, senza attendere la sentenza di un giudice. Ma ci sarebbero basi per una decisione di questo tipo?

Il caso di Forza nuova

Nell’immaginario politico di Forza nuova e dei suoi militanti è spesso presente il rimando al ventennio fascista, esibito nei cortei con cori e saluti romani. Questo movimento non è comunque l’unico in Italia che presenta chiari riferimenti neofascisti e neonazisti. Nel caso in cui la mozione dovesse essere accolta, provvedimenti simili potrebbero essere presi anche nei confronti di altri movimenti e partiti.

Il motivo per cui tali gruppi politici non sono stati, almeno finora, oggetto dell’azione legislativa è perché i continui rimandi e rievocazioni al ventennio da parte dei partiti neofascisti non rappresentano un esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Hanno fatto giurisprudenza in questo senso due sentenze della Corte Costituzionale del 1957 e 1958, che stabilivano che «l’apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista». Quindi, in parole povere, fare il saluto romano (o simili) non è un reato se non si inserisce nel contesto di un effettivo tentativo di ricostituzione di un partito fascista.

Anche l’articolo 49, che sancisce il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti, impone la tutela di questi movimenti, che infatti possono regolarmente presentarsi alle elezioni.

Già in passato il deputato Pd Emanuele Fiano aveva tentato di introdurre provvedimenti che limitassero l’azione di questi gruppi politici. Nel 2017 un suo progetto di legge proponeva di punire «chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti»: vietava quindi il saluto romano e la vendita di oggetti raffiguranti Mussolini o Hitler. La legge, giudicata «liberticida» dal Movimento 5 stelle, passò alla Camera ma rimase bloccata in Senato a causa della fine della legislatura.

La differenza sostanziale tra le passate accuse contro Forza nuova di incostituzionalità e quelle più recenti riguarda l’uso della violenza, che potrebbe rientrare tra le fattispecie di reato previste dalla legge Scelba. Come riportato da varie testate, diversi costituzionalisti hanno confermato che per i fatti del 9 ottobre, considerando l’uso della violenza per assaltare un sindacato un chiaro metodo fascista di lotta politica, ci siano gli estremi per stabilire il tentativo di «riorganizzazione del partito fascista» vietato per legge, e avviare quindi l’iter di scioglimento di Forza nuova.

I precedenti storici

L’eventuale scioglimento di Forza nuova, per quanto significativo, non sarebbe comunque il primo caso in cui lo Stato decreta la fine di un movimento politico per chiara ispirazione fascista. Nella storia repubblicana infatti è già successo tre volte.

Nel 1973, l’allora ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani decretò lo scioglimento di Ordine nuovo, un movimento politico dell’estrema destra extraparlamentare nato nel 1969 da parte di alcuni militanti del Centro studi ordine nuovo di Pino Rauti. Il giorno prima del provvedimento di Taviani, i dirigenti di Ordine nuovo erano stati condannati per riorganizzazione del partito fascista.

Tre anni dopo il secondo caso: nel 1976 il capo del Viminale Francesco Cossiga dispose lo scioglimento e la confisca dei beni di Avanguardia nazionale, organizzazione neofascista nata nel 1960. Il gruppo, accusato di aver partecipato nel 1970 al fallito colpo di Stato conosciuto come “Golpe Borghese”, fu condannato dal tribunale di Roma il 5 giugno 1976, in base alla legge Scelba.

Più recente la vicenda del Fronte nazionale, che il ministro Enzo Bianco fece sciogliere nel 2000 perché «avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione razziale».

Il Fronte nazionale era un movimento che si autodichiarava «razzista», fondato nel 1991 da Franco Freda, ex terrorista nero, e aveva tra i suoi obiettivi «la lotta serrata all’immigrazione extraeuropea». Indagati dalla procura di Verona, i dirigenti del partito furono condannati in base alla cosiddetta “legge Mancino” (dal nome del ministro dell’Interno che ne fu promotore) del 1993, che vieta «la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

In conclusione

L’11 ottobre sono state presentate in Parlamento due mozioni che chiedono lo scioglimento di Forza nuova sulla base di quanto previsto dalla legge Scelba del 1952, che vieta la «riorganizzazione del partito fascista».

Forza nuova, che già in passato è stata accusata di apologia del fascismo, durante i fatti di Roma del 9 ottobre avrebbe «utilizzato modalità antidemocratiche proprie del partito fascista, usando la violenza quale metodo di lotta politica».

Lo scioglimento di un movimento politico può avvenire su iniziativa del ministro dell’Interno in seguito a una sentenza della magistratura penale, oppure per azione diretta del governo attraverso un decreto, in caso di urgenza. Secondo diversi costituzionalisti, in seguito ai fatti di Roma il governo avrebbe gli elementi necessari per avviare l’iter di scioglimento del partito.