Questo articolo fa riferimento alla seconda stagione della serie televisiva La casa di carta e ne presuppone la visione. Chi non ha visto la serie potrà vedere rivelati elementi, anche importanti, della trama.

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Dal 19 luglio, è disponibile su Netflix la terza stagione della Casa di carta, la serie tv non in lingua inglese più vista nella storia della piattaforma di streaming americana.

Nel penultimo episodio della seconda stagione, il Professore – uno dei personaggi principali – pronuncia un monologo in cui critica l’operato della Banca centrale europea (Bce).

Quest’ultima è infatti accusata di aver creato dal nulla, negli anni della crisi, miliardi di euro per le banche e per i più ricchi. Il Professore cita numeri e cifre precise: centinaia e centinaia di miliardi che, dopo il 2011, sarebbero andati direttamente dalle banche a pochi privilegiati.

Ma quanto c’è di vero nel monologo del Professore?

In breve: c’è un fondo di verità, ma i numeri sono sballati e così diversi presupposti del ragionamento. Per scoprire il perché, bisogna capire che cosa vuol dire che la Bce “stampa moneta”, come lo fa in concreto, e quali sono state le misure prese per contrastare la crisi negli ultimi anni.

Il monologo del Professore

La serie tv racconta un tentativo di rapina dentro la zecca nazionale spagnola di Madrid. Qui, otto componenti di una banda vogliono stampare banconote per un valore di 2,4 miliardi di euro, per poi scappare con il bottino.

Il reclutatore e ideatore dell’ambizioso piano – interpretato dall’attore spagnolo Álvaro Morte – è un personaggio noto con il nome di “Professore”. Il suo monologo, nel penultimo episodio tra quelli usciti finora, è diventato molto celebre. In Turchia, alcuni commentatori sono arrivati a vederlo come un possibile incitamento alla ribellione, altri come il simbolo del pensiero populista contemporaneo.

La Bce è criticata per aver fatto, dopo il 2011, qualcosa di non troppo diverso da quanto fa la banda di ladri nella serie: creare soldi dal nulla e per i propri fini. La differenza è, ovviamente, l’assenza del rischio della galera per i responsabili dell’istituzione europea.

Il suggerimento, neppure troppo velato, è che i ladri compiano un’azione che, se è moralmente discutibile in principio, non è di fatto diversa da quella della Bce. Non solo: nella ricostruzione del Professore, la banda immette addirittura i soldi nell’«economia reale», invece di darli ai ricchi (come avrebbe fatto la Bce).

Il testo del discorso

«Ti hanno insegnato a distinguere il bene dal male, ma se quello che stiamo facendo noi lo fanno altri, ti sembra che sia giusto? Nel 2011, la Banca Centrale Europea ha creato dal nulla 171 mila milioni di euro. Dal nulla, proprio come stiamo facendo noi. Però alla grande. 185 mila nel 2012. 145 mila milioni di euro nel 2013.

Sai dove sono finiti tutti quei soldi? Alle banche, direttamente dalla zecca ai più ricchi. Qualcuno ha detto che la Banca Centrale Europea è una ladra? Iniezione di liquidità, l’hanno chiamata. E l’hanno tirata fuori dal nulla, Raquel, dal nulla.

Cos’è questa? Non è niente, Raquel, è carta. È carta, lo vedi? È carta. Io sto facendo un’iniezione di liquidità, ma non alla banca. La sto facendo qui, nell’economia reale, in questo gruppo di disgraziati perché è quello che siamo, Raquel, per scappare da tutto questo. Tu non vuoi scappare?»

Quali sono i punti più importanti del monologo?

Per giustificare il suo operato, il Professore si concentra dunque su tre punti.

Per prima cosa, dice che la Banca Centrale Europea ha creato dal nulla 171 miliardi di euro nel 2011, 185 nel 2012 e 145 nel 2013. La mente della rapina si chiede perché i membri della sua banda siano considerati dei ladri e la Bce no: qual è la differenza tra i due, se non una diversa valutazione morale e soggettiva di una stessa azione, ossia “stampare moneta”?

Poi, il Professore spiega dove sarebbero finiti tutti i soldi creati dalla Bce: «alle banche, direttamente dalla zecca ai più ricchi», con un’operazione chiamata «iniezione di liquidità». Anche lui vuole stampare e mettere in circolo contanti, ma non per le banche, bensì per «l’economia reale», ossia per la gente comune e non per la finanza.

Infine, il denaro – dice alla fine il Professore strappando una banconota da 50 euro – «non è niente, è carta», e crearlo per aiutare una banda di disgraziati non è diverso da quanto fatto dall’istituzione europea in passato.

Ma quanto c’è di vero in questo discorso? Vediamo come stanno davvero le cose.

Chi decide sulla stampa delle banconote in Europa?

Partiamo da come viene stampato il denaro all’interno dell’Unione Europea. Come spiega proprio la Banca centrale europea, la produzione delle banconote in euro è il risultato della collaborazione tra banche centrali nazionali (Bcn) e la stessa Bce.

Ogni anno, infatti, si calcola quante banconote è necessario produrre, principalmente per due scopi: sostituire quelle che non sono più idonee alla circolazione – perché danneggiate o usurate – e soddisfare incrementi della domanda di banconote, sia attesi (come nei picchi stagionali per le festività) sia inattesi.

La stima principale del quantitativo di banconote da stampare ogni anno è formulato dalla Bce, mentre le previsioni sulla domanda sono fornite dalle banche centrali nazionali. Quest’ultime, supervisionate dalla Bce, distribuiscono poi le banconote in maniera tale che non ci siano mancanze nei vari paesi (con un sistema chiamato pooling decentrato). Le stime generali devono essere approvate comunque dal Consiglio direttivo (Governing council) dell’istituzione bancaria europea.

In sostanza, la Bce decide quanto denaro stampare, mentre la stampa vera e propria viene realizzata dai singoli Stati membri, che si fanno inoltre carico dei costi di realizzazione – per esempio, per la carta, l’inchiostro e i sistemi di sicurezza. A oggi, sono circa 16 gli stampatori che realizzano le banconote e le forniscono alle varie Bcn.

Come fanno le banconote ad arrivare nelle nostre tasche?

Ma come fanno quelle banconote a finire nelle nostre tasche? Il cosiddetto “ciclo del denaro” – come spiega un Quaderno didattico della Banca d’Italia – inizia nelle filiali della banca centrale italiana. Da qui, una società di servizi – come quelle di trasporto valori – fa partire due flussi di banconote: uno verso gli sportelli delle banche, l’altro verso la grande distribuzione (composta per esempio da centri commerciali e supermercati).

Con il ritiro agli sportelli e le transazioni nei negozi, i contanti arrivano al pubblico e da qui il flusso si inverte. Quelli spesi tornano nella grande distribuzione, quelli non spesi sono depositati nelle banche. Tutte queste banconote già utilizzate sono raccolte di nuovo dalla società di servizi incontrata all’inizio del percorso.

Questa ha due opzioni: dopo aver valutato il buono stato delle banconote, può rimetterle in circolo, oppure – stabilite quelle danneggiate e non più riutilizzabili – può rimandarle alla filiale della Banca centrale d’Italia dove saranno distrutte.

Un altro tipo di controllo effettuato – come spiega la Banca d’Italia – riguarda l’autenticità dei contanti per il contrasto alla contraffazione.

Quante banconote si stampano in Europa?

Se guardiamo i numeri della produzione di banconote stampate negli anni indicati dal Professore, scopriamo che nel 2011 c’è stata una produzione complessiva di 6 miliardi di biglietti, per un valore di 171,3 miliardi di euro; nel 2012, quasi 8,5 miliardi di biglietti per un valore di 184,5 miliardi di euro; nel 2013, 8 miliardi di biglietti, per un valore di 145 miliardi di euro.

Sebbene per alcuni commentatori non fosse chiaro a che cosa si riferissero le cifre del Professore, sembra proprio che i numeri da lui citati equivalgano al valore di banconote prodotto ogni anno nell’Eurozona. I dati, infatti, corrispondono.

Ad ogni modo, non è la Bce a stampare i contanti, come fanno i rapinatori nella zecca spagnola. Sono le banche nazionali e stampatori privati a realizzare le banconote, e per tagli specifici. Per esempio, i quasi 2,2 miliardi di banconote da 50 euro stampati in totale nel 2011 per tutta la Ue sono stati prodotti in soli quattro Paesi: Belgio, Spagna, Germania e Italia.

E questo è un processo che avviene tutti gli anni. Nel 2018 sono state prodotte quasi 4 miliardi di banconote, per un valore totale di circa 386 miliardi di euro; nel 2017, oltre 5,7 miliardi di banconote, per un valore totale di oltre 325 miliardi di euro.

Da quando sono comparsi per la prima volta gli euro a oggi, il numero di banconote in euro in circolazione è aumentato. Nel 2002, c’erano oltre 7,8 miliardi di banconote, mentre a luglio 2018 ne circolavano oltre 21,6 miliardi.

In generale, nel mondo, nonostante le forme di pagamento elettroniche, la domanda per i contanti è ancora forte. Come spiega DeLaRue, una società tipografica britannica specializzata nel settore, ci sono diversi motivi.

La prima è che la popolazione mondiale cresce, e di conseguenza c’è sempre bisogno banconote. Un altro motivo è la maggiore diffusione di sportelli Atm, che richiedono contanti puliti e non danneggiati. Inoltre, vista la scarsa fiducia dei cittadini nelle banche dopo la crisi finanziaria del 2008, sempre più persone usano i contanti come una riserva di valore – ci torneremo più avanti –, di conseguenza causando un aumento della domanda.

Dove sbaglia il Professore?

Il Professore cita insomma il valore delle banconote stampate in Europa tra il 2011 e il 2013. Ma il problema è che la quantità di soldi stampata nell’Unione Europea non c’entra molto con le «iniezioni di liquidità» di cui parla il Professore – che in realtà hanno numeri molto diversi, diverse finalità e un meccanismo più complesso.

Vediamo le cose più nel dettaglio, spiegando prima qual è il compito di una banca centrale.

Qual è l’obiettivo principale della Bce?

L’obiettivo principale di molte banche centrali – in questo caso anche della Bce – è la stabilità dei prezzi, ossia contenere l’inflazione sotto un certo livello (inferiore ma vicino al 2 per cento nel medio termine, per la precisione). Un po’ di inflazione – ossia l’incremento nel tempo del livello medio generale dei prezzi – fa bene all’economia, ma deve essere contenuta entro certi limiti.

Questo mandato è stato conferito alla Bce con il Trattato che istituisce la Comunità europea e ha validi motivi economici.

Uno dei rischi maggiori dell’instabilità dei prezzi, infatti, non è solo l’eccessiva inflazione, ma è anche la deflazione: quando il livello generale dei prezzi scende troppo, le persone sono incentivate ad aspettare per fare acquisti, attendendo ulteriori cali. Questo spinge le imprese ad abbassare i prezzi e a vendere a meno i loro prodotti, avviando una possibile recessione.

Lo strumento principale di politica monetaria di una banca centrale per mantenere la stabilità dei prezzi è la capacità di fissare i tassi di interesse con cui presta i soldi alle banche commerciali. Le decisioni di una banca come la Bce influiscono direttamente sulla spesa e sugli investimenti della clientela delle banche commerciali: queste ultime, infatti, applicano a loro volta interessi nel prestare soldi alle persone e alle imprese, e quegli interessi sono legati a quelli fissati dalla Bce.

Che cos’è un’«iniezione di liquidità»?

Nei tempi di crisi, o in periodi prolungati di bassa inflazione, le banche centrali – compresa la Bce – possono fare ricorso alla cosiddetta “iniezione di liquidità” per ottenere gli scopi che abbiamo nominato prima (per la Bce, soprattutto mantenere l’inflazione stabile intorno al 2 per cento).

Questa espressione, “iniezione di liquidità”, non fa però riferimento alla stampa annuale della banconote concertata tra Bce e Bcn – un processo autonomo e che non c’entra nulla – ma appunto a strumenti di politica monetaria utilizzati dalle banche centrali per sostenere la stabilità dei prezzi e stimolare la crescita economica.

Un esempio recente, fuori dai confini europei, è quello del Giappone, dove negli ultimi anni il primo ministro Shinzo Abe ha cercato di stabilizzare il tasso di inflazione al 2 per cento con massicci e continui acquisti di obbligazioni da parte della banca centrale del Paese.

Una politica monetaria simile è stata introdotta negli anni Duemila dalla Federal Reserve (Fed), la banca centrale degli Stati Uniti, per contrastare la crisi economica.

A partire dal 2015, una simile forma di iniezione di liquidità è stata utilizzata dalla Bce ed è nota con il nome di Quantitative easing (Qe), o “allentamento quantitativo”, voluto fortemente dal presidente della Bce Mario Draghi.

In Giappone, negli Usa e nella Ue, le banche centrali hanno compiuto azioni di politica monetaria in parte diverse rispetto a quanto facevano abitualmente le banche centrali nei decenni precedenti, e per questo motivo gli strumenti usati sono stati chiamati “non convenzionali”.

Abbiamo anticipato che le “iniezioni di liquidità” non sono quindi uno scenografico passaggio di aerei portavalori pieni di contanti dalla sede della Bce alle banche, ma un più prosaico acquisto di titoli. Vediamo più da vicino come funziona il meccanismo.

Che cosa ha fatto la Bce?

Negli ultimi tre anni e mezzo, la Bce ha periodicamente comprato dalle banche europee titoli di Stato che i Paesi emettono per sostenere i propri conti pubblici e che normalmente sono acquistati da imprese, cittadini e, appunto, istituti bancari.

Le prime azioni di questo tipo risalgono all’inizio del 2015: quindi, il programma è cominciato circa quattro anni dopo rispetto al 2011 citato dal Professore.

L’obiettivo finale del programma, che è collegato anche all’aumento del famigerato spread sui titoli di Stato di alcuni Paesi europei come l’Italia (la cosiddetta “crisi dei debiti sovrani”), è stato quello di far ripartire il credito dalle banche all’economia reale per contrastare il rischio di deflazione.

Il meccanismo alla base del suo funzionamento ideale è molto semplice, come spiega l’Economist. La Bce compra i titoli dalle banche commerciali, e di conseguenza le riserve di liquidità di queste ultime aumentano della stessa quantità di titoli che hanno venduto (da qui l’aggettivo “quantitativo”).

Per una legge fondamentale dell’economia, la domanda di titoli di Stato da parte della Bce fa abbassare i tassi di interesse di quei titoli. Inoltre, le banche abbassano i tassi di interesse con cui prestano denaro e quindi i prestiti diventano più convenienti: le imprese e le persone possono prendere più denaro in prestito e spendere meno per ripagare i propri debiti.

Il risultato sperato dalla Bce è che, alla fine della catena, i consumi e gli investimenti ricevano una spinta, sostenendo la crescita economica e creando nuovi posti di lavoro. I prezzi tornano a salire, rendendo più facile contenere l’inflazione intorno all’obiettivo del 2 per cento.

Di quali cifre stiamo parlando?

Il primo Qe – il cosiddetto “bazooka” di gennaio 2015 – ha previsto acquisti mensili di titoli di Stato fino a 60 miliardi di euro, che moltiplicati su base annuale danno cifre ben maggiori rispetto a quelle citate dal Professore.

A oggi, si stima che il programma di intervento della Bce abbia previsto l’acquisto di obbligazioni per un valore totale di 2.400 miliardi di euro.

La fine del Qe è programmata per dicembre 2018, come ha annunciato lo scorso 14 giugno il Consiglio direttivo della Bce: fino alla fine di settembre, la banca centrale continuerà a comprare titoli per un valore di 30 miliardi di euro al mese, per poi ridurli a 15 miliardi di euro fino al termine dell’anno.

E il Ltro?

Il Qe non è stata l’unica operazione con cui la Bce ha provato a immettere liquidità nell’economia.

Un’altra politica monetaria non convenzionale avviata nel 2011 dalla Bce è stato il “piano di rifinanziamento a lungo termine” – il Longer-term refinancing operation (Ltro). In sostanza, con questa operazione la Bce ha avviato delle aste in cui ha concesso prestiti alle banche richiedenti, della durata di tre anni e con bassi tassi d’interesse.

Una variante sono i Targeted Longer-term rifinancing operations (Tltro), lanciati nel 2014 e nel 2016: prestiti sempre con bassi tassi d’interesse, condizionati però alla fornitura di credito per l’economia.

Per quanto riguarda gli Ltro, nel 2011 la Bce ha così prestato quasi 490 miliardi di euro a 523 istituti di credito; nel 2012 la somma è arrivata a quasi 530 miliardi di euro per 800 istituti di credito.

Anche in questo caso, le cifre sono ben maggiori di quelle elencate dal Professore.

Cosa vuol dire che la Bce “stampa moneta” dal nulla per le banche?

Ma la quantità di denaro coinvolta nei programmi Qe e Ltro è stata davvero “creata dal nulla”, vista la capacità della Bce di “stampare moneta”?

Come spiega la stessa banca centrale, nell’Eurozona solo le banche centrali nazionali producono ed emettono fisicamente le banconote in euro: “stampare moneta” è solo «un’espressione colloquiale, utilizzata per indicare il programma di acquisto di attività della Bce», come l’allentamento quantitativo visto sopra.

In questo processo, la Bce non stampa banconote per i suoi acquisti, ma «crea moneta elettronicamente, che è accreditata al venditore o all’intermediario, ossia una banca commerciale. Il venditore può quindi utilizzare la liquidità aggiuntiva per acquistare altre attività oppure, nel caso di una banca commerciale, per erogare credito all’economia reale».

E con questo passaggio sorge la domanda se le banche creino davvero moneta dal nulla. Cerchiamo di rispondere.

Semplificando: le banche centrali nazionali come la Bce fungono da “banche delle banche” commerciali, ossia a quest’ultime – come abbiamo visto – concedono prestiti o da quest’ultime acquistano titoli.

«La moneta “creata” in questo caso è quella che le banche prendono in prestito, ed esiste nella forma di un conto corrente elettronico che le banche detengono presso la loro banca centrale nazionale», ci ha spiegato Andrea Terzi, professore di economia alla Franklin University Switzerland.

«Quando la banca riceve un prestito dalla banca centrale – prosegue Terzi – il conto della banca viene accreditato per l’ammontare del prestito. Quando la banca vende un titolo nel programma di Quantitative easing, il meccanismo è lo stesso: in questo caso un saldo viene accreditato sul conto della banca che ha venduto il titolo».

In questo modo, si crea moneta, ma entro limiti precisi. Le banche centrali – come fanno quelle commerciali con persone e imprese – chiedono garanzie prima di prestare del denaro, che le banche commerciali si impegnano a restituire. Ogni volta che la Bce crea moneta, dunque, vuole delle contropartite (delle garanzie riscontrabili nel bilancio delle banche).

E per tenere sotto controllo la quantità di moneta che c’è in circolo, la banca centrale – come abbiamo visto – agisce sui tassi di interesse con cui presta denaro.

In sostanza, «quando la Bce compra titoli o concede un prestito, lo fa con moneta di nuova creazione», ci ha spiegato Franco Bruni, professore di Teoria e politica monetaria internazionale all’Università di Bocconi. «Il meccanismo è lo stesso tra prestiti e acquisti. Per questo la distinzione tra politiche monetarie convenzionali e non convenzionali fa semplicemente riferimento a quanto sono elevati i tassi d’interesse e a quanto sono convenienti per le banche commerciali le condizioni di queste operazioni bancarie».

Riassumendo: è vero che la Banca centrale europea ha creato denaro “dal nulla” in diversi programmi di iniezione di liquidità negli ultimi anni. Ma questi programmi sono cominciati nel 2015, riguardano cifre diverse (e molto più alte) rispetto a quelle citate dal Professore della Casa di carta, e non coinvolgono una frenetica attività delle zecche.

A guadagnarci con il Qe sono stati soprattutto i più ricchi?

Vediamo poi quali sono stati gli effetti di quelle iniezioni di liquidità. Una delle critiche più diffuse verso quel tipo di operazioni – così come sostiene anche il Professore – è che non aiutano la maggior parte della popolazione, ossia l’economia reale e la produzione in generale, ma vanno a vantaggio dei più ricchi.

I critici, infatti, sostengono che interventi come il Qe, ideati per far alzare l’inflazione e quindi i prezzi, finiscano per indebolire i ceti meno abbienti e i risparmiatori, favorendo le operazioni finanziarie di chi è già in possesso di grandi risorse economiche e di titoli in borsa. Il risultato sarebbe un conseguente aumento delle disuguaglianze economiche.

Sebbene la letteratura scientifica sul tema generale delle politiche monetarie sia vastissima, è ancora presto per stabilire gli effetti specifici del Qe voluto da Mario Draghi in Europa.

A luglio 2018, però, alcuni ricercatori hanno presentato i risultati di una prima ricerca – un discussion paper pubblicato dalla Bce – proprio sulle conseguenze complessive dell’iniezione di liquidità nell’Eurozona.

I ricercatori hanno concluso che, in linea generale, le politiche espansive della Bce hanno ridotto la disuguaglianza di reddito, soprattutto grazie alla riduzione dei tassi di disoccupazione delle famiglie più povere.

«Attraverso il programma di Qe, la Bce ha acquistato bondsdal sistema bancario immettendo liquidità e permettendo alle banche di tenere bassi i tassi d’interesse su prestiti a famiglie e aziende», ci ha spiegato Gianluca Violante, professore di economia alla Princeton University e coautore dello studio. «Molte aziende hanno così potuto investire di più e molte famiglie hanno potuto consumare di più. Questo sostegno alla domanda di beni si è tramutato in un sostegno all’occupazione che ha beneficiato soprattutto le fasce più deboli della popolazione».

Perché la banconota da 10 euro che hai in tasca non è solo “carta”?

Alla fine del discorso, il Professore prende in mano una banconota da 50 euro e la strappa, dicendo che «è solo carta» – un chiaro riferimento al titolo della serie.

Il gesto, in alcuni Paesi del mondo, è illegale. Per esempio, negli Stati Uniti, lo United States Code – ossia la raccolta e la codifica delle leggi federali del Paese – stabilisce (all’art. 333, cap. 17, pt. 1 del Titolo 18) che chi danneggia in maniera irrimediabile una banconota rischia una multa o addirittura il carcere.

In Europa, invece, – come spiega il punto 6 di una raccomandazione del 2010 della Commissione europea – «gli Stati membri non devono proibire né punire la distruzione integrale di piccole quantità di banconote o di monete in euro compiuta da privati, devono tuttavia proibire la distruzione non autorizzata di ingenti quantità di banconote e di monete in euro».

Il Professore sembrerebbe insomma salvo – anche se non è forse il capo di imputazione di cui si dovrebbe preoccupare di più.

Al di là delle questioni di giurisprudenza, il denaro va ben oltre il materiale di cui è composto: non è, ovviamente, semplice carta.

La natura della moneta è infatti cambiata molto nel corso del tempo. Dalla forma di “moneta merce” – in cui un determinato oggetto, come una moneta d’oro, aveva valore per il materiale di cui era composto – è passata alla “moneta rappresentativa”, ossia oggetti come le banconote che potevano essere scambiate per l’equivalente valore in oro.

Oggi la moneta si basa su un rapporto di fiducia: è emessa da una banca centrale, ma non può essere convertita, per esempio, con una quantità fissa di oro. Si è perso così, nel corso dei secoli, il valore cosiddetto intrinseco della moneta: oggi il valore della “moneta fiduciaria” è garantito e mantenuto stabile nel tempo dall’operato delle istituzioni bancarie centrali.

Proprio per questo motivo, la moneta è slegata dalla sua rappresentazione fisica. Non a caso, può essere conservata in maniera virtuale su un conto corrente, e i pagamenti elettronici avvengono senza uno spostamento reale di contanti.

Oltre alla sua natura, anche le funzioni della moneta sono cambiate nel tempo. La moneta è infatti sia un mezzo di scambio – per l’acquisto di beni e servizi – sia un’unità di conto – per attribuire un prezzo a oggetti e servizi – sia una riserva di valore – per il risparmio.

Conclusione

Il Professore – seppure citando dati corretti sul valore delle banconote stampate nel 2011, 2012 e 2013 nell’Eurozona – commette almeno due gravi errori.

Il primo errore del Professore è confondere la stampa annuale di banconote – che ha soprattutto finalità pratiche e logistiche – con politiche monetarie che prevedono iniezione di liquidità. L’espressione “la Bce stampa moneta” è colloquiale, e fa riferimento a interventi non convenzionali – con cifre ben maggiori di quelle citate nel monologo – pensati proprio per supportare l’economia reale, anche se non mancano critiche sulle conseguenze di simili politiche monetarie sulla disuguaglianza di reddito.

Il secondo errore che commette il Professore è proprio quello di equiparare il suo piano con la creazione di moneta da parte della Bce. Quest’ultima – a differenza della stampa di banconote fatta da una banda di ladri – chiede sempre qualcosa come contropartita quando crea moneta: vuole garanzie se fa un prestito, oppure titoli quando li acquista.

C’è poi un’imprecisione: i contanti non sono creati direttamente dalla Bce, ma sono stampati dalle banche centrali nazionali e da stampatori privati.

L’autorità centrale della Bce garantisce il rapporto fiduciario alla base dell’euro e supervisiona il complesso sistema dell’Eurozona, distinguendosi quindi da una semplice banda di ladri, che vuole stampare banconote per i propri interessi con il volto coperto da una maschera di Salvador Dalì.



Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta sulla Pagella Politica di Agi il 23 settembre 2018.